Leur Algérie, di Lina Soualem

Tra home movies e grande Storia. Un documentario “di famiglia” che parte dal privato, da un trauma intimo, per giungere fino alla Grande Storia. Apripista di un nuovo cinema migrante. #RomaFF15

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Ogni esule sogna di rivedere almeno una volta la propria patria, di calpestare le «sacre sponde» e riapprodare finalmente su quell’Itaca sognata che ogni viandante ha nella mente e nel cuore. Il mito del ritorno ossessiona ogni migrante, eppure, capita talvolta, nella storia fatta di donne e uomini e non di dei ed eroi, che queste peregrinazioni siano troppo dolorose per essere raccontate. Un silenzio necessario ma ingombrante che esorcizza il dolore, forse, ma anche la possibilità di costruire una memoria. Una terra, un popolo non raccontato finisce per non esistere. Lo sa bene Lina Soualem, giovane regista figlia d’arte, palestinese di madre, algerina di padre e francese per nascita; l’ha imparato dalla famiglia materna, che combatte ogni giorno per legittimare la propria storia. Un esubero di narrazioni e storie curiosamente bilanciate dall’ingombrante silenzio del coté algerino della famiglia.

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I nonni paterni, Aïcha e Mabrouk, infatti, vivono da più di sessant’anni a Thiers, un paesino al centro della Francia, senza mai esser tornati nella patria natia, costretti a fare quotidianamente i conti con la difficile ontologia dell’immigrato e tutto il conseguente, tragicomico, portato burocratico, in un paese in cui, per qualcuno, sei e resterai per sempre il ‘colonizzato’. La lezione pavesiana de «un paese ci vuole» non trova terreno fertile davanti a un rimosso storico così imponente: la sanguinosa guerra d’Algeria è stata un trauma tangibile per intere generazioni, costrette a trasferirsi in Francia, e lì rimaste nel silenzio. Le immagini di repertorio del conflitto che scorrono nel film fanno subito da corto circuito, riaprono una ferita sanata a forza. Perché se siamo prima di tutto di fronte ad un «film di famiglia», è chiaro che la Leur Algérie richiamata dal titolo non è solo quella dei nonni. Un aggettivo possessivo che, come spesso accade, racchiude un mondo. Il tentativo di ricucire uno strappo che paradossalmente impedisce ancora oggi alla sua generazione di giovani figli del mondo globalizzato la costruzione di un racconto necessario, e di conseguenza la scoperta delle agognate radici. In sintesi, di (ri)conoscere “son Algérie”.

Un documentario che parte dal privato, da un trauma intimo, come quello dell’inaspettata separazione degli inseparabili nonni – che finiscono per trasferirsi comunque l’uno di fronte all’altra – per propagarsi a cerchi concentrici arrivando a risvegliare il trauma collettivo. In pochi ci avrebbero messo la faccia, ma Soualem lo fa, intervistando personalmente suo padre ed i nonni. Personaggi straordinari, così reali da oltrepassare il fragile recinto del cinema del reale e vestire panni quasi da fiction: questo nonno silenzioso con un look “alla” Elia Suleiman comico esule giramondo de Il Paradiso Probabilmente, e la nonna dalla risata dolce, sguaiata e contagiosa. Che il cinema sia un sotto-testo chiave per Soualem non è certo un mistero, lei figlia di due attori – Hiam Abbass e Zinedine Soualem -; si tratta di un’arte che rappresenta per lei qualcosa di ancestrale, sanguigno, eppure questo richiamo a Suleiman non sembra affatto casuale. Come nella straordinaria lezione di uno dei capolavori del maestro palestinese, Il tempo che ci rimane, in Leur Algérie ancora una volta il cinema, a suo modo, inventa nuove forme di resistenza. E’ un cinema che lotta dolcemente contro l’oblio, cinema che costruisce, a piccoli tasselli, Storia.

L’ambizione di Lina Soualem è grande sì, ma riuscita. La giovane regista va a porsi consciamente come apripista di un nuovo cinema migrante (ma che può essere anche letteratura, fumetto, e tutte le forme espressive immaginabili) di terza generazione, che prende forma a partire da fonti private, rilegge il cinéma du réel più tradizionale, cuce insieme home movies, frammenti di ricordi e Grande Storia, raccontandosi rigorosamente in prima persona, finalmente pronto a fare i conti con il passato, a metabolizzarlo criticamente per uscirne infine cittadine e cittadini nuov*. D’altronde, come ci dicono le fiabe o le leggende antiche, il mare va attraversato per fare ritorno sull’isola. E Lina Soualem, prima nella sua famiglia, riesce infine a tornare nella sua Algeria.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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