Leopardi il poeta dell’infinito, di Sergio Rubini

Lontano da ogni seduzione di sperimentazione visiva, la miniserie rimanda ad una elaborazione sui toni del melodramma che infiamma d’amore le anime. VENEZIA81. Fuori Concorso.

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Il destino di Sergio Rubini è forse quello di inseguire il cinema di Mario Martone. Per la seconda volta dopo l’accoppiata Qui rido ioI fratelli De Filippo, la miniserie del regista pugliese alla ricerca di una verità su Leopardi rimanda a Il giovane favoloso.
In verità, a ben guardare, nell’uno e nell’altro caso lo sguardo di Rubini conserva una propria personalità nettamente differente da quella del regista napoletano e, pur nella sua maggiore e immediata leggibilità che non è sinonimo di semplicità ma di articolazione differente della sintassi dialettica, anche la serie sul poeta dell’infinito, conserva una sua ricchezza di temi pur destinato ad un consumo televisivo, anche qui con ogni conseguenza del caso.
Lontano da ogni seduzione di sperimentazione visiva, Rubini con il suo racconto rimanda al cinema classico, ad una elaborazione sui toni del melodramma che infiamma d’amore le anime. E in realtà l’intera narrazione si fonda su questo reticolo melodrammatico che coinvolge i personaggi che hanno animato la biografia di Giacomo Leopardi. L’amore di Fanny per il bell’Antonio Ranieri, quello di Giacomo per Fanny, quello di Monica, la giovane cantante e promessa della lirica, per Giacomo e ancora quello di Paolina, sorella di Ranieri, sempre per lui e infine il rapporto di solido amore amicale tra Ranieri e Leopardi. Un campionario di amori e di relazioni che alimenta quel tema sempre infinito dell’amore su cui, in fondo, germoglia ogni verso dei componimenti poetici di Leopardi, come egli stesso dice in una battuta del film.
Le ricostruzioni d’ambiente confermano, nella loro efficace e didascalica forma, l’idea del romanzo d’appendice con l’eccezione dei fondali durante la lunga cena evocativa tra Fanny Targioni Tozzetti e Antonio Ranieri. I quadri scenografici che fanno da fondale, mutevoli e oleografici, restituiscono quel tanto di immaginario che inevitabilmente lavora in sottofondo nell’evocazione di una vicenda umana e amorosa come quella messa in scena da Rubini. A questo si aggiunge un utilizzo della musica in funzione enfatica con i suoi pieni orchestrali che sottolineano alcuni istanti topici del racconto. Un cast insolito, con volti nuovi – fatta eccezione per Alessio Boni, Alessandro Preziosi e Valentina Cervi – che sanno reggere la scena, ribadendo le qualità del nostro corpo d’attori e con la conferma di Leonardo Maltese ormai alla sua quarta prova importante dopo l’esordio con Il signore delle formiche di Amelio.

La valutazione della serie di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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