L’attachement, di Carine Tardieu

La regista trova in Valeria Bruni Tedeschi un’ottima protagonista e nel giovanissimo César Botti tutta l’innocenza e la tenerezza del film, ma rinuncia a uscire dai cliché del genere

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OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

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BORSE DI STUDIO per LAUREATI DAMS e Università similari

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SPECIALIZZAZIONI: la Biennale Professionale della Scuola Sentieri selvaggi

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– “Devo dirti una cosa terribile riguardo alla mamma”
– “È morta?”
– “Sì”
– “Di già?”

Alex, un giovane padre, è in lacrime. Non sa come dire a Elliot, il figlio di cinque anni, che sua madre ha avuto complicazioni durante il parto della sorella, Lucille, e non è più con loro. Ma Elliot sembra aver capito tutto, anzi forse ha già accettato l’accaduto. Al contrario di Alex, che passerà invece molto tempo ad elaborare il lutto, barcamenandosi tra nuove responsabilità, nuove amicizie, nuovi amori. Qui entra in gioco Sandra, vicina di casa cinquantenne e volutamente single e senza figli, con la quale Alex, Elliot e la piccola Lucille instaureranno un forte legame.

In quel breve e spiazzante scambio di battute, c’è tutta l’innocenza de L’attachement, tutta la tenerezza e la purezza, incarnate nello sguardo intelligente e sensibile di un bambino che pare più saggio di tutti gli altri personaggi: sa come nascono i neonati e si chiede come sia possibile che qualcosa di così grande possa uscire da una fessura così piccola. Dopodiché trae le sue conclusioni: deve fare molto male. Seppur inconsciamente, Elliot ha quindi compreso che il dolore fa parte della vita, e che anche la morte non è altro che una sua parte, complementare e necessaria. Per questo la scomparsa della madre non lo stupisce, e sempre per questo cerca di aggrapparsi alla vita più che può, trovando in una libraia di mezza età la sua ancora di salvezza.

Sandra, del resto, non può fare altro che accettare l’affetto del bambino e il suo nuovo ruolo all’interno di questa famiglia allargata, strana e disfunzionale (come ogni famiglia che si rispetti), che la accoglie nonostante le sue riserve. Il loro rapporto è il cuore di L’attachement e Carine Tardieu – al suo quinto lungometraggio dopo I giovani amanti, e al secondo adattamento letterario dopo Du vent dans mes mollets – trova una solidissima protagonista nell’ottima Valeria Bruni Tedeschi, alle prese con un ruolo molto diverso da quello di donna fragile e insicura che spesso ha interpretato, anche in progetti recenti. Non è infatti la moglie tormentata del Pirandello di Eterno visionario, né l’eccentrica nobildonna Gaia Bradiforti de L’arte della gioia, ma una figura indipendente, complessa, che ama la lettura, fuma in casa, salta i pasti per pigrizia e non ammette nessuno nella sua camera da letto.

Anche gli altri comprimari convincono, in particolare il giovanissimo César Botti e Pio Marmaï, così come convince la sceneggiatura, ricca di dialoghi fitti e credibili, contribuendo alla costruzione di un dramma sentimentale borghese che emoziona, coinvolge e commuove. Allo stesso tempo (ma forse non è un male), L’attachement e la sua regista non riescono però a trovare soluzioni davvero sorprendenti, con il risultato che, un po’ come Sandra e Alex faticano a uscire dai propri schemi mentali, anche il film resta perlopiù confinato nei risvolti narrativi classici e nei cliché del suo stesso genere.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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