Le conseguenze dei dazi di Trump su Hollywood

Nel “giorno della liberazione” Trump ha imposto nuovi dazi (per poi fare mezzo dietrofront) sulle importazioni USA e iniziato una guerra doganale con la Cina: come reagirà il cinema americano?

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“Make America Wealthy Again”: lo scorso 2 aprile Donald Trump ha annunciato in pompa magna i dazi reciproci che gli Stati Uniti avrebbero imposto ai Paesi di tutto il mondo (con alcune importanti eccezioni, tra cui la Russia), causando crolli in borsa e iniziando una guerra doganale con la Cina che si sta inasprendo sempre di più. Tanto che, quando pochi giorni dopo Trump ha fatto marcia indietro, mettendo in pausa per 90 giorni l’applicazione delle nuove imposte, i cinesi sono stati gli unici a vedere le proprie tariffe aumentare. Per il resto del mondo è comunque ancora in vigore una tassa del 10% su tutte le importazioni, così come quella del 25% su automobili, acciaio e alluminio, rendendo il rischio di una crisi economica profonda ancora possibile. In questo scenario, c’è chi si chiede quale sarà l’impatto delle politiche americane su Hollywood.

Da qualche anno l’industria del cinema statunitense sta infatti fronteggiando una crisi dopo l’altra: prima la pandemia, poi gli scioperi di attori e sceneggiatori che per mesi, nel 2023, hanno paralizzato tutte le produzioni, infine gli incendi che hanno colpito Los Angeles all’inizio di quest’anno. Tutti eventi che hanno costretto gli studios a rivedere continuamente le proprie strategie e scelte produttive, portando inevitabilmente a ritardi e aumenti dei costi, non sempre ripagati dal successo. Questa volta, le conseguenze potrebbero non essere ugualmente disastrose, ma ci saranno comunque.

La buona notizia è che i dazi di Trump colpiscono solo i beni materiali, escludendo perciò i servizi e i prodotti di intrattenimento, di cui gli Stati Uniti sono i più grandi esportatori al mondo. Gli studios cinematografici potranno quindi continuare a importare e soprattutto esportare film e serie televisive come prima, mentre a subire i danni maggiori nel settore saranno i produttori di console, televisori e smartphone. Tuttavia, un’economia indebolita dall’aumento dei prezzi porterà inevitabilmente i consumatori a limitare le spese, rendendoli meno propensi ad andare al cinema o ad abbonarsi alle numerose piattaforme disponibili. Ciò significa che i produttori dovranno essere ancora più attenti di prima a scegliere i progetti a cui dare il via libera, per evitare ulteriori perdite.

Il primo settore a subire tagli di budget sarà il marketing, che costituisce una grossa fonte di guadagno: nel 2024, ha rappresentato circa il 35% delle vendite di Paramount e il 20% di quelle di Warner Bros Discovery, mentre per piattaforme come YouTube il valore è ancora più alto. Ma in questo clima economico, aziende come quelle automobilistiche (tra le più colpite dai dazi, e tra i principali inserzionisti dei network televisivi) dovranno riconsiderare le proprie spese pubblicitarie; allo stesso tempo, le compagnie cinesi smetteranno di utilizzare le piattaforme social statunitensi per farsi pubblicità, provocando perdite di miliardi di dollari.

Solo Netflix, stando a un articolo di Bloomberg, sembra non essere troppo preoccupata: la pubblicità non costituisce una fonte di guadagno così importante per la società, e se i consumatori decidessero di essere più selettivi sugli abbonamenti alle piattaforme, il loro sarebbe l’ultimo ad essere cancellato. Per quanto riguarda gli altri servizi di streaming, al di là di una diminuzione delle sottoscrizioni non subiranno grosse conseguenze dirette, ma molte delle società di cui fanno parte sì: Apple, per esempio, è stata colpita direttamente dai dazi sulla produzione di iPhone e di tutti i suoi dispositivi hardware, che fabbrica all’estero per poi importarli negli Stati Uniti; lo stesso vale per Amazon, mentre Disney potrebbe vedere una minor affluenza nei suoi parchi a tema, da cui trae la maggior parte del suo fatturato.

Tutto questo provocherà un’ulteriore contrazione nel numero di film e serie prodotte, soprattutto se realizzate all’estero. L’amministrazione Trump ha più volte lamentato un eccessivo dislocamento degli sforzi produttivi di Hollywood, criticando in particolare il fatto che l’Unione Europea costringa le piattaforme a investire in produzioni locali tramite la direttiva dell’Audiovisual Media Services. Anche la Motion Pictures Association è d’accordo, sostenendo come in Europa ci siano “obblighi di investimento sproporzionati”. D’altra parte, gli studios hanno saputo approfittare dei minori costi offerti dai Paesi esteri (non solo Europa, ma anche Canada e Australia) e dei loro incentivi statali. L’obiettivo di Trump sarebbe però quello di riportare “a casa” questi investimenti, facendo tornare l’industria a quella “golden age” perduta da tempo.

C’è infine la questione Cina. Il leader del Paese Xi Jinping ha replicato immediatamente ai dazi trumpiani, dichiarando che avrebbe “combattuto fino alla fine” e invitando il Presidente USA a tornare sui suoi passi. Al momento i rapporti tra le due parti sono ai minimi storici e, mentre Trump minaccia ulteriori tasse sulle componenti elettroniche necessarie per la fabbricazione di smartphone e PC, il governo cinese ha annunciato, tra le contromosse che limiterà la distribuzione delle opere cinematografiche hollywoodiane nel Paese. La Cina ha infatti il completo controllo sui film distribuiti sul proprio territorio, talvolta imponendo modifiche e tagli, in particolare su tematiche come la rappresentazione e l’inclusività LGBTQ+. Si tratta di una contromisura che avrà ben poche ripercussioni sul box office cinese, dal momento che i film americani costituiscono circa il 5% dei guadagni annuali. Sarà invece un duro colpo per gli studios di Hollywood, per i quali il mercato cinese era diventato negli anni il secondo più importante, dietro solo a quello statunitense.


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