Le Vrai Du Faux, di Armel Hostiou
Dalla sezione Nuove Visioni del Sicilia Queer Film Fest, un meta-documentario che sottolinea come la linea che separa il vero dal falso è ancora più sottile nell’era dei social media
L’idea alla base del documentario è originale: cosa succede ad un regista francese quando il proprio profilo Facebook viene hackerato e viene creata un’altra identità a Kinshasa nel Congo per mettere a segno delle truffe? Armel Hostiou racconta la propria esperienza e lo fa con un espediente narrativo molto convincente che sarebbe piaciuto al nostro Michelangelo Antonioni in riferimento al suo personaggio che svanisce nel finale di Blow Up.
Più ci si addentra nel caos e nella dispersione del continente Africano più vero e falso si mescolano fino alla dissoluzione dell’identità del soggetto indagante. Hostiou da detective alla ricerca del suo doppio diventa osservato, e in maniera indiretta, complice del suo fake dei social media. Anche perché il misterioso doppio organizza casting proprio mentre il regista si trova a Kinshasa per risolvere questa pericolosa matassa burocratica. Si capisce subito che dietro il furto d’identità si cela qualcosa che ha profonde radici socioculturali. In riferimento alla Storia delle origine della nazione Congolese, il portoghese Diego Cao ha semplicemente colonizzato un territorio già occupato dalla popolazione indigena: come entrare in casa altrui e appropriarsi di tutte le stanze. La duplicazione del profilo Facebook è in realtà simbolicamente una riappropriazione di qualcosa che è stato tolto. Fingendosi il francese Hostiou, il congolese Cromix si riprende una vita che gli è stata rubata dai fondatori europei. La povertà spinge molte ragazzi e ragazze africani a presentarsi ai falsi casting per potere ottenere la parte in un film.
Armel Hostiou riproduce la situazione del suo fake e intervista le giovani attrici africane chiedendo loro di raccontare una storia vera e una falsa facendo in modo di confondere i due piani. Vengono narrate storie terribili di abusi, violenze, malattie familiari. In quel momento la camera regala un momento puro di verità mentre si sofferma sul viso di queste donne. Quando Armel Hostiou riesce a rintracciare il suo doppio la tentazione di fare un film nel film è troppo ghiotta; ma mentre il regista francese riprende i falsi casting del suo fake, mettendo in scena la truffa dei soldi da anticipare per potere accedere alla selezione, alcune delle ragazze riconoscono il viso di Hostiou e credono veramente che i provini attoriali siano reali. Il cortocircuito vero/falso crea una depersonalizzazione e mentre osserviamo le lacrime commoventi dei soggetti ripresi, ci chiediamo fino a dove possiamo spingerci nel fare coincidere la realtà e la sua rappresentazione. Tra riti magici e superstizioni, piogge torrenziali e traffico caotico, il processo investigativo di Hostiou si trasforma in un passaggio di consegne: vediamo la casa/rifugio di Cromix, gli splendidi tramonti sul fiume, i terreni attorno devastati e incendiati, il suo padre adottivo e una miriade di bambini che lo abbracciano. Ci rendiamo conto che il neo “regista” cerca una vita alternativa, un tuffo nel fiume Congo che da nero lo possa trasformare in bianco. Vuole dirigere la propria esistenza in un’altra direzione. I capi del villaggio hanno inscenato false sepolture per salvaguardare le proprie terre. E’ tutto vero ma in realtà ogni cosa è un falso.
Tra i film più interessanti presentati nella sezione Nuove Visioni alla XIV edizione del Sicilia Queer Film Fest, Le Vrai Du Faux è un meta-documentario che sottolinea come la linea che separa il vero dal falso è ancora più sottile nell’era dei social media. Basta un click per diventare un altro e chi vede la propria identità rubata non può fare a meno di pensare a quanta parte dentro di se è solo immagine simulata. Proprio quando cominci a provare a gettare un ponte tra il nord e il sud del mondo ti accorgi di esserti perso nei labirinti dei tanti destini possibili. Il rap nel finale rivela questa contraddizione di fondo: nascere a Parigi o nascere a Kinshasa sottende un gap di fondo incolmabile.