LETTE E… RIVISTE – Zidane. Fantasticherie di un solitario

Tre genesi – televisiva, intersiderale, pittorica – per lo statuto dell'immagine reinventato da Parreno e Gordon. Raccogliere un secolo di frammenti e stravolgimenti della percezione umana in qualcosa che è insieme sintesi del vissuto e inedita esperienza visiva: sui Cahiers du Cinéma protagonista è "Zidane – Un ritratto del XXI secolo”

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Dimentichiamo il supposto colpaccio mediatico, sorvoliamo sulle riserve di coloro i quali, amanti del calcio, guardiani del tempio cinèfilo o membri di circoletti godardiani, avrebbero preferito che questo film fosse qualcos'altro.
Torniamo al progetto, che il titolo enuncia con precisione: mai c'è stata l'intenzione di « filmare il calcio in maniera diversa » o di « mostrare ciò che è
veramente una partita », fin dall'inizio si è trattato della voglia da parte di due artisti di realizzare il ritratto di un uomo pubblico nelle condizioni della sua « pubblicità » e con i mezzi estetici del loro tempo.
Fare la critica di questo film non è rimpiangere quello che si sarebbe voluto vedere, ma descrivere il risultato confrontandolo con l'idea che ne sta alla base.
Due artisti dunque. Invece di sospettare l'escursione opportunista fuori dal loro campo di competenza, è meglio domandarsi come un tale progetto si inscriva nel solco delle loro rispettive ricerche. Philippe Parreno e Douglas Gordon sono di poco più anziani di Zidane. Tutti e tre hanno assistito durante l'infanzia alla reificazione accelerata delle immagini nella società del consumo di massa e all'avvento della televisione come filtro e medium dominante. Il cammino artistico dell'uno ha in comune con quello dell'altro il rifiuto di ogni critica esterna delle immagini o della società, l'infiltrarsi al loro interno per modificarne il funzionamento e inventarvi delle pratiche alternative – altre esperienze del tempo, dello spazio, degli altri modelli narrativi e delle relazioni tra gli uomini e i loro oggetti. Il film Zidane non è pensato contro la televisione, ma con essa. Non si tratta nemmeno di fare la decostruzione dell'immagine di Zidane, ma di provocarne l'apertura per farvi proliferare i racconti, trasformare l'oggetto di consumo in materia di fantasticherie collettiva. Il titolo si legge allora altrimenti: il ritratto diventa quello del secolo inteso come qualità singolare dell'immaginario con le immagini.
Una delle didascalie del film rivela l'origine biografica del fantasma: un bambino, attirato dal suono del calcio alla televisione, resta appiccicato allo schermo, « il più vicino, il più a lungo possibile ». Queste frasi sono supposte trascrizioni dei pensieri di Zidane, ma l'assenza della firma invita
ad una ri-appropriazione – da parte dei due autori, Gordon e Parreno, e da parte dello spettatore. I primi piani adottano lo stile dell'immagine e la distanza della televisione della nostra infanzia: piano largo, ripresa dal basso. Il volume appena udibile del commento e la mancanza di dettaglio dell'immagine danno a quest'ultima la qualità di un ricordo che stenta a tornare in superficie. Un taglio violento introduce quello che si annuncia come lo stile dominante: a pochissima distanza da Zidane, alla sua altezza, immersi nell'ambiente dello stadio. Non è il passaggio dalla televisione al cinema, ma l'ingresso nello spessore dell'immagine, l'abbandono dell'immaginario.
Resta da capire chi sogna, da dove e in quale tempo. Detto in altri termini: quale è l'origine dell'immagine? Tripla origine: televisiva, intersiderale, pittorica. Lo spazio-tempo televisivo è quello della registrazione in tempo reale: un uomo fa la sua partita, il match con il Real Madrid, il 23 aprile 2005. Un sottotitolo commenta la sua esperienza sull'erba del Bernabeu: è dentro la partita, non sente la folla, può scegliere quali suoni ascoltare, quello di qualcuno che si muove sul seggiolino, per esempio. Forza documentaria del film: il gioco di Zidane è questa strana coreografia, alternanza di marcia e di brevi scatti. Impassibile, Zidane sembra preso lui stesso in una sorta di fantasticheria solitaria, interrotta da brusche accelerazioni e da rari scambi di parole con i suoi compagni di squadra.

