Lette e…riviste – "Se non hai successo… diventa un fenomeno di culto!". Intervista a Richard Kelly

"Donnie Darko", seconda possibilità: in questa intervista, le visioni del giovane regista e sceneggiatore Richard Kelly si estendono al senso del fare cinema, al significato dei generi, al credere nelle proprie capacità. Dalla rivista americana quadrimestrale “Moviemaker”.

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I film che a malapena racimolano mezzo milione di dollari al botteghino sono generalmente considerati un fallimento, a Hollywood. Ma il promettente debutto da sceneggiatore e regista di Richard Kelly, datato 2001, non ha seguito questa trafila. Infatti, quest'estate, la Newmarket Films ha distribuito Donnie Darko: The Director's Cut, che presenta 20 minuti di inediti, una nuova colonna sonora e nuovi effetti speciali.

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Certamente c'è stato un periodo in cui certi registi rampanti credevano che Richard Kelly non avrebbe più girato film. Nell'estate del 2002 Kelly stava girovagando giù per l'East Village di New York, quando sentì per caso due persone parlare di uno strano film che avevano appena visto, con "quel" coniglio e Patrick Swayze nei panni di un santone new-age… "Era come…", ricorda Kelly, "Aspetta un minuto: stanno parlando del mio film? Il mio film, appena naufragato e approdato alla disonorevole discarica dei DVD?". Kelly diede un'occhiata alla sua sinistra e vide chiaramente il poster di Donnie Darko appeso nella vetrina di un cinema qualunque. "Cosa sta succedendo?", si domandò, "Pensavo che fosse rimasto nelle sale per due settimane, e che poi fosse sparito… Ma era lì, sei mesi dopo. Ecco quando mi resi conto che forse non era ancora finita: forse potevo ancora avere un'altra possibilità".


Forse stava minimizzando… Donnie Darko, il racconto apocalittico degli anni '80 di Kelly, circa un adolescente disadattato che ha continue visioni di uno smisurato coniglio chiamato Frank, ha guadagnato un seguito di fanatici tramite le proiezioni notturne e i dvd, con i quali ha incassato dieci milioni di dollari nel solo mercato interno. I fan più accaniti hanno trasformato il film in un fenomeno di culto, formulando teorie sui viaggi nel tempo, sulle gallerie scavate dai vermi e su come un eccentrico giovane sonnambulo possa salvare il mondo…


Si potrebbe tentare di tracciare delle somiglianze tra Kelly e il suo protagonista, ma il ventinovenne della Virginia è svelto a far risaltare le differenze: "Non sono cresciuto illuso, sotto terapia, vedendo conigli", scherza Kelly, "e non viaggio nel tempo". Il regista, mentre frequentava la USC – una scuola d'arte – realizzò, già dal secondo giorno di lezione, di non voler trascorrere i futuri quattro anni a memorizzare diapositive di architetture Maya o incisioni azteche. Si trasferì, invece, alla scuola di cinema e trovò la sua vera vocazione, che gli permise di camminare con le proprie gambe.


Ha una quantità di progetti da portare a termine: un adattamento di Cat's Cradle, di Kurt Vonnegut, per la casa di produzione di Leonardo Di Caprio; la sceneggiatura di Domino, la storia di una cacciatrice di taglie, che sarà diretto da Tony Scott; e House at the end of the street, che dovrebbe avere la regia di Jonathan Mostow (U-571). La casa di produzione di Kelly, la Dark Entertainment, produrrà poi The Box, che Kelly sta cosceneggiando con Eli Roth (Cabin Fever), ispirato alla serie The Twilight Zone.

MM: Perché Donnie Darko non ha avuto subito successo alla sua prima uscita, nell'autunno del 2001?


RK: E' stato solo vittima del dopo-11 settembre. Ogni volta che si verifica un grosso cataclisma o una crisi nazionale, sembra che l'arte diventi pericolosa o inutile, per un certo segmento di popolazione; mentre per altri diventa ancora più essenziale. Penso che ora il nostro paese sia proprio ad un punto in cui l'arte è sotto tiro e soggetta ad una intensa analisi critica. Proprio il fatto che questo film stia per essere ridistribuito è un segno che ci sono ancora persone che vogliono vedere roba provocatoria, e che non sono per niente inclini ad assimilare materiale precostituito, quello che così frequentemente proviene dai canali convenzionali.


