L'angelo necessario, "Angel-A" di Luc Besson

É un piccolo grande sogno. Di come il cinema possa penetrare dentro i nostri corpi e trasformarci in "esseri sognanti". Non basta vedere, bisogna vivere. E certi film vanno vissuti. Aggrapparsi all'angelo, questo bisogna fare. Perché non abbia più le spalle rivolte al futuro ad osservare le rovine della storia, ma ci guardi in faccia dritti negli occhi

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A volte la scrittura sembra non bastarci. Le parole sembrano frecce troppo leggere per affrontare adeguatamente una realtà mediatica che, a volte, ti fa venir voglia di utilizzare altri "mezzi di comunicazione" (come quelli, "esplosivi", che utilizzava l'architetto Gary Cooper nel capolavoro di King Vidor La fonte meravigliosa, dove dopo una lunga battaglia – perduta – contro coloro che avevano utilizzato i suoi progetti per poi trasformarli in "altri orrori", non gli restava altro che far esplodere quegli orribili mostri di cemento e trasformarsi in un "dinamitardo"…).

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Eppure ci sono dei film che invece sono così "intimi",  che quasi si inibiscono di fronte al fatto di apparire ai tanti occhi che li vedranno sullo schermo, come se avessero per destinatario non il grande pubblico di massa, ma il singolo spettatore, quasi fossero degli incredibili film hard, da ricevere a casa in confezione "anonima" e vedersi segretamente tra le mura di casa, in una sorta di privacy assoluta. Sono, di solito, piccoli film, realizzati da cineasti che restano nel circolo degli appassionati, non sfiorano neppure i canali del cinema popolare. Poi magari sono celebrati nei festival, ma quella è un'altra storia…  Ma Luc Besson non è quel tipo di cineasta. E' il personaggio sbagliato nel posto sbagliato. E' troppo un figlio di puttana per fare "l'autore emarginato" e da tempo piuttosto che girare dei film suoi preferisce produrli per dei target estremamente mirati, con un bacino internazionale stupefacente per dimensioni e successo. Besson sa come si confeziona un "film giocattolo", un film di puro entertainment, di quelli da consumarsi durante un viaggio in aeroplano o in una sala d'albergo di qualche città straniera dove non riesci a prender sonno. Quelli sì che sono film "utili", che ti fanno "passare il tempo", che intervengono nei ritmi cardiaci della tua giornata, a regolare/metabolizzare quel flusso interiore che a volte ci rende la vita impossibile. Insomma Besson sa come si fa il cinema commerciale, ed è per questo che non sta proprio tanto simpatico ad Hollywood, sul cui terreno cosmopolita/globale va a porsi in diretta concorrenza, con action movies e commedie veloci, il luogo magnifico "dell'usa e getta" cinematografico. Quanto ai francesi, l'establishment cinematografico ovviamente, lo detestano. Perché è fuori da quel cinema d'autore così ben scritto e recitato che ha ritrasformato il cinema d'oltralpe (addio Nouvelle Vague…) in un prodotto standardizzato e perfetto per un pubblico metropolitano benestante e progressista, colto e capace di apprezzare citazioni e riferimenti, doppi sensi e variazioni narrative.

Besson no. Quando dirige è come se facesse a pugni con lo sguardo dello spettatore. Spacca le lenti della macchina da presa, squarcia il telone dello schermo: Besson è un combattente del set (e chi ha visto Giovanna D'Arco sa di che parliamo: con Besson in divisa da soldato mescolato nella battaglia a girare macchina a mano i primi piani dei combattenti "dentro" il set/battaglia). E dove il Besson produttore è cinico e aggressivamente risoluto verso un pubblico/target (perché il cinema è un prodotto commerciale e se non sta alle regole del mercato semplicemente muore…) il Besson cineasta è tutt'altro. Ecco un regista che ha la magnifica ossessione di liberarsi dalla necessità di fare un film "per qualcuno" (fosse il pubblico dei blockbusters, dei film panettone, dei film d'essai, dei film Oscar, e tutte le stupide definizioni che vogliamo). Besson è solo e meravigliosamente un cineasta libero,  che può fare oggi il film che vuole come vuole, paradossalmente "universale" e narcisisticamente autoreferenziale allo stesso tempo. Può non piacere, soprattutto alla critica, ma non può fregargliene un bel niente. Ma non è fatto neppure per piacere necessariamente al pubblico, anche se Besson ha una sorta di capacità unica di toccare il polso/cuore dello spettatore cinematografico, che il più delle volte rimane colpito/affascinato/innamorato da tanta esplosività emozionale, che si percepisce come libera e autentica.


