Le margheritine, di Věra Chytilová

Esempio di cinema d’avanguardia, una irriverente pernacchia al sistema di potere, mantiene ancora oggi intatta la sua forza contestatrice e la modernità del linguaggio. In versione restaurata.

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Ci sono film che devono essere inseriti nel contesto socioculturale del tempo. Da una parte il movimento cinematografico cecoslovacco Nová vlna che propone opere importanti come Gli amori di una bionda (1965) di Miloš Forman e Treni strettamente sorvegliati (1966) di Jiří Menzel. Dall’altra la situazione politica a Praga con fermenti di rivolta che verranno soffocati nel sangue nel 1968 con l’intervento dell’Unione Sovietica. Le margheritine (1966) è il terzo film di Věra Chytilová e spinge molto più in là il discorso sperimentale proponendo un linguaggio d’avanguardia e temi altamente provocatori.

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Due ragazze, Maria 1 (Ivana Karbanova, la bionda vergine) e Maria 2 (Kitka Cerhová, la bruna emancipata), decidono che se il mondo è corrotto anche loro non saranno da meno. Per questo motivo si abbandonano ad avventure sempre più grottesche fino alla totale distruzione di una ricca tavolata per un ricevimento dedicato agli alti funzionari del partito comunista.

All’uscita del film la regista è stata bandita dai set per molti anni perché i vertici governativi si sono sentiti pesantemente chiamati in causa. In realtà il discorso imbastito da Věra Chytilová riguarda la ribellione giovanile e femminile contro gli ingranaggi di una massiccia macchina di potere maschilista che utilizza la violenza per reprimere qualsiasi voce dissonante dal coro. Nell’incipit, parafrasando il montaggio delle attrazioni, si alternano immagini di repertorio di bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale con quelle degli ingranaggi di un volano per la filatura. Le due ragazze in costume si muovono a scatti e parlano come automi e poi decidono di mangiare il frutto proibito dall’albero della conoscenza. Da quel momento il loro comportamento si traduce in una distruzione totale di tutto ciò che passa loro tra le mani: uomini, cibi, vestiti, pellicola cinematografica. In una delle scene più riuscite, le due figlie dei fiori (del male) si scatenano con un paio di forbici in maniera tanto violenta da determinare la scomposizione dadaista della inquadratura. Anche i loro corpi subiscono una surreale decapitazione.

Ci sono citazioni di Buñuel in questo sovvertimento anarcoide dell’ordine costituito, ma anche richiami alla comica muta di Keaton e alla contemporanea Pop Art. Provate a guardare il film togliendo il sonoro, vi accorgerete di come la potenza visiva dell’opera amplifica il messaggio rivoluzionario. Věra Chytilová usa per la prima volta il colore con intento spregiudicato aiutata dal marito direttore della fotografia Jaroslav Kučera. La sua pellicola “lisergica” Orwo, esalta i toni psichedelici e crea continue variazioni cromatiche: si va dal bianco e nero, ai toni accesi, al virato seppia, al negativo. Animazioni, disegni, flashes, linee ferroviarie elettrificate si rincorrono senza un apparente filo logico approfittando di falsi raccordi di montaggio. Sono tanti a cadere sotto i colpi delle due Marie “terroriste”: ballerini swing in locali anni 20, spasimanti che collezionano farfalle, “sugar-daddy” imbucati in treni strettamente affollati. La musica commenta ironicamente gli eventi tra il Plasir d’amour di Martini e il Requiem di Brahms. Le ragazze sono spesso inquadrate frontalmente e sembrano guardare lo spettatore sfidandolo. Fumano e bevono, si ingozzano riempendosi la bocca di cibi e frutti diversi, utilizzano il loro corpo per sedurre maschi sempre più attempati.

Pur essendo svestite per la maggior parte del tempo, Věra Chytilová le utilizza per frantumare in tanti pezzi la proiezione di un desiderio maschile malato. Ogni tanto fa capolino la tristezza, quando i loro sguardi si perdono nel vuoto e nella insensatezza (“ci hanno tolto le lacrime e vogliono che ridiamo” dirà la poetessa Zuzana Boryslawska). Poi si riprende a castrare il potere, forbici alla mano, fregandosene delle conseguenze.

Girato con soldi governativi, Le margheritine è un esempio di cinema d’avanguardia, una irriverente pernacchia al sistema di potere, veicolata attraverso il corpo sovversivo di due adolescenti di fine anni ’60. Mantiene ancora oggi intatta la sua forza contestatrice e la modernità del linguaggio, profetizzando in maniera sarcastica i sogni infranti della Primavera di Praga. Altro che sol dell’avvenire.

 

Titolo originale: Sedmikrásky
Regia: Věra Chytilová
Interpreti: Jitka Cerhová, Ivana Karbanová, Julius Albert, Jan Klusák, Marie Češková, Jiřina Myšková, Marcela Březinová, Oldřich Hora, Václav Chochola, Josef Koníček
Distribuzione: Cineteca di Bologna
Durata: 75′
Origine: Cecoslovacchia, 1966

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
4.33 (3 voti)
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