Lette e…riviste – "Abbiamo semplicemente camminato per il mondo": Dion Beebe, "Memorie di una geisha"

Una filmografia straordinaria alle spalle ("Holy Smoke", "Chicago", "Collateral" ) e una sfida: raccontare con la luce la complessità di un'evoluzione dell'anima, di un percorso interiore tutto al femminile. American Cinematographer intervista Dion Beebe, direttore della fotografia per "Memorie di una geisha"

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Per molti, il fascino di Memorie di una geisha (dal romanzo di Arthur Golden del 1997) è proprio tutto nello straordinario ritratto della protagonista, né moglie né prostituta, e del suo vissuto nel Giappone degli anni Trenta, tra uomini facoltosi e un lunghissimo training fatto di musica, danza e arte della conversazione. Chiyo (Suzuka Ohgo) racconta una storia che inizia con una nascita in povertà, esplode tra i soprusi di una protettrice (Gong Li), arriva all’apice quando, col nuovo nome di Sayuri (Zihi Zang), la ragazza diventa la geisha più pagata di Kyoto. Poi la guerra, la fine della sua “età dell’oro”, infine l’amore. Il regista Robert Marshall e il cast tecnico hanno affrontato non poche sfide per realizzare la trasposizione del romanzo: come ricreare l’atmosfera epica, la luce, la Kyoto di quegli anni? Il primo passo è stato un viaggio in Giappone. “Abbiamo semplicemente camminato per il  mondo” esordisce Dion Beebe “Nelle scuole per geishe, nelle sale da the. Attraverso i templi e le colline di Gion, il distretto di Kyoto che fa da sfondo alla vicenda. E’ stato fondamentale per catturare quell’atmosfera e per ricreare altrove un mondo che non esiste più”. Al ritorno in California, la troupe ha iniziato i test tra camere e obiettivi: dal kimono al make up, tutto doveva essere studiato e adattato nei minimi dettagli. “L’obiettivo era quello di ricreare un mondo dominato dall’oscurità, fatto di veli che lentamente e progressivamente vengono sottratti”.

Un altro punto critico era legato alla ricostruzione della zona di Kyoto in cui la storia è ambientata: il production designer John Myre ne ha realizzato un modello in scala, piazzato in un ranch di Ventura, con le montagne californiane a fare le veci delle vette giapponesi. Altre scene di esterni sono state girate nella California settentrionale e in Giappone. Dion Beebe ricorda il primo giorno delle riprese: “Pioggia, vento e seta allagata…ma la seta stessa ci ha permesso di realizzare effetti di luce incredibili. Un giorno, mentre stava facendo buio, abbiamo provato ad utilizzare alcune luci sulla seta, per continuare le scene diurne. Era la luce più bella che avessi mai visto. Sembrava la luce dell’inverno…ogni zona d’ombra era illuminata, e abbiamo adottato questo procedimento per tutte le scene successive”. Una sequenza chiave è quella in cui la protagonista esprime il suo desiderio nel tempio: dopo aver corso insieme a Chiyo attraverso la città, la macchina da presa sale al cielo, e quando la neve inizia a cadere torna sui tetti per poi infilarsi in una finestra… “Io e Robert l’abbiamo discussa molto in anticipo – racconta Beebe – e gran parte della ricostruzione del set è legata proprio a questa scena. Quando la m.d.p. torna sui tetti, la nostra idea era quella di comunicare la reale profondità di quel pezzo di mondo. Non era possibile farlo in un’unica ripresa, ma solo con una serie di scene…e quando sono state montate, l’effetto è stato quello di uno scenario molto più grande di ciò che in realtà era quella piccola città o la ricostruzione che noi ne avevamo fatto”. Per i campi lunghi, l’idea iniziale di utilizzare una Cablecam o una Spydercam è stata scartata perché troppo costosa. “Ancora una volta, l’uso del modello in scala è stato un grande vantaggio: la dimensione ridotta degli edifici ci ha permesso di installare una piattaforma sopra i tetti, che ci consentiva di usare il dolly. Con la Technocrane tutto ha funzionato alla perfezione: siamo riusciti a realizzare i movimenti che avevamo in mente, dal cielo ai tetti ai vicoli agli interni delle case. Un gran risultato”.

I movimenti di macchina estremamente fluidi sono la costante di Memorie di una geisha: l’80% delle scene è girato con camere dolly. […] “Robert Marshall ha una grande preparazione per quanto riguarda la coreografia – dice Beebe – è un intenditore del movimento…pensa alla scena del debutto di Sayuri. La danza è fantastica, ha una splendida coreografia, ma ciò che rende unico quel momento è lo sguardo di alcuni spettatori-chiave. Marshall è stato capace di prendere una serie di elementi teatrali e usarli in modo funzionale nel film. E’ capace di far sì che una danza davvero racconti una storia…invece delle solite due macchine da presa, in queste scene ne abbiamo usate tre o quattro. Rob voleva la stessa profondità e saturazione di colore che avevamo ottenuto in Chicago: abbiamo usato molte luci diverse, cosa effettivamente poco realistica, perché impossibile negli anni Trenta. Ma a noi interessava ottenere un effetto che fosse davvero drammatico. E’ stato abbastanza complicato…due giorni di riprese solo per la scena della danza! La cosa interessante è stata riuscire ad integrare fonti di luce tradizionali – come le lanterne ad olio – e all’avanguardia”. […]

“Del resto – riflette il direttore della fotografia – le luci “all’antica” dominano un po’ tutto il film: volevo lavorare in situazioni di luce molto bassa, soffusa. La mia idea era quella di usare la luce per suggerire un viaggio, un percorso nel tempo, una progressione narrativa. Mistero e paura in principio, quando Chyio arriva in terra straniera ed è solo una bambina orfana e spaventata…quando inizia ad essere padrona di se stessa e della sua vita, la luce comincia lentamente a dominare le scene. La combinazione delle luci e del set design è tutta tesa a questa metafora: l’interiorità progressivamente raggiunta e svelata, la ragazzina che diventa donna e geisha”. […] Nella “casa della geisha” le luci sono molto rarefatte. “Anche qui, volevamo comunicare l’idea di qualcosa di immobile, fissato nel tempo – spiega Beebe – Un posto fatto essenzialmente di tradizione, per questo negli interni abbiamo usato quasi solo le lanterne. Abbiamo utilizzato la luce elettrica per le scene successive alla guerra, per riflettere il cambiamento di atteggiamenti, un nuovo spirito del tempo che subentra agli usi precedenti”. Qualche fonte d’ispirazione per Dion Beebe? “Barry Lyndon di Kubrick… la staticità, l’assenza di profondità di campo per le scene – e sono la maggior parte – girate senza luci artificiali…in fondo, posso dire di aver lavorato a questo film, fin dall’inizio, con un approccio molto, molto tradizionale!”.

 

“Feminine Mystique – Memoirs of a geisha”, di Patricia Thomson – da American Cinematographer, gennaio 2006
http://www.theasc.com/magazine/jan06/memoirs/index.html

traduzione di Annarita Guidi

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array