L’arte del bizzarro, intervista esclusiva a Fulvio Risuleo

In occasione dell’uscita del 17 novembre Notte Fantasma abbiamo incontrato Fulvio Risuleo. Una conversazione ricca di connessioni con un autore versatile, capace di spaziare tra temi e media diversi

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Come una nota su uno strano pentagramma, lo studio di Fulvio Risuleo è incastonato tra un acquedotto, dei binari e la Casilina, che insieme guardano il Pigneto riversarsi in Tor Pignattara. Lì, lo incontriamo in occasione dell’uscita al cinema del 17 novembre di Notte Fantasma, presentato alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Il terzo film di Fulvio Risuleo è il punto di partenza della conversazione con un autore capace di districarsi tra diversi media e diverse tematiche. Si passa dal cinema al videogioco, dal potere inconscio del suono ai limiti della parola fantascienza, il tutto all’insegna del bizzarro.

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Come procede il tour di presentazione di Notte Fantasma?

Fulvio Risuleo: È iniziato una settimana fa, sono stato a Sesto San Giovanni, Monza e Milano. Il bello è che in quest’ultima città era anche un festival legato alle scuole e Notte fantasma ha vinto il primo premio dei ragazzi. Per me è bellissimo, perché non l’ho pensato per loro; tra l’altro il film è vietato ai minori di 14 anni per qualche motivo a me sconosciuto. Mi sembra una conferma che le opere per i ragazzi non devono essere per ragazzi, che la targettizzazione eccessiva sia invalidante. Pensando al me sedicenne, volevo vedere solo i film dei grandi.

Ieri invece (13 novembre, ndr) hai presentato a Modena la nuova versione del progetto interattivo Reportage Bizarre.

È un progetto realizzato nel 2014, dopo essermi diplomato al Centro Sperimentale. Avevo questa piccola eredità di mia nonna, un migliaio di euro: con una metà ho affittato una stanza a Parigi, mentre l’altra metà doveva essere di budget per qualcosa. Poi ho sforato un po’, visto che non avevo considerato che la stanza che avevo preso non c’era la cucina. L’unico punto fisso che avevo, comunque, era un contenuto per il web in venti episodi. È stata un’esperienza bellissima che ricordo con grande piacere anche a distanza di anni. Per questo ci tenevo che venisse rifatto il sito. Reportage Bizarre è pieno di misteri, e rimangono tali anche oggi. C’era il durian, c’erano i dinosauri, un killer, l’acqua… L’idea era costruire una sceneggiatura paranoica, in cui ci sono tantissimi collegamenti e suggestioni.

Un progetto che, stando alla didascalia iniziale, nasce dalla necessità di dimenticare.

Dopo tre anni di accademismo, comunque molto importante per me, con questo progetto mi sono detto: “Ecco, posso realizzare qualcosa anche con una compatta e un microfonino“. Ho trovato un metodo, costruendo con quello che trovavo. Non avevo ancora un cellulare e mi muovevo per la città con una bussola che mi aveva regalato un amico. Questo tipo di libertà in un mese intensissimo mi ha dato una carica e un entusiasmo che si vede nel corto. Hanno inoltre partecipato persone che poi hanno collaborato ai miei film: Irene Zincone al montaggio e Francesco Lucarelli al suono.

Il suono è una componente importantissima in Reportage Bizarre, come in tutti i tuoi film. In Notte Fantasma, per esempio, non ci sono momenti soprannaturali, ma con il suono situazioni apparentemente normali deragliano, dalle musiche di Francesco Rita fino agli effetti sonori.

Ho capito che mi piace tantissimo lavorare con il suono durante il Centro Sperimentale, grazie sempre a Francesco Lucarelli. Lui da anni si è trasferito a Madrid e per questo abbiamo fatto il suono lì. Il suono indirizza la storia anche narrativamente, senza che lo spettatore se ne renda conto. È uno degli aspetti meno definibili dallo spettatore medio, a volte anche dagli addetti ai lavori. È un elemento che lavora in maniera subliminale, inconscia.

D’altronde, nella didascalia iniziale di Reportage Bizarre, consigli proprio le cuffie.

Lì era proprio la base, il suono come idea. Sono felice ogni volta che vedo il girarrosto con i polli che girano con sotto il suono di un carillon. Lo stesso suono viene accostato in un’altra sequenza a una giostra, creando connessioni misteriose e diaboliche. L’attenzione al suono fa la differenza: pensiamo a Paranormal Activity o Blair Witch Project, che a livello di immagini sono low-fi, ma il cui suono è curatissimo. Comunque, non è importante soltanto in contesti orrorifici o surreali. Se il suono non funziona come dovrebbe si ha un senso di amatorialità.

Fermiamoci per un attimo sulle connessioni. I mondi che crei danno sempre la sensazione di essere vivi, di essere dei contenitori non solo della storia che racconti nel film, ma anche di una miriade di altre sotto-trame, a volte anche parziali, interrotte e sulle quali da spettatore posso fantasticare. Come gestisci tutto questo alla scrittura?

