L’estetica del declino, da Gloria Swanson a Pamela Anderson
Sempre di più il cinema esplora con crudezza e sincerità il corpo e l’immagine come fonte di ossessione, rovina e ribellione a Hollywood: da Mickey Rourke a Demi Moore, passando per Cronenberg

Il corpo e il suo declino è un qualcosa di strettamente legato all’umano, un connubio indissolubile tra fisico e mente. Per esistere è necessario avere un corpo, preferibilmente sano. Le nuove tecnologie permettono di rallentare il tempo, offrendo un aspetto giovanile che diventa quasi imprescindibile per sentirsi ancora parte di un gruppo sociale e, soprattutto, per sopravvivere in un mondo lavorativo che spesso vede l’invecchiamento con sospetto. Questo è particolarmente vero in settori legati all’immagine, dove il corpo diventa il principale strumento di comunicazione e la perfezione estetica un requisito fondamentale.
Il cinema ha da sempre osservato e raccontato il corpo, ma negli ultimi anni lo ha fatto con una crudezza senza precedenti, portandolo al limite e analizzando il desiderio di combattere il naturale processo di invecchiamento. In questo senso, David Cronenberg è stato un pioniere: Maps to the Stars ne è un perfetto esempio, tanto da valere a Julianne Moore il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes 2014.
Un concetto che aveva già anticipato e approfondito con Videodrome, dove il corpo viene plasmato dai dispositivi mediali. Il cambiamento spaventa e può diventare fonte di delirio e malattia mentale. Il protagonista Max Renn, proprietario di una TV via cavo trasmette contenuti violenti e pornografici. Un giorno, il suo amico Harlan scopre un segnale video pirata che trasmette immagini di torture e violenze, per poi scomparire nel nulla. Nel finale surreale del film, Max osserva un televisore che trasmette un video in cui Nicki gli ordina di “liberarsi della vecchia carne”.
Questo tema è stato ripreso con crudezza dal genere horror, dando vita a un vero e proprio filone cinematografico con numerosi esponenti. Tra gli ultimi, la regista francese Coralie Fargeat con The Substance e Parker Finn con Smile 2. L’opera di Fargeat, che sembra destinata a diventare un cult con gli anni a venire, ha suscitato grande dibattito. Demi Moore interpreta Elizabeth Sparkle, vincitrice di un Oscar ed ex sex symbol, ora relegata alla partecipazione a un programma televisivo di fitness. Per mantenere il ruolo che il produttore è intento a toglierle, Elizabeth si affida a una strana sostanza verde ottenuta dal mercato nero. Il film porta all’estremo il legame tra decadimento fisico e follia, e la scelta di Demi Moore nel ruolo principale è particolarmente significativa: l’attrice stessa ha dichiarato di essere stata considerata una “star da popcorn” e di aver dovuto lottare per rimanere rilevante a Hollywood, soprattutto superati i cinquant’anni.
Non è un caso che questa sia una tematica prevalentemente femminile. I canoni estetici sono cambiati radicalmente negli ultimi anni e le prime vittime di queste trasformazioni sono proprio le star hollywoodiane, come dimostra il recente abuso di Ozempic. In The Substance, l’elemento multimediale è reso centrale dalla televisione nella casa di Elizabeth, che lei utilizza per visionare una pubblicità salvata su una chiavetta USB, immergendo lo spettatore in uno spazio chiuso e ipnotico, proprio come accadeva in Videodrome.
Diverso è il caso di Smile 2, un body horror in cui il male si manifesta sotto forma del “demone del sorriso”. Anche qui, il filo conduttore resta il genere horror. Ambientato a New York, il film segue la popstar Skye Riley mentre si prepara al suo tour di ritorno dopo un periodo di riabilitazione e il trauma della morte del fidanzato, l’attore Paul Hudson. Il personaggio di Skye è ispirato in parte ad Ariana Grande, per la perdita del suo compagno, e in parte a Miley Cyrus, per il suo percorso artistico. Il film analizza quanto la fama possa essere pericolosa e auto-sabotante, rendendo indistinguibile la realtà dall’incubo.
Un altro film che affronta il tema del corpo e del tempo è il recente The Last Showgirl di Gia Coppola. Qui, la showgirl Shelley, interpretata da Pamela Anderson, si trova costretta a reinventarsi dopo la chiusura dello spettacolo in cui si esibiva da trent’anni a Las Vegas. Con l’aiuto dell’amica Annette, cerca di ricostruire il rapporto con la figlia. Il film, pur rientrando nel genere drammatico, mescola sfarzo e intimità, offrendo una riflessione sulla resilienza e sullo scorrere del tempo. La scelta di Pamela Anderson anche qui è tutt’altro che casuale: un’ex sex symbol di Hollywood che ha vissuto un declino professionale proprio perché associata esclusivamente alla sua bellezza, oggi rivendica la propria immagine mostrandosi al naturale. Anche in questo caso, vi è lo zampino di Miley Cyrus, che ha scritto per la pellicola la colonna sonora Beautiful That Way.
Nonostante si tratti di una questione prevalentemente femminile, non è esclusivamente tale. The Wrestler di Darren Aronofsky affronta un tema simile dal punto di vista maschile, con Mickey Rourke nei panni di Robin Ramzinski, ex campione di wrestling degli anni ‘80, ora ridotto a combattere in palestre di periferia. Randy vive per il brivido dello show, incapace di immaginarsi al di fuori di esso. Il suo corpo martoriato è il simbolo del suo sacrificio, e l’esibizione della carne diventa metafora del suo dolore esistenziale. Incapace di abbandonare il personaggio che lo ha definito per tutta la vita, Randy ne diventa la vittima.
Un altro esempio significativo è Sils Maria, in cui Juliette Binoche interpreta Maria Enders, un’attrice quarantenne chiamata a partecipare al remake del film che l’aveva resa celebre a diciott’anni. Questa volta, però, non interpreterà più la giovane protagonista, ma il ruolo della donna più matura, mentre il suo vecchio personaggio verrà affidato a una nuova star emergente. Qui il corpo diventa un elemento narrativo potente, sostituendo spesso le parole e comunicando il passaggio generazionale in modo viscerale.
Tuttavia, il tema del decadimento del corpo e della celebrità è presente nel cinema da molto tempo. Viale del tramonto aveva già affrontato nel 1950 a questione, esplorando la caduta in disgrazia delle star del passato. Oggi, però, il tema viene trattato in maniera più diretta, cruda e sincera, con una maggiore consapevolezza dei cambiamenti della società. Il divismo sta perdendo credibilità, lasciando spazio a una nuova forma di autenticità o, almeno, a una finzione che si maschera da essa.