L’audizione, di Ina Weisse

Weisse guarda ad Haneke e dirige un film algido in cui disseziona le psicologie dei personaggi più che mostrarne le emozioni

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Cosa ci può essere di più ossessivo e al contempo distruttivo di ambire alla perfezione? È questa la domanda che percorre L’audizione, seconda prova da regista della tedesca Ina Weisse, dopo The Architect. E l’audizione del titolo si rivela presto quella che la protagonista Anna deve sostenere quotidianamente come prova di sopravvivenza in un ambiente iper competitivo come quello della musica classica, pronto ad estraniarti al minimo accenno di imperfezione. Anna è un’insegnante di violino al Conservatorio di Berlino. Tanto severa e perfezionista sul lavoro, quanto indecisa e incapace di esprimere affetto nella vita privata, sempre tesa a correggere, redarguire e sminuire i gesti d’affetto del marito liutaio Philippe e le aspirazioni musicali del figlio Jonas, diviso tra la passione per l’hockey e la strada della musica, intrapresa per imposizione più che per reale interesse. Il film si apre con il provino di ammissione di Alexander, giovane e talentuoso studente che Anna decide di prendere sotto la propria ala riconoscendone il potenziale. Alexander diviene in breve tempo per Anna una sua propagazione, quel frutto perfetto che non è riuscita a coltivare in casa, in quel figlio mai all’altezza delle sue attenzioni. Anna è moglie e madre incapace di accettare il proprio fallimento, rinchiusa nella frustrazione di una carriera da violinista forzatamente interrotta, a sua volta figlia di un padre altrettanto rigido e distaccato. La musica non fa solo da filo conduttore, ma diviene il vero e proprio linguaggio con cui i personaggi comunicano tra loro, con intensità, livelli e modulazioni differenti. Nelle note de Le temps des cerises intonate da Philippe sono racchiusi amore e dedizione, pazienza e accettazione, l’affetto e la cura di un marito che riconosce il tormento della moglie, che si manifesta nelle partiture di Bach sempre più complesse che l’insegnante propone al suo allievo. Ma basta una nota cambiata sullo spartito ed ecco che la musica diviene segno di disistima per quel figlio incapace agli occhi della madre di sostenerne la difficoltà. E poi ancora la musica è il collante che spinge Anna verso il collega e amante Christian.

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La musica è l’unica lingua che Anna conosce e attraverso cui comunica. E il mondo attorno a lei sembra piegarsi a questa sua esigenza, senza però mai riuscire a trovare un’espressione perfetta. Certo, non è necessario guardare a Whiplash per raccontare la prove sfiancanti a cui sono sottoposti i musicisti. Weisse sceglie le umiliazioni psicologiche più che quelle fisiche. Non ci sono mani ferite né strumenti insanguinati, ma psicologie fragili e metodi educativi inflessibili, che la regista tedesca disseziona con lo stesso sguardo freddo con cui Anna guarda il mondo attorno a sé. La regista affida al corpo di Nina Hoss ogni fremito di nevrosi, ogni tensione al perfezionismo, lasciando sotto traccia traumi e conflitti, coniugali, familiari, lavorativi, che si manifestano in rare battute seminate tra un’esibizione al violino e l’altra. Il bisogno di perfezione e la mania di controllo della protagonista si riflettono sull’intero impianto del film, rendendolo rigido e depotenziandone ogni aspetto emozionale. È tutto troppo trattenuto, pervaso da un’algida inquietudine che emerge solo attraverso ossessioni e devianze che rimandano a La pianista. E così come in Haneke, questa pulsione soffocata non può fare altro che ripiegarsi in un finale cinico e senza cuore.

 

Titolo originale: Das Vorspiel
Regia: Ina Weisse
Interpreti: Nina Hoss, Simon Abkarian, Jens Albinus, Sophie Rois, Thomas Thieme, Winnie Böwe, Ilja Monti, Serafin Mishiev
Distribuzione: PFA Films ed Emme Cinematografica
Durata: 99′
Origine: Germania, Francia 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.4
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Il voto dei lettori
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