Le streghe – The witches, di Robert Zemeckis

Come in tutta l’ultima fase della carriera di Zemeckis, il film tratto da Roald Dahl diventa il delicato racconto di un trauma originario e della sua lenta elaborazione. Da oggi disponibile in vod

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Buio in sala. Un proiettore si accende, un gruppo di bambini affolla le poltrone, la memoria del nostro protagonista inizia a prendere forma sul grande schermo. Fermiamoci subito per una veloce parentesi: la visione in sala di un film per ragazzi – esperienza vissuta realmente appena tre giorni fa, nella serata di chiusura della 18° edizione di “Alice nella Città”, presso Il Roma Convention Center La Nuvola – sembra un ricordo lontano. Sì, perché quello stesso film (Le streghe di Robert Zemeckis) è già in uscita digitale sulle piattaforme on-demand ed affollerà probabilmente i piccoli schermi di molti bambini per Halloween. Ecco allora, l’incipit ambientato in una sala si colora di nuove e inaspettate significanze in questo complesso e a dir poco destabilizzante anno 2020. Il cinema, insomma, riesce ancora magnificamente a prefigurare (o pre-mediare) ogni sua mutazione traumatica: sin dalla prima inquadratura Le streghe ci parla di una crisi e di una possibile cura, sia per il personaggio principale sia per il luogo simbolico che ha scelto di abitare.

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Torniamo al film. Un progetto nato dalla volontà di Guillermo Del Toro (che co-firma la sceneggiatura) di adattare in stop motion l’omonimo racconto di Roald Dahl, passato poi da varie peripezie produttive (che hanno coinvolto anche l’amico Alfonso Cuaròn) e arrivato infine nelle mani di Robert Zemeckis in versione live action. La storia è nota: un ragazzino perde i genitori per un incidente d’auto e viene affidato alle cure della nonna materna; ben presto però il trauma della perdita si materializzerà con l’emersione di streghe cattive che vogliono trasformare tutti i bambini in topi da schiacciare. A questo punto risulta inevitabile il confronto con la prima trasposizione del racconto, ossia lo spericolato e sorprendente Chi ha paura delle streghe? (un B-movie con tanto di soluzioni formali che ricordavano Jacques Tourneur e Roger Corman) firmato da Nicolas Roeg nel 1990. Ma rispetto a quel film la dimensione di oscura fiaba della buonanotte raccontata dalla nonna norvegese muta qui in un’esperienza esplicitamente cinematografica che è il protagonista stesso a raccontare in voice over (quella di Chris Rock). Del Toro e Zemeckis, infatti, dislocano l’ambientazione spaziale e temporale (dall’Inghilterra degli anni ’80 all’Alabama del 1967), con il protagonista divenuto un ragazzino afroamericano e con la nonna (interpretata da Octavia Spencer) diventata una guaritrice a ritmo di musica soul.

Un cambiamento notevole di prospettiva che lascerebbe presupporre espliciti ragionamenti sulla lotta per i diritti civili e sull’immaginario conseguente (in piena modalità La forma dell’acqua), echi che solo apparentemente restano fuori da questa versione. Apparentemente, sì. Perché per Zemeckis ogni riflessione continua ad essere custodita sulla superficie delle immagini più che sugli snodi narrativi, quindi preferibilmente in profondità di campo, lì dove bisogna aprire lo sguardo. Ecco che l’albergo dove il ragazzo e la nonna cercano di sfuggire alla Grande Strega Suprema ha la forma di una casa coloniale immersa in una piantagione del Sud, con il personale di servizio quasi interamente afroamericano. La rivolta del protagonista “topizzato” dalle streghe, quindi, riesce a sovvertire innanzitutto quegli equilibri di potere rendendo sua nonna una ricchissima benefattrice che redistribuisce il denaro in Alabama.

Certo, il film sconta anche la sua lunga gestazione e le troppe personalità creative coinvolte: al trucco prostetico che trasformava Anjelica Huston in una formidabile strega espressionista si sostituisce qui una CGI non ispiratissima in quella che è forse la parte meno riuscita. Ossia l’apparizione della Strega Suprema e la lotta che ne consegue, con Anne Hathaway che non riesce quasi mai ad eguagliare la magniloquente fascinazione della Huston. Ma, di nuovo, non è questo il punto. Perché è ai bordi dell’inquadratura (e della narrazione stessa) che il cuore umanista del cinema di Zemeckis balena improvvisamente e lascia tracce indelebili. Tornano infatti i ritorni al futuro (dagli anni Ottanta di Dahl agli anni Sessanta della New Hollywood), tornano le mutazioni corporee come dolorosi abissi identitari (La morte ti fa bella) e torna la stratificata dimensione sonora come strada per ogni Contact emotivo con i propri cari. Ma c’è di più: come in tutta l’ultima fase della carriera di Zemeckis Le streghe diventa il delicato racconto di un trauma originario e della sua lenta elaborazione. Il lutto del bambino che offusca la dimensione fenomenica rendendola grigia e ripetitiva ha un disperato bisogno dell’immaginario popolare per essere elaborato… proprio come per il senso di colpa di Flight, l’amore ferito di Allied o la violenza subita in Benvenuti a Marwen. L’unico modo che ha Zemeckis (e tutti noi, in questo periodo?) per tentare una cura è aprire lo scrigno della memoria condivisa: i primi, meravigliosi, dieci minuti di questo film ci mostrano un bambino ferito e depresso che la nonna decide di curare ballando sulle note struggenti di Reach Out I’ll Be There dei Four Taps o di (Sittin’ On) The Dock Of The Bay di Otis Redding. Come nella trilogia di Ritorno al futuro si apre con fiducia l’archivio della cultura popolare – dagli archetipi del viaggio dell’eroe alle trame da coming of age per sconfiggere le streghe cattive – accettando infine l’età adulta e una nuova condizione esistenziale.

Il grande schermo (che non a caso torna nel finale del film…) resta ancora oggi per Robert Zemeckis l’unica dimensione immaginaria a saper coagulare il presente della streaming culture (che fatalmente avoca a se la fruizione dell’audiovisivo nel XXI secolo) e il nostro passato di spettatori fanciulli (che esige ancora la creazione di una comunità di visione) tracciando una mappa sentimentale condivisa. Ci risiamo quindi: “io mento su tutto, tranne che sui sentimenti”, come dice Marion Cotillard nel finale del capolavoro Allied… il cinema di Robert Zemeckis, del resto, è sempre stato questo.

Titolo originale: The Witches
Regia: Robert Zemeckis
Interpreti: Anne Hathaway, Octavia Spencer, Jahzir Bruno, Stanley Tucci, Codie-Lei Eastick, Chris Rock, Charles Edwards
Durata: 105′
Origine: USA, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.22 (9 voti)
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