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Due altre origini contrastano questo tempo reale. Certi dettagli danno l'intuizione
di uno spazio-tempo intersiderale. Nel suo lavoro Parreno adotta spesso il punto di vista dell'alieno per modificare la percezione del mondo e iniettare dell'estraneità nel familiare. Qui, quale che sia la scala del piano, lo spettacolo sembra visto da molto lontano: grandangoli dalle forme mal definite, come presi da un satellite, o primi piani tremolanti di Zidane, senza dubbio filmati da una videocamera prestata dalla Nasa e dotata di uno zoom di grande potenza. Infine, un sottotitolo convoca un tempo posteriore all'evento e afferma che l'esperienza vissuta non è quella del tempo reale; ci si ricorda di una partita solo per frammenti. Così, perturbando il tempo televisivo, un'origine lontana e futura affetta il film di un coefficiente del passato […]
La terza origine, pittorica, costituisce lo spazio-tempo del ritratto, della sua produzione artistica. Il mattino delle riprese, Parreno e Gordon hanno portato la troupe tecnica al museo Prado, a vedere i dipinti di Velasquez e di Goya. Il film è anche il loro immaginario di ritrattisti, che appongono e sovrappongono le immagini come pennellate per imprimere la loro interpretazione del modello. Nel XXI secolo fare un ritratto cinematografico vuol dire sostituire al tempo della posa il tempo della registrazione. La relazione intersoggettiva del modello e dell'artista è sospesa dall'automatismo della cinepresa, agente di un doppio non-cogliere. Privato del tempo di posa, il modello non controlla più i suoi gesti, né le sue espressioni, esso consegna all'occhio meccanico la materia bruta del suo lavoro ordinario: Zidane respira, sputa, spergiura, corre, a volte per nulla. Il ritrattista è perciò sottomesso a una doppia legge: deve mostrare ex-post i frammenti di una materia imperfetta restando fedele al tempo reale della partita. Quando Zidane accelera, dribbla tutta la difesa per offrire a Ronaldo la palla del secondo goal, Gordon e Parreno sono di fronte ad un dilemma: tenere il ritratto e rinunciare alla visibilità dell'azione, o sospenderlo attraverso il replay dell'azione come in un reportage? Decidono di fare l'uno e l'altro, uscendo dall'immagine per permettere il replay televisivo dell'azione. In questo scarto si manifesta la morale
anti-spettacolare del loro stile: per una volta la débauche tecnologica non mira alla propria esibizione, lavora in silenzio. Più che l'immagine, è il suono che regola il gioco delle tre origini, che modula l'immaginario attraverso la variazione delle distanze spaziali e temporali. Gordon e Parreno avevano qualcosa di meglio da fare che rivoluzionare il modo di filmare il calcio. Hanno inventato il ritratto del XXI secolo come fantasticheria dell'immagine.

"Zidane, un portrait du 21e siècle" di Cyril Neyrat – dai Cahiers du Cinéma, luglio 2006
http://www.cahiersducinema.com/

I Cahiers du Cinéma non hanno certo bisogno di presentazioni. Rivista storica della critica 'militante' francese, nata nel 1951 da Jacques Doniol-Valcroze, André Bazin et Lo Duca, ha ospitato i contributi di critici/registi come François Truffaut, Claude Chabrol, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard. La potenza critica e il prestigio dei Cahiers du Cinéma, invariati nel tempo, ne fanno un caso pressochè unico nel panorama delle riviste di cinema a livello internazionale, così come i casi di passaggio dalla collaborazione per il magazine al posto dietro la macchina da presa, che continua con nomi come quelli di Patrice Leconte e Olivier Assayas. Da visitare, non solo per la qualità estetica ma anche per la ricchezza dei contenuti, il sito dei Cahiers, che presenta un'offerta unica per certi aspetti – l'archivio on line di tutte le annate, una straordinaria fototeca aggiornata ogni mese e le traduzioni dei principali articoli di ogni issue in sei lingue. (a.g.)

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