Le meraviglie, di Alice Rohrwacher
Le ‘meraviglie’ sono nel titolo. Ma di ‘meraviglioso’ c'è ben poco. Il trailer aveva dato l'illusione di poterci scrivere con trasporto e non irrigiditi come in questo pezzo. La cineasta ha in testa un’idea di cinema ben chiara ma non sfrutta le sue potenzialità. L’idea, più di un’occasione mancata, è proprio quella di un film sbagliato. Che guadagna pure in autorialità ma perde in freschezza
Un mondo a parte. Fatto di suoni ricorrenti. Come quello delle cicale e delle api o dal vento interrotto soltanto da quello delle auto. Le ‘meraviglie’ sono nel titolo. Ma il film di ‘meraviglioso’ ha ben poco. Il trailer aveva ingannato. E aveva dato l'illusione di poterci scrivere con trasporto e non irrigiditi come in questo pezzo. Con uno stile asciutto, dopo il promettente esordio di Corpo celeste, il cinema Alice Rohrwacher vive spesso sul doppio binario tra realtà e dimensione fantastica. Mette a contatto i suoi personaggi con la materia (la terra, il miele) ma lascia emergere anche la polvere dei sogni. Soltanto che in questo caso, si fa prendere la mano perdendo quell’immediatezza che aveva la sua opera precedente. E le apparizioni hanno una consistenza dissonante e non hanno quel toni di una favola arcaica come può avvenire, per esempio, nel cinema di Salvatore Mereu.
Un mondo a parte. Chiuso in campagna. Qui vive Gelsomina con le tre sorelle minori. Il padre vuole proteggere la sua famiglia da un ‘modo di vivere’ che sta per finire in cui domina il rapporto privilegiato con la natura. Ogni giorno sembra uguale all’altro: il raccolto, la produzione del miele. Ma quell’estate è invece diversa. Arriva un ragazzino tedesco Martin, inserito in un programma di rieducazione. Sul posto poi arriva un concorso televisivo a premi, “Il paese delle meraviglie” condotto dalla fata bianca Milly Catena.
La Rohrwacher ha in testa un’idea di cinema ben chiara ma non sfrutta tutte le sue potenzialità. L’idea, più di un’occasione mancata, è proprio quella di un film sbagliato. Che potrebbe decollare da un momento all’altro, dove la sorella della regista, Alba Rohrwacher, offre un’interpretazione convincente in un personaggio che solo apparentemente sembra relegato ai margini e invece risulta decisivo proprio nell’interazione tra Gelsomina e il padre, ma che alla fine non ci riesce. Gelsomina potrebbe essere la reincarnazione di Marta di Corpo celeste e questo conferma ancora una volta come la regista sappia lavorare con gli adolescenti. Ma non si entra nel suo mondo di sogni ma viene soltanto attraversato. E la fata Monica Bellucci è una visione troppo definita, visibile quando è sulla scena ma, nella visione soggettiva della ragazzina, risulta evanescente.
Un mondo/cinema a parte. Certamente rigoroso che in Le meraviglie guadagna pure in autorialità ma perde in freschezza. Che sembra voler esibire più che mostrare un percorso di crescita. Che si muove tra Pinocchio e Fellini (Gelsomina come Giulietta Masina in La strada), rivisita Padre padrone dei Taviani e si sposta dalle parti di Antonioni nel modo in cui filma la scomparsa. Le suggestioni adatte che però non si integrano tra loro. Per questo il film sembra tener(ti) spesso a distanza. Come nel caso della canzone T’appartengo di Ambra, prima cantata poi interrotta. Un ballo che prova a partire e poi si spezza. Esempio evidente di come Le meraviglie abbia avuto in realtà sempre paura a lasciarsi andare. O di abbassarsi sotto una certa soglia.
Regia: Alice Rohrwacher
Interpreti: Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Monica Bellucci
Distribuzione: Bim
Durata: 110'
Origine: Italia/Svizzera/Germania 2014