Last Dance, di Delphine Lehericey

Un uomo, per reagire ad un lutto, decide di seguire le orme della moglie. Ha un ritmo piacevole e, grazie all’umorismo, riesce  a stemperare le tensioni attorno a un argomento spinoso. Piazza Grande

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Cosa ci resta nella perdita? Come si affronta il vuoto lasciato nelle abitudini, come si sostituiscono le carezze nell’assenza di una forma da toccare, e l’unica risposta da ascoltare arriva dal silenzio provocato dal lutto? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere, con un abbondante ricorso all’ironia, Delphine Lehericey.

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Germain vive una serena vita da pensionato insieme alla moglie, quando improvvisamente si ritrova vedovo, circondato dalle premure sin troppo insistenti dei figli. Per mantenere vivo il legame reciso dalla morte, e soprattutto far fede ad una promessa, decide di partecipare ad uno spettacolo di danza contemporaneo. Così si unisce alla compagnia dove la moglie passava gran parte del suo tempo, per provare, ripercorrendo i suoi passi, a proiettare nel presente quelle immagini che ormai stanno diventando un’ombra impalpabile. Il film ha i tratti della commedia, ma non dimentica quei dettagli per trasformare il sorriso in un motivo di riflessione. Dietro alle attenzioni dei figli ad esempio, tenuti all’oscuro del progetto, c’è un tono di rimprovero per il controllo asfissiante, una preoccupazione eccessiva, esasperata dalla presenza di una vicina simpatica ed invadente, presenze da cui Germain riparo grazie al suo gatto Henry ed agli altri del vicinato che vengono a tenergli compagnia.

Il tema del lutto viene quindi integrato con la possibilità di scoprire degli aspetti ancora sconosciuti della propria personalità, una riserva di energie ferme in un lato rimasto all’oscuro, per ricordare come anche in un’età avanzata si possano trovare degli stimoli per andare avanti, superare dei limiti e delle barriere impensabili. Invece di un’accettazione passiva degli eventi quello che il film cerca di suggerire è un atteggiamento propositivo, e quanto la memoria possa rivivivere meglio se si prova a stabilire un contatto diretto con le passioni dell’altro. Lo sguardo volto in avanti non significa necessariamente una chiusura con il passato, anzi succede il contrario, quel sogno e quella dedizione diventano materiale condiviso, favoriscono una conoscenza dei personaggi sempre maggiore e permettono di risalire al principio di una storia d’amore, che non avrà mai fine. La storia si muove in prevalenza in due ambienti, lo spazio di casa, definito in stato d’assedio dopo la tragedia, e quello dove Germain e la compagnia fanno le prove quotidiane dello spettacolo. Il film ha un ritmo piacevole, e grazie all’umorismo riesce  a stemperare le tensioni attorno ad un argomento spinoso. Permette di ragionare su quale sia il modo corretto da tenere in certe situazioni, sulle reazioni diverse dei soggetti coinvolti, e pur senza eccellere, tiene fede comunque a tutte le premesse. Un tono spassoso, ottenuto con piccoli innocenti bugie, insieme al continuo ricorso a situazioni divertenti, come le impacciate prove di ballo, in un quadro molto realistico, sempre lontano dagli eccessi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
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