Le règne animal, di Thomas Cailley

Più fantasy che horror, un film ispirato e originale, sorretto dalla grande prova di Romain Duris e Paul Kircher che perde qualcosa solo nell’epilogo. Un certain regard.

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Emile cerca la sua immagine riflessa nell’acqua. Sente che il suo corpo si sta trasformando ma non può vedersi. Ha però bisogno di guardarsi e di vedere gli effetti della sua mutazione. È proprio questo scarto tra i motivi che segnano Le règne animal, un altra storia di sopravvivenza su un mondo che sta cambiando dopo The Fighters. addestramento di vita, il gran bell’esordio di Thomas Cailley che declina questi temi in una chiave più fantasy che horror.

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L’umanità sta cambiando: molte persone si stanno infatti trasformando in animali. In alcuni di loro sono comparsi i segni della mutazione e, per questo, sono seguiti in centri specializzati. Ma un giorno, in seguito a un incidente sulla strada, molti di loro si disperdono e vagano per i boschi. Tra loro c’è una donna e il marito François e il figlio sedicenne Emile partono alla sua ricerca.

Potrebbe prendere la direzione di un film catastrofico ma Le règne animal privilegia una direzione più intima portando i due protagonista in una zona di mezzo: quella dove ci sono gli umani e quella animale, una frontiera al di là della vita. Non ci sono più famiglie come la saga di Twilight ma individui soli, che convivono con la loro nuova identità e sono continuamente in fuga per non essere scoperti. Proprio nelle scene nella natura Cailley trova quasi l’atmosfera della fiaba che s’incrocia con tracce di commedia come nella scene in cui Fix, un uomo che sta mutando in animale, sta cercando di imparare a volare. Emile è in una terra di mezzo. È lui l’incrocio tra i due mondi. Ed è nel suo corpo che Cailley fa sentire i segni della sofferenza nella diversità ma anche il bisogno di setirsi liberi. Ci sono i dettagli sulla sua colonna vertebrale, le inquadrature insistite sull’incapacità di fare gesti abituali come quella di pedalare in bicicletta. Sullo sfondo il cielo sta cambiando. Non è nero ma si avvertono i segni di un cinema sul contagio, del quale il cineasta francese riprende la soprattutto la struttura ma poi vuole concentrarsi quasi esclusivamente sui due protagonisti. E a funzionare è soprattutto il rapporto padre-figlio, grazie anche alla complicità che si crea tra Romain Duris e Paul Kircher che regalano entrambi una prova maiuscola dove sono le loro emozioni e le loro paure a suggerirgli i dialoghi. A sorprendere ancora di più è soprattutto Kircher nei panni di Emile che con Le règne animal si conferma una delle migliori rivelazioni viste quest’anno dopo l’interpretazione in Le lycéen di Christophe Honoré.

Cailley realizza un film ispirato e originale che politicamente può essere visto contro ogni forma di intolleranza sulle diversità e che trova nelle oscurità della notte i suoi improvvisi bagliori, come nella scena in cui vengono mostrati gli umani-animali – possibili nuovi avatar di carne –  che non sono mai creature inquietanti ma soprattutto come possibili fratelli che ora sono su un altro pianeta. Superfluo forse l’epilogo che non aggiunge né toglie. Ma dopo nove anni dal primo film, il cinema di Cailley continua ad essere sulla strada giusta.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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