Le fabuleux destin du Festival de Cannes

Quest’anno il Festival compie 55 anni e li festeggia con una corte di registi acclamatissimi. Quando nasce Cannes? Chi ha illuminato il suo mito o ne è stato illuminato a sua volta? E oggi, oltre al glamour e al commercio dei film, cosa rimane sulla Croisette?

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Il festival di Cannes nasce come figlio ribelle della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Creato nel 1932, il festival veneziano è l’incontrastato punto di riferimento della cinematografia internazionale, fino a quando le ingerenze dei regimi nazifascisti non si oppongono platealmente alla sua indipendenza artistica, istigando la Francia (già interessata alla creazione di un evento concorrente, forse in questo sostenuta dall’America) a mettere in pratica il sogno di un festival alternativo. Ad accentuare il clima di tensione, nel 1937 compare a Venezia “La grande illusione” di Jean Renoir, film antimilitarista e caro alla sinistra francese: nonostante il successo, la pellicola è accolta con freddezza dal regime fascista, che più avanti ne vieterà addirittura la proiezione nelle sale. Intanto in Francia tutto è in fermento per la realizzazione del “sogno”, con le città di Cannes e Biarriz in concorrenza per ospitare una nuova mostra del cinema, finché l’1 settembre 1939 i saloni del Casino Municipal di Cannes si aprono per la prima edizione del festival. La giuria vanta la presenza di nientemeno che Louis Lumière, mentre tra i registi in concorso spiccano i nomi di Hawks, De Mille e Laughton. Ma un fenomenale colpo di teatro interrompe lo spettacolo dopo la sua prima serata: l’invasione tedesca della Polonia, ovvero l’inizio della guerra.

