Lette e… riviste – Gus Van Sant e Andy Warhol: gli alter-ego

Perché Andy Warhol sia ancora uno degli artisti più influenti della scena artistica mondiale è difficile a dirsi. Gus Van Sant, uno dei cineasti che più si ispira alle opere del genio “in scatola” della Factory, prova a darne la sua personale spiegazione dalle colonne di Sight and Sound. Tra affinità elettive e nostalgie anni ’70, l’autore di Paranoid Park discute di cinema e di arte, parlando di sé, di Bertolucci e Pasolini, ma soprattutto di Warhol.

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È davvero complicato stabilire con precisione il legame che intercorre tra il suo lavoro e quello di Andy Warhol. Ha visto molti dei suoi film?

 
[…] Il primo film di Warhol che ho visto è stato Trash. Lo davano al cinema Guild di Portland – poteva essere il 1970 circa. Se il film in sé stesso mi ha influenzato in qualche modo, è stato probabilmente perché mostrava qualcosa che in altri film non c’era. Anche negli anni ’50, quando disegnava, Warhol ti faceva vedere cose che normalmente non si sarebbero dovute disegnare: peni alla Cocteau, ritratti di marinai. Credo che Kenneth Anger rappresentasse la figura più importante del cinema underground di quel tempo, ed il simbolismo di Warhol gli si avvicinava molto.
 
Quando ho tentato di fare i miei primi film, però, le sceneggiature che scrivevo erano storie alla John Cheever, che parlavano del posto da cui provenivo – classe medio alta, golf e country club. Era questo che mi affascinava, ma non ne ho mai portato a termine nessuno. Alice in Hollywood  è stato il mio primo film ed è stata una reazione alla vita di Hollywood. Non andò granchè bene perché era una commedia e non era molto divertente. Perciò Mala Noche è stato un po’ come rimboccarsi le maniche e ripartire. Scenografia e soggetto avrebbero potuto far parte di un film di Wahrol, ma la tecnica si rifaceva a Schlesinger, Bertolucci o Carol Reed. Un uomo da marciapiede, Ultimo tango a Parigi e Il terzo uomo erano i tre film che ho visto e rivisto mentre davo corpo alla storia.
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Ho sempre pensato che Pasolini…
 
Ricordava Pasolini in automatico – perché si trattava di una storia gay, una storia di strada, con attori non professionisti. Ma per me allora, Pasolini era troppo brutale, più del giusto. E ora cerco di fare proprio questo tipo di cose – è come lavorare all'indietro.
 
A cosa crede sia dovuto oggi, così tanto interesse nei confronti di Warhol?
 
[…] Nessuno vuole più saperne di William Burroughs, ma l’interesse nei confronti di Wahrol è addirittura aumentato, rispetto a quando era vivo. La sua arte visiva è il risultato di un’appropriazione “al quadrato” e l’appropriazione è una caratteristica molto presente nell’arte contemporanea. Era nell’aria già da allora: c’era altra gente come Lichtenstein che disegnava fumetti, ma in modo meno sperimentale. Poi passò – e fu un grande salto, se ci si pensa – alle etichette della Campbell. Da quello che ho letto, sua madre non gli dava solo la zuppa Campbell, ma pare realizzasse degli oggetti con gli stessi barattoli – ne faceva dei fiori – perciò, creando opere con le lattine di zuppa si avvicinava di più alla sua vita, a sé stesso. 
 
[…]
 
Ho sempre pensato che film e prodotti da catena di montaggio – lui stesso lavorava otto ore al giorno nella catena di montaggio della Factory – fossero un modo per avere gente intorno e allo stesso tempo essere così occupato da non doverci avere a che fare direttamente.
 

[…] Uno dei paralleli che potrebbe fare tra Warhol e me è che abbiamo modi di fare simili. Non l’ho mai incontrato, ma alcuni dei suoi amici più stretti si riferiscono a noi come a degli “alter ego”. Credo dipenda dal modo in cui ci comportiamo e affrontiamo la vita – siamo entrambi timidi e avventurosi allo stesso tempo. Lance Loud ha detto che Andy aveva sempre l’aspetto di uno a cui manca qualcosa, ed è questa l’impressione che dò quando mi trovo in un locale, anche quando non mi sento così. È da qui che traggono origine alcune somiglianze nell’arte. Uno dei miei ex-ragazzi spesso sottolineava che la personalità di ognuno diventa il proprio stile, e quando si arriva a 40 anni, si comincia a sfruttarle questa cosa a proprio favore. Come se la timidezza diventasse il proprio stile – il proprio metodo di agire. Perciò non credo che le somiglianze che vede nelle opere siano dirette. […] Direi piuttosto che si tratta di somiglianze psicologiche, che nelle opere si esprimono come somiglianze nello stile. Nei miei ultimi film ho girato senza interruzioni, come fece lui in My Hustler. Quando l’ho visto per la prima volta ho solo pensato che fosse una maniera economica per girare un film, ma poi mi è sembrata una buona idea: girare senza tagliare, continuare a guardare.

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Ho interpretato la traccia nascosta del suo nuovo film 'Paranoid Park” come un rito d'iniziazione gay: il ragazzo carino di periferia è attratto da questi skater dall’altra parte dei binari che hanno in loro qualcosa di criminale. Il legame tra sesso e criminalità si può ritrovare in Warhol.
 
Sono sempre le proprie esperienze di vita, quelle che si mettono nei propri lavori. E, continuando a fare arte, il modo in cui lo si fa diventa sempre più raffinato. In genere apprezzo quegli artisti che mettono loro stessi nelle opere, delle quali però si possano sentire al contempo tutte le influenze.
 
È vero che ha scritto una sceneggiatura su Warhol una volta?

Subito dopo Drugstore Cowboy del 1989 la Universal ha chiesto a Paul Bartel e me di scrivere un sceneggiatura su di lui. Abbiamo visitato la Factory e abbiamo incontrato il suo manager ed esecutore testamentario Fred Hughes, che sedeva su una sedia a rotelle nel suo ufficio. L’unico quadro sul muro era la Sedia Elettrica di Warhol. Fred voleva sapere come ci fosse saltato in mente di fare un film su di “lui” perché “lui” era la persona meno interessante del pianeta. Quando consegnammo la sceneggiatura alla Universal la risposta fu: “No, grazie”.

“Roll Forever” di Amy Taubin – da Sight and Sound, agosto 2007

http://www.bfi.org.uk/sightandsound/feature/49388

traduzione di Giovanna Canta

 

Descritto dal quotidiano Indipendent come “intellettuale, ma accessibile”, Sight and Sound, il mensile di cinema del British Film Institute, è stato spesso accusato di snobbismo ed elitarismo. Si distingue da altre riviste più commerciali per la cura con la quale recensisce tutte le uscite cinematografiche del mese, ciascuna corredata dalla lista completa di attori e membri della troupe. Ogni anno la rivista chiede ad un gruppo di professionisti del cinema di votare i migliori film di tutti i tempi. La classifica di Sight and Sound è oramai considerata dagli esperti del settore come una delle più autorevoli.

 

                                                  
 
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