Le sang d’un poète – Il sangue di un poeta, di Jean Cocteau

Composto da quattro parti, con numerosi spunti visionari, animazioni, dissolvenze, effetti speciali alla Méliès, che si fanno carico del contenuto emozionale del narrato. Su Mubi.

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Composto da quattro parti, con numerosi spunti visionari, animazioni, dissolvenze, effetti speciali alla Méliès, che si fanno carico del contenuto emozionale del narrato. Su Mubi.

Per Jean Cocteau l’immagine cinematografica non è che il prolungamento del proprio mondo poetico. La voce declamante dell’artista è il filo di sutura tra il pensiero e la visione in uno stato di dormiveglia che permette la discesa nelle zone più profonde dell’Io. Per questa tendenza alla spiegazione del simbolo, Le sang d’un poète è una opera prima difficilmente inquadrabile nella corrente del Surrealismo. Rispetto ai quasi contemporanei film di Luis Buñuel, Man Ray e Germaine Dulac, Cocteau inserisce molti elementi autobiografici riguardo il processo della creazione artistica e li accompagna con un io narrante che spesso anticipa i movimenti e le pose degli attori. L’effetto finale è di sovrapposizione e ridondanza, per l’urgenza di vuotare il proprio mondo interiore senza labor limae, utilizzando una grammatica filmica tecnicamente imperfetta. Il film, sovvenzionato dal Visconte di Noailles che poi prese le distanze dal progetto, è composto da quattro parti: La mano ferita o la cicatrice del poeta in cui l’artista si trova improvvisamente a fare i conti con una bocca disegnata che rimane aperta sulla sua mano; I muri hanno orecchie? in cui la bocca si trasferisce in una statua classica animandola e causando il viaggio del poeta dall’interno dello specchio verso le quattro stanze dell’Hotel des Folies Dramatiques: qui l’atto voyeuristico si tramuta in azione autolesionista; La battaglia delle palle di neve dove dopo aver disintegrato la statua del poeta, alcuni ragazzini giocano fino a causare una morte violenta; La profanazione dell’ostia caratterizzato da una strana partita a carte tra una donna e il poeta che si conclude con l’apparizione di un angelo nero. La gloria postuma e la noia dell’immortalità sigillano la musa dell’Arte e la consegnano al futuro.

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Nei cinquanta minuti di girato ci sono numerosi spunti visionari, animazioni, dissolvenze, effetti speciali alla Méliès, che si fanno carico del contenuto emozionale del narrato.

I fantasmi della vita di Cocteau prendono forma rapidamente attraverso tagli e incollature sulla pellicola: il rapporto tra artista e opera d’arte trasfigurato nel mito di Orfeo (ripreso in altri due successivi film: Orfeo del 1950 e Il testamento di Orfeo del 1960), il suicidio del padre, la bisessualità, la morte dell’amato Raymond Radiguet, la dipendenza dall’oppio, la musica, la danza, la poesia, la magia di una infanzia perduta. La parte più convincente è proprio quella iniziale con la statua di marmo che si anima al tocco del poeta e lo invita al tuffo dentro le specchio per recuperare il senso di quello che ha smarrito. In questa immersione nel proprio subconscio (lo specchio diventa vasca piena d’acqua) il protagonista si trova a spiare dal buco della serratura rivoluzionari messicani fucilati, fumatori d’oppio, ermafroditi, bambine addestrate per lezioni di volo. Il concetto di Cinema di Jean Cocteau è piuttosto rigoroso: “Una forma pietrificante di pensiero che resuscita gli atti morti. Un film permette di dare apparenza di realtà a ciò che è irreale…”. L’idea portante di tutta la filmografia dell’autore francese è proprio questo spogliare la realtà dalle forme apparenti al fine di raggiungere lo spazio oscuro (la notte interiore) in cui emerge la vera essenza dell’Arte. Risorgere dalle proprie ceneri (fenixologia), portare le tenebre in piena luce, essere l’archeologo della propria notte conducendo il poeta alla consapevolezza del gesto creatore/distruttore. Con questo manifesto poetico programmatico Jean Coteau si pone dal lato opposto del surrealismo perchè invece di lasciare spazio alle libere associazioni dello spettatore, tende a monopolizzare il punto di vista, frantumando la statua della sua creazione poetica e diventando egli stesso di pietra.

 “Un simile film non è raccontabile. Potrei darvi un’interpretazione che mi è propria, potrei dirvi che la solitudine del poeta è cosi grande e che egli vive totalmente ciò che crea, che la bocca di una delle sue creazioni gli resta impressa nella mano come una ferita e che egli ama quella bocca, che egli s’ama insomma, che si sveglia al mattino con questa bocca dentro di sé e cerca di sbarazzarsene e se ne sbarazza sopra una statua morta e che questa statua comincia a vivere e per vendicarsi lo trascina in avventure spaventevoli. Potrei dirvi che la battaglia delle palle di neve è l’infanzia del poeta e che quando gioca la partita a carte con la sua Musa, la sua Gloria e il suo Destino, bara prendendo alla sua infanzia ciò che dovrebbe attingere a sé stesso. Potrei poi dirvi che, avendo cercato di farsi una gloria terrestre, egli cade in questa noia mortale dell’eternità cui si pensa davanti a tutte le sepolture illustri….”. (Jean Cocteau)

 

Disponibile su MUBI (gratis per 30 giorni accedendo da questo link)

 

Titolo originale: Le sang d’un poète
Regia: Jean Cocteau
Interpreti: Enrique Rivero, Elizabeth Lee Miller, Pauline Carton, Odette Talazar, Jean Desbordes
Durata: 55′
Origine: Francia, 1930

La valutazione del film di Sentieri selvaggi
3.6

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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