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È solo nel 1946 che il Festival di Cannes riaprirà i battenti, ospitando in concorso opere di Wilder e Clément, e premiando, tra gli altri, il Rossellini di “Roma città aperta”. Risolti gli iniziali problemi economici, dal 1952 Cannes si impone come appuntamento annuale: l’anno successivo è inaugurato il famoso Palais, e sempre nel ’53 nasce il mito di Brigitte Bardot, simbolo di diva anni ‘50. Ma è nel ‘55 che nasce un simbolo ancora più importante: la matita di Jacque Cocteau –su un’idea della gioielliera parigina Suzanne Lazon- disegna la Palma d’Oro, che diventa il premio ufficiale del festival.
Tra i ’50 e i ’60 quella di Cannes è una realtà cinematografica e mondana affermata dove si susseguono star internazionali e film destinati al culto (“Othello” di Welles, “La legge del Signore” di Wyler, “Il Gattopardo” di Visconti), anche se non tutti baciati da un successo immediato: nel ’55 “La Valle dell’Eden” di Elia Kazan viene accolto da fischi, e lo stesso destino toccherà a Fellini nel ’60. Pur ricevendo la palma d’oro, “La dolce vita” non seduce il pubblico delle premières, così come lo spiazza “L’Avventura” di Antonioni, che tuttavia riceve nello stesso anno il premio speciale. E sette anni dopo, nel ’67, il regista ferrarese vincerà la palma d’oro con “Blow Up”. Il festival assume anche un crescente ruolo commerciale: il “Marché du film”, che già si svolgeva ufficiosamente nelle sale di Rue D’antibes, vede nel 1959 il suo ufficiale debutto.
Le rivolte studentesche e anti-istituzionali che agitano la Francia nei tardi anni ’60 si ripercuotono anche sulla Croisette: nel ‘68 un gruppo di registi (tra cui Truffaut, Polanski, Lelouch e Godard) irrompe nel Palais e impone la sospensione della mostra, e l’anno successivo il festival rinasce arricchito della Quinzine des Réalisatuers, sezione dedicata alle opere prime e seconde di registi emergenti.
Gli anni ’70 vedono la celebrazione di pellicole di culto americane e italiane: “MASH” di Altman, “Taxi Driver” di Scorsese, “L’albero degli zoccoli” di Olmi, “Apocalypse Now” di Coppola. Nel ’78 Gilles Jacob diventa Delegato Generale della Mostra e crea la sezione “Un certain régard” ed il premio alla migliore opera prima “Caméra d’Or”. Accanto all’omaggio agli autori, non mancano il tradizionale divismo, e soprattutto gli ancora più tradizionali scandali: è il caso de “La Grande Abbuffata” di Ferreri e di “La maman e la Putain” di Eustache, che nel 1973, pur vincendo ex equo il premio della critica internazionale, mettono in crisi il “buon gusto” del festival e della sua indignata giuria, presieduta da un’imbarazzata Ingrid Bergman.
Tra gli ’80 e i ’90 le personalità celebri e i registi indie si alternano, e i riflettori, accompagnati o meno dalle palme, si accedono su Kustiritza (“Papà è in viaggio d’affari”), Lynch (“Strade Perdute”), Wenders (“Paris, Texas”), Lee (“Jungle Fever”), Leight (“Naked”), Loach (“Piovono pietre”), Jarmush (“Mystery train”), Soderberg (“Sesso bugie e videotapes”), i fratelli Coen (“Barton Fink”), la Champion (prima donna premiata con la palma d’oro, per “Lezioni di Piano”), Tarantino (“Pulp Fiction”). E trovano un’importante luce espositiva anche molti registi asiatici, tra cui spiccano Mira Nair (“Salaam Bombay”), Chen Kaige (“Addio mia concubina”), Bahman Ghobadi (“Il tempo dei cavalli ubriachi”), Tran Ahn Hung (“Il profumo della papaya verde”), Zhang Ymou (“Vivere!” “La triade si Shangai”), Jafar Panahi (“Il palloncino bianco”), Abbas Kiarostami (“Il gusto della ciliegia”), Tsai Ming Liang (“Il buco”) e Wong Kar-Wai (“Happy Together”, “In the mood for love”).
Ma gli ultimi decenni segnano anche la definitiva assimilazione del festival a un concetto di mercato del film: un budget approssimativo di 40 milioni di franchi, più di 400 lungometraggi “in vendita” per edizione, e un numero di accreditati che passa da 8000 nel 1980 a 25000 nel 1996. La copertura mediatica si fa massiccia (almeno 9000 gli accrediti per giornalisti nelle edizioni degli anni ‘90) e il festival è un appuntamento di forte richiamo popolare: soprattutto per la passerella di star e starlettes, che rende la Croisette sinonimo di glamour più che di cinefilia.
Se Venezia mantiene (almeno fino all’ultima edizione) una maggiore sobrietà di toni, Cannes si crogiola nella spettacolarità mondana, che ne fa una vedette dal punto di vista del richiamo internazionale, ma che suggerisce anche a un malizioso giornalista del Guardian (il quotidiano dell’Intellighenzia inglese), che “se la notte degli Oscar è una produzione Hollywoodiana mascherata da serata di gala, Cannes è un festival industriale travestito da film Dogma”. E sarà proprio la primadonna del Dogma, Lars Von Trier, a inaugurare l’ingresso di Cannes nel nuovo millennio, con il trionfo di “Dancer in the dark” nel 2000. Il 2001 vede invece la rivincita dell’Italia e di Moretti (adorato in Francia, ma il cui “Aprile” è accolto tiepidamente nel 1998), con “La Stanza del Figlio” che guadagna la Palma d’Oro.
Quest’anno il Festival di Cannes festeggia 55 anni e per l’occasione risucchia quasi tutto il meglio del cinema attualmente in circolazione: Bellocchio, Leigh, Winterbottom, Gitai, i Dardenne, Kaurismaki, De Oliveira, Loach, Cronemberg, Kiarostami e Polanski.
Anche Woody Allen per l’occasione sfilerà sulla Croisette, presentando il suo “Hollywood ending” e dunque tradendo un po’ il suo tradizionale sodalizio con Venezia. E mentre sul lungomare della Costa Azzurra il rito dei paparazzi si mescolerà alle passeggiate di vedettes e autori, resta proprio da chiedersi che cosa rimarrà per il Lido.

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