MM: Ti senti come se ti avessero dato una seconda possibilità per ottenere un pubblico più vasto sul grande schermo?


RK: In realtà la prima uscita non doveva proprio esserci. Ho la sensazione che il film fosse destinato a fallire prima ancora di poter avere successo. Sembrava che dovesse diventare materia di culto prima di poter far parte della grande distribuzione. C'è sempre qualcuno che vuole che Donnie Darko sia il "loro" film di culto, quello che loro hanno scoperto. Se esistesse un modo per oltrepassare il circuito ufficiale, ciò mi permetterebbe di continuare a fare questo tipo di film. Penso che sia positivo, ogni volta in cui un pezzo d'arte "della controcultura" si inserisce nella grande distribuzione.


MM: Quindi cosa possiamo aspettarci di nuovo con il director's cut?


RK: I fan amano riflettere e dibattere sul vero significato del film. C'è del nuovo materiale che, senza rovinare nulla, ne amplia e approfondisce l'interpretazione. Alcuni misteri saranno risolti, ma altri se ne aggiungeranno.


MM: Gli spettatori usciranno dalle sale con la sensazione di un finale diverso?


RK: Si troveranno di fronte ad una bella e significativa svolta. Anche se qualcuno avesse visto il film trenta volte, analizzato ogni scena cancellata, ed esaminato il sito web fino alla nausea, uscirebbe comunque sorpreso dalla sala. E non so se questa sia una buona cosa o no: ormai è diventato quasi un film di fantascienza. Se la gente preferisse un esoterico rompicapo irrisolto, allora sceglierebbe il taglio da sala. Se stai per fare un director's cut, rischi di annoiare qualcuno.


MM: Come diavolo è venuta fuori l'idea di Donnie Darko?


RK: Ho sempre amato la fantascienza e le fantasticherie. Sono cresciuto leggendo Stephen King e Rod Serling e sono stato ossessionato da The Twilight Zone; poi, al college, ho cominciato a leggere Philip K. Dick. Avendo un'immaginazione veramente iperattiva, avevo bisogno di esprimerla. Ho cominciato producendo un sacco di illustrazioni e di disegni; poi ho iniziato a scrivere delle storie brevi e dei saggi, e ho sentito di essere un potenziale scrittore. Ero molto spaventato ed intimidito dall'idea di scrivere una sceneggiatura: me la facevo veramente sotto! Alla fine ho preso e mi sono detto: "Sto per scrivere la sceneggiatura più pazza e ambiziosa possibile, per mettermi alla prova"… Quando ho deciso di scrivere Donnie Darko non stavo cercando di compiacere nessuno: è stato un tentativo completamente egoistico ed egomaniacale. Mi sono detto: "Sto per scrivere qualcosa che amo: chi se ne frega se mi sento come un pivello appena uscito dalla scuola di cinema, che guadagna quattro soldi senza speranza nel futuro".

MM: Eri preoccupato del fatto che avresti potuto essere costretto a modificare la sceneggiatura per accontentare interessi commerciali?


RK: Siamo ossessionati dalla parola "genere", quella in cui ghettizziamo la fantascienza, il fantasy, l'horror, in maniera troppo rigida, come se non avesse valore mettere insieme, nello stesso contenitore, questo o quel periodo temporale, questa o quella storia. Perché Casa Howard non è un film di genere? Non capisco queste categorie che col tempo sono emerse; proibiscono ai registi di fare passi avanti, perché sentono di essere rinchiusi in categorie determinate, come da Blockbuster. Tutti vogliono sapere, "Che genere di film è questo?": non si soffermano sul film, passano oltre perché non potrebbero spiegare a nessuno di che cosa si tratta. E io continuo a dire "Questa è la ragione per cui lo dovresti fare": speri che sarà considerato e discusso semplicemente perché nega delle facili categorizzazioni.


MM: Alcuni critici hanno paragonato la tua sensibilità a quella di David Lynch. Quali registi hanno influenzato il tuo lavoro?


