"Libera Uscita", di Peter e Bobby Farrelly


I Farrelly continuano a fare (divertentissimi) salti mortali sul crinale tra una regia cristallina come poche nella Hollywood odierna, e il basso-corporale scatologico che li ha resi (riduttivamente) celebri. Stavolta, la loro rincorsa del paradosso è così spinta che siamo dalle parti del… racconto morale. Sì, morale, come i racconti di Rohmer. L'accostamento sembrerà paradossale, ma in fondo l'adulterio scientemente programmato come riconferma del matrimonio è proprio lo schema dei contes moraux.

 

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 Sovente scambiati per “meri” paladini della comicità più scatologica e basso-corporale, i Farrelly piuttosto rendevano e rendono evidente il cortocircuito che si instaura tra le varie schifezze fisiologiche di cui abusano, e la trasparenza cristallina del loro approccio visivo. Una cosa, senza l'altra, perde la sua ragion d'essere; senza la loro regia pulitissima (a cominciare dalla magistrale, asciuttissima gestione del dialogo), i loro eccessi si sfiaterebbero. I Farrelly devono la loro grandezza (sì: grandezza) proprio a questo loro saper stare in bilico tra gli opposti, e approfittare della loro elettrica tensione.

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Che non ci sia nulla che confermi la regola come la trasgressione, lo sanno altrettanto bene le donne di questo Hall Pass: sicurissime che i mariti sarebbero tornati timidamente all'ovile subito dopo, concedono loro un “pass” di una settimana per spassarsela con chi vogliono, senza problemi. E così (prevedibilmente) faranno i loro poco baldi quarantenni – non senza essersi disfatti di canne, aver mietuto infinitamente meno successi delle consorti (semplicemente perché meno visibilmente assatanate), aver constatato che la ragazza dalla bellezza più eterea è anche quella che più inonda il bagno di diarrea e soprattutto che provare a lasciarsi andare alle sfrenatezze dei sensi significa sbattere il naso contro il muro invisibile del “primo approccio”. La loro sarà un'escursione tragicomica nel “fuoricampo” del matrimonio: impareranno, come insegna loro il (grande) caratterista Richard Jenkins in panni genialmente opposti ai suoi abituali (lo scafatissimo gestore di un night), che una ragazza non è bella in sé, ma in rapporto a quelle che la circonda. Basta isolarla coprendo con le mani le parti del proprio campo visivo occupate dalle altre, e anche la più bella diventa racchia. E questo zigzag tra campo e fuoricampo è tanto centrale che le gag più spassose (in un film comunque parecchio divertente, anche grazie a un lodevole Owen Wilson spaccato più del solito tra naturalezza e affettazione) sono probabilmente quelle che giocano con personaggi che non sanno di essere visti (Jason Sudeikis che si masturba con gli occhi chiusi nell'auto mentre due poliziotti guardano sghignazzando appena fuori dal finestrino, o la scena di lui e Wilson inconsapevolmente spiati dalla CCTV mentre sparlano degli amici).

Sulla scia del rovesciamento (insostituibile motore del comico), i Farrelly spingono il gioco a rimpiattino (classico, classico, classico) tra la norma e l'eccezione fino a vedere (come già in Lo Spaccacuori) il non plus ultra della trasgressione nella regola stessa. Perché il vomito in primo piano farà anche impressione, ma non apparirà mai fuori posto quanto Owen Wilson che rifiuta l'incredibile Nicky Whelan, giurando fedeltà alla moglie. Un conto è pensarci, un altro conto è confermare il giuramento con le curve della Whelan davanti agli occhi da solo con lei in una stanza d'albergo. Naturalmente, tanto più i Farrelly prendono sul serio la situazione (evitando accuratamente di ridicolizzarla), tanto più l'effetto appare “mostruoso” e destabilizzante.

Ed è per la loro solidità nel cavalcare il paradosso senza farsi disarcionare, che i Farrelly si lasciano alle spalle le frequenti, ingenue riserve di chi rimprovera alla comicità demenzial-scatologica di fingere la sfrenatezza regressiva solo in vista di un'apologia conformista facile facile, di un familismo all'acqua di rose, di un immancabile rientro finale nei ranghi dell'ordine. Piuttosto, questa dialettica viene resa esplicita, e per questo minata alla base. Il loro cinema è troppo paradossale per essere moralista, ma abbastanza per essere morale.

Sì, morale, come i racconti di Rohmer. L'accostamento sembrerà paradossale, ma in fondo l'adulterio scientemente programmato come riconferma del matrimonio è proprio lo schema dei contes moraux. Il ritornello che i protagonisti non cessano di ripetersi (“Le parole possono far male”) è quanto mai rohmeriano – per non parlare della provvidenza che fa da sfondo delle vicende (Providence, Rhode Island)…

Titolo originale: Hall Pass
Regia: Peter Farrelly, Bobby Farrelly

Interpreti: Owen Wilson, Jason Sudeikis, Jenna Fischer, Richard Jenkins, Christina Applegate
Distribuzione: Warner Bros Italia
Durata: 105'
Origine: USA, 2011

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