"Le quattro volte" di Michelangelo Frammartino
Le ambizioni si moltiplicano rispetto all’esordio Il dono, e vengono brillantemente superate. Il succedersi cosmico dell’Umano, dell’Animale, del Vegetale e del Minerale; un equilibrio retto dall’uomo e dallo squilibrio fertile che porta con sé. Frammartino costruisce uno sguardo di potentissima consistenza, e raggiunge l’agognato punto di convergenza tra la purezza dell’osservazione e i rigori della geometria. A Cannes 63 nella Quinzaine des Realizateurs

E ancora all’uomo. Perché uno dei molti motivi che fanno de Le quattro volte una scommessa difficile ma brillantemente vinta, è che non si cade nell’ingenuità di mettere tutti gli elementi sullo stesso piano. L’uomo incornicia il disegno strutturale, lo apre e lo chiude. Anche se nel finale non viene visto, l’ultima inquadratura (un camino fumante) riprende il tratto che ha distinto il primo segmento “umano” da tutti gli altri: la ricorrenza (diciamo pure rituale) di alcuni punti di vista sui medesimi luoghi ripresi in modo identico in momenti diversi.
È vero, forse un disegno strutturale del genere è troppo meccanico: è l’unico, marginalissimo difetto di un film davvero straordinario. Perché si assiste, come non si assisteva da tempo (specialmente in ambito italiano) alla sbalorditiva riuscita dell’unione tra la purezza dell’osservazione e i rigori della geometria. Le quattro vite intrecciate in un unico ordine superiore in cui anche lo squilibrio (si veda lo straordinario piano-sequenza della processione e del contrattempo che la perturba) ha una sua collocazione, si susseguono lasciando a ogni passo del proprio sviluppo il tempo, lo spazio e il respiro sufficienti affinché trovino ai nostri occhi una consistenza grafica monumentale.
Regia: Michelangelo Frammartino
Distribuzione: Cinecittà Luce
Durata: 88’
Origine: Italia/Germania/Svizzera, 2010