RK: Beh, i due ai quali devo di più sarebbero in realtà Terry Gilliam e Peter Weir. I due film che hanno cambiato la mia vita al tempo dell'ingresso al college sono stati Brazil, che ho visto su un laserdisc a 19 anni, alla Biblioteca del Cinema, e poi Fearless-Senza paura, che ho beccato alla Universal City Walk quando i miei genitori sono venuti a trovarmi la prima volta. Questi due film hanno concretizzato in me il desiderio di diventare regista.


MM: Mentre facevi girare la tua sceneggiatura, parecchi studios la rifiutavano perché volevi assolutamente essere tu il regista. Cosa ti ha fatto perseverare?


RK: Sì, mi hanno fatto arrabbiare. Alcuni manager erano lì a dirmi "Non puoi farlo. Non ti è permesso. Sei troppo giovane. Non rientra in un genere specifico. Non è un film dell'orrore. Non è un thriller. Non è un thriller per adolescenti. E' un miscuglio. E' solo un saggio di buona scrittura. Non riuscirai mai a realizzarlo…". Tutta questa gente ti sussurra queste cose all'orecchio… Mi sembrava la stessa voce del mio insegnante di ginnastica del liceo, che mi diceva di non fare questo, non fare quello… e mi faceva arrabbiare. Ma alla fine ciò mi stimolava a combattere e a non mollare la presa, anche in seguito, e a farmi dire "No, lo faccio, e non mi importa quante volte tu mi dica di no: lo faccio, che ti piaccia o no". Se il materiale che possiedi stagna per un sacco di tempo ma non vuoi darlo via, se sei un piccolo bastardo arrogante, perseverante ed ostinato (come lo ero io), alla fine una Drew Barrymore qualunque renderà visibile il tuo lavoro, e ti apparirà una specie di angelo custode. Se il tuo materiale è buono, alla fine raggiungerà il vertice della "catena alimentare" e una persona potente, ricca e famosa deciderà di darti una possibilità.


MM: La fai sembrare una cosa semplice. Cosa consigli agli aspiranti registi?


RK: Certamente, affinché i miracoli accadano, bisogna partire ogni mattina ed andare su e giù per le strade, bussare alle porte e chiedere finanziamenti, domandare "Mi sponsorizzi?". Ho ricevuto molte, molte porte in faccia. Ho partecipato a molti incontri con manager, produttori e gente che immediatamente stralunava gli occhi, faceva un cenno con la testa e diceva. "Sì, bello, okay, ci vediamo"… L'incontro era finito già prima di iniziare. E si sa che roba come questa ti fa essere più sicuro di te. L'unico modo per rispondere è quello di credere ancora di più in sé stessi, ed avere uno spropositato desiderio di dimostrare a questa gente che si sbaglia. Quindi, onestamente, l'unico rimedio che conosco per reagire ai rifiuti è di diventare più sicuri.


MM: Hai per le mani un sacco di nuovi progetti. Qual è il più immediato?


RK: Il mio prossimo film sarà un progetto chiamato Southland Tales. Ci stiamo preparando per iniziare a girare al più tardi questa estate (ha iniziato, infatti – n.d.t.). E' un film epico: nel senso che è al 30% una commedia, al 30% un musical, al 30% un thriller e al 10% è fantascienza: quindi, vedi un po' tu. E' l'unico modo in cui questa mia specie di cervello funziona.



 



"Not successful? Become a 'Cult Phenom'", di Jennifer Soong

Tratto da
MovieMaker, 2004 – www.moviemaker.com


Traduzione a cura di Gloria Gambellini


 

 


"The art and business of making movies" è lo slogan di Moviemaker, quadrimestrale per addetti ai lavori come ce ne sono tanti negli Stati Uniti, ma che si distingue per varietà di contenuti e molteplicità di punti di vista.  Oltre che per il sito ricco e dettagliato, di cui molto è disponibile on line.  Gli articoli sono suddivisi seguendo il criterio dei credits di un film: regia, sceneggiatura, montaggio, e così via, in modo che in ogni numero si mantenga un inedito rispetto verso tutti i mestieri del cinema. Accanto a queste sezioni e agli articoli di copertina, figurano rubriche dedicate al digitale o agli indipendenti. Particolarmente utile per chi vive e lavora in America (di volta in volta compare un servizio su una diversa città statunitense e la sua scena cinematografica), Moviemaker è una lettura rilevante per chiunque abbia voglia di spiare lo schermo da angolature differenti. (m.n.)

 


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