L’Età Oscura. Breve storia del Grande Blackout nella cultura di massa

A partire dal blackout social del 4 ottobre, un viaggio attraverso immagini, sequenze e spunti, nel tentativo di ricostruire il tema del “grande azzeramento tecnologico” nella cultura di massa

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Per una manciata di ore la giostra si è rotta, gli schermi si sono rotti e siamo tornati nel deserto del reale. Il catastrofico crash che ha interessato Facebook, Instagram e Whatsapp, finiti offline nel pomeriggio del 4 ottobre (in Italia) e tornati disponibili solo nella notte ha fatto perdere a Mark Zuckerberg sei miliardi di dollari ma ha dimostrato comunque il suo strapotere mediatico nella nostra quotidianità, ormai pervasa da uno spazio digitale sempre più centrale tanto nel lavoro, quanto nel nostro approccio alla comunicazione, una dimensione brandizzata e controllata da una sola azienda.

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Tangenzialmente il blackout ha però portato soprattutto alla luce anche una delle nostre più grandi paure, quella del Grande Blackout tecnologico, una fobia finora relegata alla dimensione dell’intrattenimento, come un inquieto Baubau dell’inconscio, minaccioso ma tenuto a bada dalla finzione. Lì è in effetti tutto sotto controllo, a tratti prevedibile, misurabile. A causare il blackout è spesso il villain di turno ma si è assistito anche a scelte sovversive, in cui è il caso o addirittura l’antieroe a far finire il mondo al buio. Strumento cardine della catastrofe è l’ormai tradizionale impulso EMP, l’arma elettromagnetica incruenta che, da sola, riesce a rendere inutilizzabile la tecnologia del quotidiano. Eventi come quello di ieri hanno reso la fantasia reale e l’hanno trasformata in trauma. Per processare questa frattura, dunque, conviene, tornare all’immaginario e inseguire i vari fantasmi mediali della catastrofe, muovendosi tra magnati delle comunicazioni di massa e apocalissi immateriali, come in una terapia per ricostruire il dialogo tra cultura di massa e blackout, provando a spostare l’incomprensibile nello spazio sicuro dell’immaginario.

Prima tappa del viaggio è The Day The Earth Stood Still, classico della sci-fi del 1951 di Robert Wise. Qui, l’alieno Klaatu, giunto sulla Terra per comunicare la distruzione preventiva del pianeta, ormai considerato una minaccia a causa della corsa agli armamenti nucleari, per dimostrare il suo potere alle autorità causa un blackout di trenta minuti. È forse l’apice dell’approccio pedagogico del film, che in quella sequenza mostra al pubblico, quasi per metonimia, una delle conseguenze di un eventuale attacco nucleare, un proto impulso EMP (ancora) che basta a suggerire quanto le loro vite finirebbero rivoluzionate per sempre nel caso si arrivasse alla detonazione.

È probabilmente negli anni ’90, però che il Grande Blackout comincia ad intersecarsi con la dimensione dei mass media e a ragionare della complicata situazione socioculturale del tempo, tra gli USA appena usciti dalla Seconda Guerra Del Golfo, il ruolo di internet nella cultura di massa e la bolla Dot Com. Fuga Da Los Angeles, di John Carpenter, termina ad esempio con Snake Plissken che attiva la Spada Di Damocle, l’arma per la guerra tecnologica che il presidente degli Stati Uniti lo ha costretto e recuperare. È lui che causa un blackout su scala globale, rendendo inutilizzabile tutta la tecnologia sulla Terra attraverso un reset anarchico che incrocia la distopia alla satira sociale, all’insegna di una catastrofe incruenta con cui dare a chiunque la possibilità di ricominciare da zero.

Personaggio centrale del percorso di ricostruzione è forse Elliot Carver, il villain del Bond movie Tomorrow Never Dies, interpretato da Jonathan Pryce. In Carver prendono corpo tutte le ambiguità degli imprenditori delle allora nascenti media companies, portate all’estremo dall’atteggiamento monopolizzante dei contemporanei Zuckerberg e Bezos. L’obiettivo di Carver è infatti lo sguardo dei suoi spettatori, un’attenzione costante al flusso di notizie proveniente dal suo network televisivo che gli garantisce un profitto tale da spingerlo a causare egli stesso attentati e crisi internazionali su cui poter lucrare.

Negli anni, il blackout è finito giocoforza per diventare un oggetto narrativo utile a sistematizzare i fantasmi dell’11 settembre ed i venti di guerra mediorientali. Ritornando alle radici sci-fi, gli alieni della Guerra Dei Mondi di Steven Spielberg mettono fuori uso tutte le comunicazioni della Terra, adottando le stesse tattiche con cui gli americani destabilizzavano i guerriglieri durante l’invasione dell’Afghanistan.

Forse inaspettatamente più interessante è il caso Die Hard – Vivere o Morire, di Len Wiseman. Nel film, John McClane è impegnato a combattere un gruppo terroristico che mette in ginocchio gli Stati Uniti con un attacco informatico divenendo il protagonista di un racconto che prende spunto da un articolo sui rischi della guerra tecnologica pubblicato su Wired, in un perfetto rispecchiamento tra realtà e spazio immaginario popolato dalle paure della collettività.

Vale la pena citare, nel percorso, anche Revolution, sfortunata serie prodotta da JJ Abrams ambientata in un mondo quasi steampunk, costretto a tornare ad un organizzazione precedente alla rivoluzione industriale dopo che un misterioso cataclisma ha privato la Terra dell’energia elettrica.

Tassello di chiusura perfetto della nostra carrellata è forse Man Of Steel, di Zack Snyder, un film che, nel raccontare il Grande Blackout al cinema, è una sintesi di tutte le istanze che hanno puntellato il percorso finora. Centro del discorso qui è il generale Zod, che arriva sulla Terra suscitando la meraviglia dei presenti come Klaatu e spegne tutti i flussi di rete ed i segnali televisivi salvo quelli che trasmettono il suo messaggio ai terrestri, come un magnate dei media alla ricerca costante di occhi, di sguardi, di sguardi, come in un costante ritorno di strutture conosciute, come in un cerchio che si chiude.

 

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