Le spie della porta accanto, di Greg Mottola

L’intero percorso sembra affaticato e rallentato da una scrittura che tende a svuotare e distanziare i picchi narrativi, che conduce a un obiettivo facile ma senza sbocchi

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Comincia come uno spot pubblicitario d’altri tempi, Le spie della porta accanto: il voice over di Jeff Gaffney, che descrive l’idilliaca vita nel sobborgo residenziale di Atlanta con la moglie Karen e i figlioletti, mentre immagini old fashioned american way of life passano sullo schermo. Ma le contraddizioni esplodono immediatamente, e veniamo trascinati senza tanti giri di parole nella vita ordinaria di Jeff e Karen, ordinaria fino all’arrivo nel quartiere dei coniugi Jones, fin troppo perfetti per essere veri. E il lavoro, altrettanto ordinario, di Jeff come responsabile delle risorse umane, si rivelerà snodo cruciale della vicenda. La spy comedy di Greg Mottola, firmata da Michael LeSieur (Tu, io e Dupree, Colpo grosso al museo) ha un po’ il sapore bivalente del termine “cul-de-sac”: letteralmente “vicolo cieco” – e nella storia militare non ha mai avuto accezione positiva –, indica anche la particolare conformazione con spiazzo a traversa unica delle zone residenziali suburbane nate nel XX secolo in Inghilterra, e poi sviluppatesi con fervore negli States. Una pianificazione extra-urbana che rappresenta il rifiuto dei ritmi della vita moderna, che aspira a rallentare, che cerca la rassicurante sensazione della routine comunitaria, come ribadito più volte dai personaggi. Ed è proprio qui il fulcro del film di Mottola.

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le spie della porta accanto 1Se la poetica autoriale del cineasta newyorchese vive nel ridondante sguardo al passato (anagrafico e cinematografico al contempo), come già dimostrato soprattutto in Adventureland e Paul, qui il senso del nostalgico sembra trascendere e trapassare il database del filmico: per possederlo, catturarlo, masterizzarlo attraverso i cliché di genere che ripercorrono un insieme di plot dei più celebri successi mainstream e blockbuster degli anni Ottanta-Novanta. Se nella prevedibilità dei repertori omaggiati risiede quella certa porzione di affetto rassicurante, tuttavia l’intero percorso sembra affaticato e rallentato da una scrittura che tende a svuotare, a distanziare i picchi narrativi (e ne fanno le spese anche gli interpreti, a cominciare da Zach Galifianakis, anche lui sgonfiato dalla solita esuberanza scenica), che conduce Le Spie della porta accanto a un obiettivo facile ma senza sbocchi, un vicolo cieco narrativo che non fa che tornare indietro sulla stessa strada senza crearsi alternative davvero proprie.

le spie della porta accanto 3Dello spirito di Mottola qui permane quella ricerca di senso di complicità comunitaria con un pubblico che abbia vissuto da spettatore un immaginario cinematografico cristallizzatosi ai mitici ‘80ies-early ‘90ies, che possa rivivere con affetto la prevedibilità anche ingenua dei meccanismi drammaturgici, come un malinconico tuffo nella giovinezza. E in questo ritorno al passato, l’arco cronologico del geek protagonista di turno sposta le lancette ancora più avanti, con il passaggio definitivo all’età adulta, alla responsabilità familiare. Eppure è un rifugio verso un’innocenza perduta fuori dal caos del mondo, che sembra continuare a pervadere il nucleo dei film di Greg Mottola: e Jeff sembra quasi tramutarsi in una cassa di risonanza morale che come un mantra non fa che ribadire l’importanza della comunicazione, dei legami, di un’onestà infantile da preservare. Come un animale a rischio di estinzione.

Titolo originale: Keeping Up with the Joneses
Regia: Greg Mottola
Interpreti: Zach Galifianakis, Isla Fisher, Jon Hamm, Gal Gadot
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 105′
Origine: USA, 2016

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