Les enfants terribles, di Ahmet Necdet Çupur

Non lontano da Panahi, ci imprigiona e getta nella realtà familiare del regista, per farsi segno e metafora dei conflitti interni alle famiglie musulmane più conservatrici. Oggi al RIDF di Roma

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Verso l’inizio del film c’è una scena che esemplifica le istanze comunicative di Les enfants terribles, veicolandone anche le marche enunciative. Due coniugi siedono l’uno accanto all’altro sul letto, separati da uno spazio invisibile che già ne sottolinea una distanza incolmabile. Mahmut, il marito, si rivolge gentilmente alla giovane moglie, confessandole di non averla mai amata. Vorrebbe divorziare, ma il matrimonio di cui sopra, così come ogni decisione nella sua vita, gli è stato imposto dall’alto, da quella stessa istituzione familiare (e soprattutto, paterna) da cui egli desidererebbe allontanarsi, in modo da poter finalmente esercitare una parvenza di controllo sulla sua esistenza. In questo senso, la parabola di liberazione di Mahmut, unita al tentativo di emancipazione della sorella minore Zeynep, rifletterebbe, nella suo disvelamento microcosmico, l’incontro/scontro di visioni e idee all’interno di una qualsiasi famiglia musulmana di stampo tradizionale. Se non fosse che i due soggetti di riferimento appartengano ad un nucleo familiare ben preciso: quello del regista stesso.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Ritornato dopo vent’anni in Turchia, nel piccolo villaggio di Keskincik situato lungo il confine siriano, il cineasta rende così le dinamiche interne alla sua famiglia oggetto di una documentazione (auto)riflessiva, dove l’occhio della camera digitale filtra e osserva i conflitti intestini, nel momento stesso in cui accadono. Ogni scontro, dibattito e asserzione personale assume in Les enfants terribles una valenza duplice, tesa ad affermare quelle due tensioni, che come messaggi nell’etere, attraversano trasversalmente il corpo critico del testo: da un lato la volontà del filmmaker di legare le costrizioni cultural-religiose a cui sono soggetti i suoi fratelli a quelle esperite da tutti i giovani che vivono sotto il segno della shari’a; dall’altro la necessità di proiettare il proprio percorso di affermazione/liberazione sui corpi dei suoi incolpevoli familiari, in modo da prefigurare, per loro stessi, delle possibilità di vita futura lontano dalle soffocanti inibizioni delle leggi comunitarie. Agli occhi di Ahmet, infatti, gli strenui tentativi di Mahmut e Zeynep di svincolarsi dalle volontà parentali, rifiutandosi rispettivamente di sottostare alle proibizioni di un matrimonio coatto, e di abbandonare il diritto all’educazione universitaria, non li rendono colpevoli di una insubordinazione sacrilega verso la legge divina. Al contrario, entrambi metaforizzano i cambiamenti di una nuova generazione di giovani musulmani, che cercano di definire gli orizzonti futuri secondo le proprie necessità, senza per questo tradire i dogmi su cui è fondata la loro cultura di appartenenza.

Eppure, come suggerisce il titolo, Mahmut, Zeynep e, forse, anche Ahmet, continuano ad essere identificati alla stregua di “Les enfants terribles”. Di “bambini dispettosi” incapaci di seguire o comprendere le “sagge e corrette” indicazioni genitoriali. Lo stesso regista, occultando e nel contempo insinuando la sua presenza all’interno del fotogramma, si intromette di petto in questo orizzonte, per districare con la sua soggettività (e i suoi trascorsi passati) gli ingarbugliati intrecci del presente. In maniera simile al Panahi di Taxi Teheran e dei Tre volti, egli ci imprigiona e scaraventa nel suo mondo accidentato, facendosi indice, segno e metafora dei moti emozionali della famiglia in cui si (auto)identifica, e per estensione dei conflitti interni alle famiglie musulmane più conservatrici.

Sotto lo strato di un film tanto immersivo nelle sue digressioni umaniste, quanto grezzo nell’indagine della comunità esterna, troviamo allora i sintomi di un cineasta talentuoso, che sembra aver metabolizzato in Les enfants terribles uno dei concetti cardine della documentazione del reale. Mostrare cioè il mondo nel momento stesso in cui si rivela, senza abbellimenti né mediazioni in eccesso. Se non quelle dell’affetto dirompente che si prova verso i soggetti inquadrati. Con cui si arriva a condividere tutto. Anche, come in questo caso, il legame più profondo che esista.

Titolo originale: Yaramaz Çocuklar
Regia: Ahmet Necdet Çupur
Interpreti: Mahmut Çupur, Zaynep Çupur, Nezahat Çupur
Durata: 92′
Origine: Francia, Germania, Turchia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative