Let Me Eat Your Pancreas, di Sho Tsukikawa
A tratti riesce anche a evitare il patetismo che innerva i più sensazionalistici film sulla malattia. Ma nella seconda metà del racconto, vanifica tutto quel che di buono era stato capace di raccontare

Se la morte è da intendere come il controcampo naturale della vita, per la giovane co-protagonista di Let Me Eat Your Pancreas non sembra neanche più esistere un divario tra le due dimensioni. Il richiamo mortifero di una malattia terminale è diventato ormai la direttrice della sua esistenza, il centro di convergenza dei suoi desideri o delle aspirazioni che coltiva nell’animo, e che fatica tremendamente anche solo a verbalizzare. Per questo l’adolescente Sakura (Minami Hamabe) ha deciso di affidare unicamente al suo diario la verità sulla condizione che sta quotidianamente vivendo, e di cui un compagno di classe verrà casualmente a conoscenza. Ma agli occhi di Sakura, il solitario Haruki (Takumi Kitamura) appare sin da subito la persona (o cavia) ideale con cui condividere la verità. Perché il ragazzo, conducendo anche lui un’esistenza “periferica”, lontana dalla complicità che si può instaurare con i coetanei e con il mondo esterno, è il solo che può farsi carico dell’eredità di Sakura. E del messaggio – e quindi il lascito – che la sua incombente dipartita può veicolare a coloro che restano.
Adattato dall’omonimo romanzo di Yoru Sumino, poi trasposto in un manga e in un lungometraggio anime di successo del 2018, Let Me Eat Your Pancreas si iscrive, a tutti gli effetti, nel lungo – ed estremamente popolare – filone di opere nipponiche sulla malattia. Diversamente però da lavori analoghi come The Last 10 Years o 18×2 Beyond Youthful Days, il film di Tsukikawa, almeno nella prima parte del racconto, non tratta la sindrome come veicolo di passaggio delle istanze più sensazionalistiche del melodramma, né quale strumento dei tentativi (forse anche più beceri e smaccati?) di tanti cineasti odierni del Sol Levante di manipolare artificialmente le emozioni dello spettatore, facendolo identificare nel ritratto patetico di una giovane donna sul viale del precoce tramonto. Al contrario: la condizione clinica di Sakura viene spesso trattata con grande levità, proprio perché l’obiettivo della ragazza è quello di vivere a pieno il poco tempo che le rimane, e di donare un significato (anche simbolico) agli ultimi respiri che si trova, suo malgrado, ad esalare sulla Terra. E per farlo, cerca di trascorrere le giornate con l’introverso Haruki, in modo che la “vitalità” da lei qui espressa si carichi di una valenza trasformatrice, destinata a convincere l’alienato amico a vivere veramente all’indomani della sua scomparsa, e a saggiare fino in fondo quelle relazioni sociali da cui sta rifuggendo.
Ma nel momento in cui Let Me Eat Your Pancreas approda alla seconda metà del suo racconto, ecco che il film non solo vanifica ciò che di buono aveva messo in campo, soprattutto per quanto riguarda la levità dei registri con cui è stato affrontato il tema della malattia: ma tradisce paradossalmente la sua protagonista, e il messaggio che la sua morte avrebbe dovuto veicolare ad Haruki – e poi allo spettatore. Quasi Tsukikawa non avesse minimamente compreso quale fosse il vero portato (tematico, e anche narrativo) di questa storia, declinata nelle sue battute conclusive alla stregua del classico mélo sensazionalistico da cui sembrava volersi inizialmente allontanare. Tanto che, in termini retrospettivi, l’unico pregio del film – uscito in Giappone nel 2017 – è quello di fungere da volano per la carriera di Minami Hamabe, catapultata da quel momento nel novero delle giovani stelle del firmamento cinematografico nipponico, dove troverà posto grazie a grandi progetti come One Day, You Will Reach the Sea, Shin Masked Rider e Godzilla: Minus One.
Titolo originale: Kimi no Suizō o Tabetai
Regia: Sho Tsukikawa
Interpreti: Minami Hamabe, Takumi Kitamura, Shun Oguri, Karen Otomo, Keiko Kitagawa, Yuma Yamoto, Dori Sakurada, Daichi Morishita, Yusuke Kamiji, Keisuke Nakata, Mikami Saya, Ginjiro Nishimoto, Ryo Funazaki, Kazuki Ikeda, Satomi Nagano
Distribuzione: Adler Entertainment
Durata: 115′
Origine: Giappone, 2017