Mi piacciono moltissimo le digressioni, ma sono anche molto complicate da gestire. Nel fumetto puoi prenderti la libertà di raccontare qualcosa che apparentemente non c’entra nulla con la trama principale, mentre al cinema il rischio è che la divagazione distragga. Ne Il colpo del cane avevo creato tante digressioni di cui ero molto felice, ma che poi al montaggio abbiamo tagliato perché non portavano da nessuna parte la trama principale. È importante che abbiano un valore narrativo, così da diventare intagliabili, altrimenti non è un film ma una sintesi. Non farei mai, per esempio, una serie tv di 10 ore solo per fare più digressioni. Un film, però, deve sempre avere delle deviazioni, delle atmosfere altre, dei misteri. Nel cinema italiano, per esempio, nonostante sia appassionato di surreale e di fantascienza, mi piacciono i film che hanno una forte connessione con la realtà, che in quanto tale è sempre imprevedibile e misteriosa.

Da questo punto di vista com’è andata la collaborazione per il videogioco Hell is Others?

Conosco bene le persone che lo hanno creato e che ci hanno lavorato per cinque anni. Il gioco a mano a mano è cresciuto e loro da sempre mi chiedevano di collaborare. Così, io e Andrea Sorini, con cui ho scritto Guarda in alto, ci siamo messi a lavorare sui dialoghi. Poi Andrea si è dedicato più ai personaggi, mentre io mi sono alienato in questa sorta di serie tv nel videogioco, che in realtà deve ancora uscire. Il nostro apporto è stato quindi limitato rispetto a quanto hanno fatto loro, ma è stato bello poter sperimentare in un medium non mio, un immaginario non mio e lavorare con persone che stimo e che hanno creato un videogioco artistico. Frequentarli mi ha anche aperto al videogioco come forma d’arte: The Witness, Inside, Limbo

Quindi videogiochi?

Non tanto, però da quando sono piccolo guardo gli altri giocare, mi piace tantissimo. Da Final Fantasy VII a GTA, sono stato una grande spalla. È una bella condivisione. Anche i giochi da tavola sono una forma di narrazione che trovo molto interessante. Mi piace la contaminazione, il bello della creatività è proprio quella di creare legami. Alla fine, dai videogiochi fino al cinema, c’è sempre una piccola comunità di persone diverse, dall’attrezzista, allo sceneggiatore, al compositore che convivono e collaborano per un risultato che non è una semplice somma, ma un’opera imprevedibile.

Tornando al cinema, anche sul set cerchi l’imprevedibilità?

La cerco a partire dalla scelta degli attori. Lavorare con Edoardo (Pesce, alla quarta collaborazione con Risuleo, ndr) porta del realismo e della spontaneità sul set, pur essendo lui un attore controllato e tecnico. I personaggi sono vivi quando dietro ci sono attori li vivono. Anche sul set sono aperto a cambiare qualcosa, ma considerando i film a medio-basso budget che faccio, nei quali si girano tanti minuti al giorno, non mi posso prendere troppi lussi. Un pensiero, a questo proposito, mi ha colpito ragionando sulla scena improvvisata di Joe Pesci in Quei bravi ragazzi. In che senso improvvisata? Non hanno lasciato accesa la macchina da presa e Joe Pesci se n’è uscito così; è stata improvvisata durante le prove e poi preparata per essere girata. Bisogna ritagliarsi gli spazi per le improvvisazioni e integrarle a un sistema.

I personaggi interpretati da Edoardo Pesce hanno molte linee in comune. Li scrivi pensando a lui?

L’uomo materasso e Notte Fantasma, sì. Conosco i suoi strumenti, conosco i suoi punti di forza e lavoro su quelli. Su quei personaggi, però, c’è anche la sua firma. Per me, l’attore è anche uno scrittore, scrive i dettagli, completa il personaggio e forse anche grazie a questo lavoro c’è la sensazione di costanza, di legame.

Sono tutti dei freak, degli individui bizzarri che potrebbero essere facilmente giudicati sulle prime, ma che poi dispiegano la loro vita deragliata e la loro umanità.

Andare oltre le cose, andare più a fondo della superficie è una tematica che mi interessa. Mi piace quando si riesce ad andare oltre il primo pensiero su una persona e conoscendolo si trova davanti tutt’altro. Non credo nemmeno di avere quella capacità di capire subito le persone, quindi trovo anche in me stesso questa sensazione.

A proposito di raccontare oltre la superficie, racconti Roma in maniera diversa dal solito. Non c’è una netta separazione tra centro e periferia, le due comunicano.

Perché Roma è così. Il modo in cui è rappresentata al cinema è fuorviante, semplificato e anche superficiale. Roma è il caos. Gli intellettuali vivono in periferia, mentre in aree più centrali ci sono quel tipo di persone che il cinema metterebbe in periferia. C’è un maestro teatrale, che è stato il mio più grande mentore con cui parlavo di teatro, di fantascienza, che vive nel quartiere dello spaccio per antonomasia a Roma. C’era questo contrasto tra palazzoni grigi, ponti e casa sua che era un tempio per me. Quando uno cresce in un simile contesto non può accettare un certo tipo di rappresentazione.

Eppure, accanto a questo realismo di fondo, rimane un aspetto fantastico di Roma, oserei dire fantascientifico nel senso ballardiano del termine.

Mi piace Ballard e quel tipo di fantascienza, che in qualche modo mostra i limiti del termine. Prendi L’isola di cemento, tutto ambientato sotto l’autostrada, c’è un’assurdo estremamente contemporaneo. Per me più una storia è strana e più è importante che le microdinamiche umane siano credibili. Quindi fantascienza è forse una parola fuorviante, come realismo magico. Da tempo, allora, ho trovato una parola che descrive meglio quello che faccio: bizzarro.

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