Les feuilles mortes (Fallen Leaves), di Aki Kaurismäki
Il cinema di Kaurismäki è ormai entrato in una dimensione a parte, che solo pochi hanno conosciuto. Quella in cui racconto, forma, vita si uniscono in una semplicità assoluta. Concorso.
In un magnifico momento di Scusate il ritardo, quando Troisi e Giuliana De Sio cercano di prepararsi un caffè a casa del professore, partito all’improvviso, si trovano a combattere con una macchinetta per una sola tazza. E Troisi nota come sia il più perfetto esempio di solitudine: non avere neanche la speranza che qualcuno ti venga a trovare. È una battuta che ritorna alla mente vedendo Les feuilles mortes, l’ultimo film di Aki Kaurismäki: la scena in cui Ansa, dopo aver invitato a cena Holappa, va a comprare un piatto e un altro paio di posate. Già, proprio il massimo della solitudine.
È ciò che salta agli occhi davanti alla gran parte dei personaggi di Kaurismäki: il loro essere marginali, “banditi” e profondamente soli. Qualunque cosa essi siano, si tratta comunque di poveri cristi che mandano avanti le giornate come possono. Nella precarietà assoluta, lavorativa ed esistenziale, nella monotonia delle ripetizioni, tra fabbriche, supermercati, appartamenti arredati a risparmio, quasi fossero stanze di motel malandati, strade sotto il cielo grigio, buchi di bar, scovati in chissà quale periferia. Perdono il tempo. Ma è proprio a partire dalla constatazione di una solitudine comune, che può nascere una comprensione profonda, una condivisione d’affetti, fratellanze, amicizie, amori…
È quello che accade ai due protagonisti di Les feuilles mortes, o meglio Kuolleet lehdet, secondo la versione finlandese di Olavi Virta del classico di Montand. Lei lavora in un supermercato, ma viene licenziata perché ogni tanto porta a casa qualche prodotto scaduto: le cose da buttare appartengono alla spazzatura. Lui è un operaio, ma dopo essersi fatto male per colpa di un macchinario difettoso, viene licenziato perché beve sul posto di lavoro. Si conoscono una sera in un karaoke. Si danno un primo appuntamento, vanno a vedere I morti non muoiono di Jim Jarmusch, un film che sembra Diario di un curato di campagna di Bresson. Poi si separano, senza dirsi neanche il nome. E da lì è tutta una serie di ostacoli: biglietti smarriti, l’alcoolismo di lui, un incidente…
L’amore segue i casi della vita. E possono essere fortunati o meno. Ma di sicuro, nella sorte c’entrano i nostri limiti e complicazioni. Le ottusità e le paure che fanno sembrare confortevole l’abitudine alla solitudine. E poi i silenzi, l’ostinazione a non dare ascolto. Aki Kaurismäki racconta tutto, con il suo modo apparentemente svagato e rallentato, con quella specie di distanza che non è mai indifferenza, né sguardo dall’alto. Semmai è un’ imprevista saggezza, che tramuta il pianto in sorriso e che gli permette di cogliere quell’attimo in cui maturano i sentimenti e i pensieri e si preparano i gesti e le parole. E di renderlo praticamente infinito. Con la storia di Ansa e Holappa, vuole aggiungere un quarto capitolo alla sua “trilogia dei perdenti”, Ombre nel paradiso, Ariel, La fammiferaia. Eppure il suo cinema è ormai entrato in una dimensione a parte, che solo pochi hanno conosciuto. Quella in cui racconto, forma, vita si uniscono in una semplicità assoluta. Una specie di armonia classica, in cui tutto trova equilibrio, anche la miseria, il difetto, il disastro, la pena. In cui ogni canzone ha un senso concreto. Ci sono i segni del presente, con la “maledetta” guerra in Ucraina che imperversa da ogni radio. Ma ti sembra di riconoscere ovunque le tracce di un film d’altri tempi, magari Un amore splendido di Leo McCarey, con la storia del cinema che si manifesta in ogni immagine e su ogni muro. Fino all’ultimo omaggio a Chaplin. Sì, anche se possiamo essere licenziati senza preavviso, in qualsiasi istante, la speranza è un atto di volontà necessario. Ancora una volta, è un fascio di luce che squarcia l’inquadratura dagli angoli bui.
Concordo pienamente! Adoro il cinema di Aki Kaurismaki da sempre!!!