"L'età barbarica", di Denys Arcand

Arcand realizza il suo film più interessante, una ‘commedia umana’ sospesa tra cinema dell’alienazione e genere fantastico, un’opera dalla doppia realtà di ‘un uomo senza storia’ in cui, rispetto a “Le invasioni barbariche”, è più sincera e umana e che può contare anche su quell’impassibilità stralunata del protagonista Marc Labrèche. Presentato fuori concorso al 60° Festival di Cannes

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Come spesso avviene nel cinema di Denys Arcand , il titolo rinnega l’ambientazione. Il declino del’impero americano, Jesus of Montreal e Le invasioni barbariche e quest’ultimo L’età barbarica (titolo scelto dalla distribuzione italiana probabilmente per richiamare il successo del film precedente anche se in originale si intitola in realtà L’âge des ténèbres) prefigurano spesso un’immaginario passato remoto mentre in realtà si tratta spesso di vicende che si svolgono nei giorni d’oggi. Forse la contemporaneità è vista da Arcand come qualcosa di apocalittico e quindi ci si potrebbe immaginare che lui possa guardare alla transizione temporale tra il XX° e il XXI° secolo da lontano, come se si trovasse catapultato già in avanti nel tempo, come se vivesse nel mondo che ci sarà tra 200 anni.

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Al centro di L’età barbarica c’è Jean-Marc Leblanc (Marc Labrèche), un uomo che vive a disagio con il proprio presente ed è continuamente sospeso in un universo tra la realtà e l’immaginazione. Lui è un ‘uomo senza storia’. Va raramente a trovare la madre malata, la moglie è una donna in carriera che non lo considerà nemmeno, le figlie sentono la musica o parlano al telefonino quando lui le accompagna a scuola, sul lavoro è un impiegato mediocre che fuma clandestinamente sul terrazzo esterno assieme ad altri due colleghi. Jean-Marc però ha un’altra vita: scrittore di successo, amatore irresistibile, cavaliere medievale.

Con L’età barbarica Arcand disegna un efficace ritratto sulla solitudine, in un film anche folle, che tocca le derive più tangenzali di un cinema dell’alienazione e, contemporaneamente, del genere fantastico. Rispetto al corale e sopravvalutato Le invasioni barbariche in cui i sentimenti erano soprattutto il risultato di una scrittura preconfezionata, in L’età barbarica Arcand realizza un film più umile e decisamente più ‘umano’: l’impassibile monotonia con cui parla con gli utenti sul posto di lavoro, quella sua volontaria assenza con la famiglia contrastano con un mondo in cui convive con i propri fantasmi, con le sue molteplici personalità. Arcand ha anche la fortuna di poter contare su quell’apparente impassibilità del volto di Marc Labrèche, una specie di comico stralunato che vive passivamente gran parte delle situazioni della sua vita. Ci sono delle intuizioni dove il comico si sposta forse con troppa disinvoltura nelle zone dell’assurdo (Jean-Marc vestito da samurai che taglia la testa al suo capo), ma la pellicola possiede anche delle altre idee azzeccate come la sequenza del torneo medievale. Restano soprattutto due momenti in cui questa bella e disequilibrata commedia riesce da un punto di vista emotivo in maniera semplice e sincera: il pianto di Jean-Marc dopo la morte della madre, e quella leggera carezza sul volto della figlia quando la sua famiglia gli porta i bagagli nel cottage dove si è trasferito.

 

 

Titolo originale: L’âge des ténèbres

Regia: Denys Arcand

Interpreti: Mark Labrèche, Diane Kruger, Sylvie Léonard, Caroline Néron

Distribuzione: Bim

Durata: 110’

Origine: Canada, 2007

 

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