Le assaggiatrici, di Silvio Soldini

Dal romanzo omonimo di Rosella Postorino, il primo dramma storico del regista è rigoroso ma distante dal cuore della storia e non riesce a trovare le intime corrispondenze del suo cinema migliore

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OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

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Nel 2012 poco prima di morire Margot Wölk, una donna tedesca di 95 anni, ha rivelato di essere una delle giovani tedesche costrette ad assaggiare i pasti di Hitler. Del suo gruppo è stata l’unica a sopravvivere. Questa vicenda ha poi ispirato il romanzo omonimo di Rosella Postorino (vincitore del Campiello nel 2018) da cui è tratto il nuovo film di Silvio Soldini. Le assaggiatrici può apparire come una nuova fase nel cinema del regista ma invece sono diversi gli elementi di continuità, a cominciare dal modo di inquadrare i luoghi nel quale i protagonisti sembrano provvisoriamente galleggiare e nel modo di dilatare la dimensione temporale, che crea uno stato di persistente attesa che qualcosa possa accadere. Gross Partsch (oggi Parcz) nella Prussia Orientale (oggi Polonia) dove è ambientato il film, assume una dimensione astratta, incantata, proprio come Venezia di Pane e tulipani o Taranto di Le acrobate, forse il titolo nella filmografia del regista a cui Le assaggiatrici si avvicina per evocare una condizione, uno stato esistenziale.

All’inizio degli anni Quaranta Rosa Sauer, in fuga da Berlino sotto i bombardamenti, raggiunge il villaggio di di Gross Partsch dove va a vivere a casa dei suoceri mentre il marito è al fronte. Una mattina la donna viene prelevata dai nazisti e portata assieme ad altre sei nelle vicinanze di una dimora top-secret dove si è rifugiato Adolf Hitler e costretta quasi fino alla fine della guerra ad assaggiare il cibo destinato al Fuhrer per verificare che non sia avvelenato. Con il passare del tempo tra le donne si cominciano a creare prima delle rivalità ma poi anche delle alleanze. Anche Rose, chiamata ‘la berlinese’ riesce gradualmente a farsi accettare. Però ci sarà una situazione che non riesce a controllare e che la farà sentire in colpa.

Le assaggiatrici è il primo ‘dramma storico’ di Soldini e la seconda trasposizione cinematografica della sua filmografia dopo Brucio nel vento, dal romanzo di Ágota Kristóf. Nel mettere in contrasto il grigiore quotidiano della realtà con i desideri che assumono quasi una dimensione sognante (l’attesa del ritorno del marito di Rose, annunciato dalle sue lettere), il cineasta si affida a uno stile estremamente rigoroso, alimentato anche dalla fotografia di Renato Berta in cui sembrano riprendere vita soprattutto i colori dell’epoca. Nei piani fissi attorno al tavolo, con le giovani donne che stanno assaggiando il cibo di Hitler, sembra infatti esserci una dimensione pittorica, quasi una sorta di potenziale ‘ultima cena’ che può replicarsi all’infinito. Soldini non trova però quegli improvvisi squarci di luce più attraenti del suo cinema come in L’aria serena dell’Ovest o Giorni e nuvole. L’estremo rispetto per la vicenda realmente accaduta e nei confronti del romanzo provoca involontariamente una distanza. Il cinema di Soldini, al contrario di quello di Martone, non si fa contaminare dalla scrittura letteraria e poi entra nelle viscere della Storia. Anzi le potenziali scosse della narrazione (l’aborto, la figura dell’ufficiale nazista) mostrano un certo disagio nell’affrontare le forme del melodramma, evidente soprattutto nella parte finale dove potevano esserci invece degli echi rosselliniani. Così come è affascinante ma incompiuto il modo in cui viene mostrato il rapporto tra Rose ed Elfriede così come non c’è la necessaria tensione nella presenza opprimente ma anche fantasmatica del Fuhrer. Soldini conferma una notevole padronanza nel modo in cui dirige le attrici, trova una giusta sintonia già nel modo di inquadrarle, soprattutto Elisa Schott e Alma Hasun. Ma fa fatica a impossessarsi della storia, a farla sua, elemento che comunque ha sempre caratterizzato il suo cinema anche negli esiti meno felici. Forse una delle ragioni è che ci sono sei sceneggiatori che hanno scritto il film. Il regista e l’abituale collaboratrice Doriana Leondeff sono solo una parte di questo universo. Tra gli altri nomi dello script ci sono invece Cristina Comencini e Giulia Calenda assieme a Ilaria Macchia e Lucio Ricca. Forse è qui la contraddizione in una diversa visione di mostrare la condizione delle sette donne. Cerca una strada più intima, ma rischia di sfociare in quella più letteraria. Resta così a metà strada, in una strana terra di mezzo, anche affascinante, ma dove l’impeto ribelle e quello slancio di libertà delle donne del cinema di Soldini, è frenato da una forma elegante ma fredda.

 

 

Regia: Silvio Soldini
Interpreti: Elisa Schlott, Max Riemelt, Alma Hasun, Esther Gemsch, Jürgen Wink, Emma Falck, Olga Von Luckwald, Berit Vander, Kriemhild Hamann, Thea Rasche, Boris Aljinović, Nicolò Pasetti, Peter Schorn, Gabriele Mazzoni, Philipp Seppi, Paolo Grossi, Lukas Zingerle, Marco Boriero, Alessandro Passi
Voce: Nicholas Handwerker
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 123′
Origine: Italia, Svizzera, Belgio 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7
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Il voto dei lettori
3.42 (12 voti)

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