Per questo quando leggiamo, da quel critico talmente incapace di "volare" che nessun angelo verrai mai a salvarlo preferendo lasciarlo affogare nel suo stesso letame intellettuale, che "tutto il cinema di Besson è quanto di più fintamente moralista e fintamente trasgressivo si possa immaginarsi." (che oltretutto è pure scritto male… ed è bello vedere come questi critici/professori cadano loro stessi nelle "trappole" che costruiscono…), ebbene nel leggere queste cose, per di più sul più importante quotidiano nazionale, beh rabbrividiamo… 

Angel-A è un piccolo grande sogno. Di come il cinema possa penetrare dentro i nostri corpi e trasformarci inconsapevolmente in "esseri sognanti". Perché l'effetto non è immediato, tipico del critico, che finito il film deve subito razionalizzare e declamare agli altri il suo parere su quanto ha visto. Non basta vedere, bisogna vivere. E certi film vanno vissuti, come scriveva ormai quasi trent'anni fa quel delizioso "mangiatore di cinema" che era Enzo Ungari (che avrebbe adorato questo film…). Angel-A non è un film "di sceneggiatura", né è un film costruito sulla potenza delle immagini – non lasciamoci fuorviare dal bianco e nero "necessario".  Angel-A è un qualcosa che sfugge alle dinamiche cui siamo abituati: è un "film-bambino", cattivo e innocente allo stesso tempo, perfido e adorabile, cinico e ingenuo, e via con tutti gli apparenti opposti che conosciamo. Perché poi se alla fine del film cerchiamo di fare quelli bravi e seri, che sanno ricomporre le storie viste, ci domandiamo: dove sta il cuore del film?


E' la storia di un balordo, di un "animale metropolitano", un piccolo uomo per niente adorabile, meschino e affatto eroico, che viene "salvato" dal cielo? Ma qui, per fortuna, ci viene in soccorso il "critico": "L'amore per la propria comunità diventa l'interesse del singolo, la generosità cambia in egoismo." Eccolo l'angelo di Besson messo al confronto con l'angelo di Capra, che lo mette ko al primo round!.  Qui non abbiamo un brav'uomo da  salvare perché così facendo salveremo tutta la sua comunità (era il New Deal, accidenti!). No, qui abbiamo un bastardello bugiardo, un razza mista senza patria, un personaggio che vive di basse pratiche illegali e anche incapace di gestirle con profitto da diventare, a suo modo, un eroe.  Che strano! L'angelo di Besson va a salvare l'ultimo dei reietti e non il bravo padre di famiglia, l'eroe della middle class a venire del dopoguerra. Angelo egoista quello di Besson, che si occupa degli sfigati, dei perdenti, di quei personaggi che non hanno alcun valore da difendere, quelli che fanno persino fatica a sopravvivere al duro mondo reale lì fuori.

Ebbene è per questo che nessun angelo verrà mai a salvare il "critico". Qualcuno lassù, forse, non lo ama. O forse ritiene che sono altri coloro che hanno bisogno di una vera salvezza. Perché il personaggio di Andrè, nella sua miseria e vigliaccheria, nel suo essere falso e bugiardo, ma anche presuntuoso e convinto di essere furbo, ha in sé tutte le bassezze morali della nostra epoca, tutti i difetti e i limiti del mondo "reale" in cui viviamo. Lo ha detto anche il "critico" del resto: "il cinema di Luc Besson (diretto o prodotto mi sembra che faccia poca differenza) è l'ideale complemento culturale della società in cui viviamo." Ecco che improvvisamente una luce si accende! Il critico, fin qui da noi immeritatamente bistrattato, ci ha svelato il film fin dalla prima riga del suo articolo! Il film di Besson è il complemento culturale della società in cui viviamo. Vero. La differenza sta nel fatto che il critico odia questo mondo e i suoi abitanti, mentre Besson li adora. E il critico, perfetto intellettuale medio italiano "di sinistra" ( "e poi dice che uno si butta a destra…." avrebbe detto Totò), detesta questo mondo e i suoi bassi personaggi, vigliacchi e senza onore. Besson ama al contrario proprio "gli ultimi", i peggiori reietti, e li mette a confronto con una possibile redenzione.


Ma non si ferma qui. Perché se Angel-a  si limitasse  a portare un "risarcimento morale" al mondo degli "sfigati" (ma attenzione perché c'è anche un cinema hollywoodiano affatto stupido e invece come sempre male interpretato, che sta facendo un lavoro simile ai fianchi della società americana – e bisognerà rivedere e ripensare film come Jarhead e The Weather Man, ad esempio), Besson avrebbe fatto il suo film (po)etico, e giù gli applausi (o i fischi) e stop. No. Besson sa che il cuore del cinema batte altrove. Forse l'ha imparato nelle sue tante immersioni (come James Cameron, altro cineasta "acquatico" come lui…), nel mettersi in gioco con il corpo in "altri universi". Certo è che il protagonista del film non svanisce come nell'inutilmente citato capolavoro di Capra, ma si ritrova a "combattere sulla Terra", proprio come il meraviglioso protagonista di quel capolavoro misconosciuto che era City of Angels (altro che Wenders!).  


Aggrapparsi all'angelo, questo bisogna fare. Perché questi non abbia più le sue spalle rivolte al futuro, ad osservare le rovine della storia, ma ci guardi in faccia, dritti negli occhi, perché se da lassù ci viene mandato un corpo/segno d'amore, che amore, deliziosamente e sanguinosamente terreno sia!


 


 

 

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