LIBRI DI CINEMA – Alain Resnais. L'avventura dei linguaggi, AA.VV. (a cura di Roberto Zemignan)

Alain Resnais. L'avventura dei linguaggiGli atti dell’omonimo Convegno Internazionale di Studi tenutosi a Febbraio 2007, nell’ambito della IX Edizione di “Lo sguardo dei Maestri”, sono preziosi contributi critici sui tanti piani del reale che si moltiplicano nel cinema di Alain Resnais, quella “macchina del tempo del sentire” che Resnais ha costruito proprio sul paradosso della forma, sfidando tempo e spazio con inquadrature uniche che messe in serie «capovolgono il mimetismo antico di un’arte che cerca di unire i suoi frammenti per raggiungere l’unità del mondo». Il Castoro.

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Alain Resnais. L'avventura dei linguaggiALAIN RESNAIS. L’AVVENTURA DEI LINGUAGGI

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Autori vari (a cura di Roberto Zemignan)

Edizioni Il Castoro

Finito di stampare nel mese di gennaio 2008

Pag. 304 – 21,00 euro

 

 

 

Non sono ossessionato dal passato;

 quello che mi ossessiona, è il presente.

[Alain Resnais, dalla conversazione con Aldo Tassone, p. 258]

 

 

 

 Il testo, imponente per contenuti e ricchezza di spunti, si divide tra i nove contributi di Gli strumenti del linguaggio e gli otto saggi di La sperimentazione: alcuni esempi. L’introduzione di Zemignan parte dall’affinità, di intuizione deleuziana, tra Orson Welles, al quale era dedicata l’edizione precedente de Lo sguardo dei Maestri, e Alain Resnais, e ci avvicina subito alla specifica modernità dello sguardo di Resnais, la serialità delle immagini che attraversano il suo cinema – una serialità però produttrice di senso –  nell’ingranaggio dei linguaggi in cui, a ritroso, si colloca un immaginario galleggiante ben oltre le dimensioni di tempo e spazio. «Ho l’impressione che vi sia una specie di film a venire che fluttua nell’aria, come una pietra che un archeologo avrebbe estratto dalla terra, e che il lavoro per fare un film consista nello spolverare, con molta precauzione, questa pietra, finchè non appaia una vera forma figurativa del film» dice Resnais del suo cinema, immerso nel paradosso di una struttura formale numerica (Resnais si considera un formalista, che nella conversazione davvero “a cuore aperto” con Tassone racconta come la forma sia emozione); di numeri però che non cessano di trasformarsi in materia pullulante di alterità: una forma paradossale perché regolata, ma abitata dal molteplice, da un materiale L’anno scorso a Marienbadeterogeneo come le forze centripete o centrifughe (Riccardo Costantini su L’amour à Mort) da cui l’uomo, elemento centrale di un cinema umanista, viene investito, e spesso inconsciamente («cadaveri che si muovono in rituali senza senso» (p. 232).

Il ritratto (e autoritratto) di Resnais che viene fuori da queste riflessioni si discosta dall’immagine dell’autore-filosofo o dell’intellettuale francese, descrivendolo piuttosto come un bricoleur, un metteur en scène (il suo affidarsi agli sceneggiatori) con il gusto del gioco, del puzzle in cui aspetti complessi e ludici convivono; eppure da più parti viene messa in discussione la definizione univoca di cinema-mosaico a proposito del suo percorso, che per quanto nutrito di una tecnica quasi  combinatoria, come in Queneau (la variazione nella ripetizione) più che di approccio surrealista, non si può ridurre a pura strategia e può essere visto piuttosto come cinema-laboratorio, una grande sfida continua ai temi del tempo e dello spazio – una vera e propria macchina del tempo del sentire (Je t’aime Je t’aime). Ciò vale soprattutto per il brillante saggio di Dominique Chateau, che ragiona sui limiti spaziali e temporali dell’inquadratura quale risultato di una concezione estetica complessiva, fatto estetico.

Anche il contributo di Vincent Amiel, stavolta dal punto di vista del montaggio, rifiuta in questo senso l’idea baziniana di decoupage come assemblaggio di frammenti, in sé coerenti, e cerca invece di catturare l’intreccio di realtà eterogenee che convivono nei film di Resnais. Preferisce infatti, all’ipotesi di un disegno d’insieme concepito a priori, L’anno scorso a Marienbad l’immagine della giustapposizione ambivalente di pezzi che non coincidono, perché non appartengono a un unico livello del reale. Amiel racconta attraverso tre tecniche di montaggio predilette (accumulazione, sovrapposizione e interruzione), come le sue complesse architetture non abbiano mai come esito una cristallizzazione, ma al contrario generino scintille e attriti sotto la spinta del caso. Amiel osserva che il gioco del mostrarci “la meccanica”, gli artifici che di solito si dovrebbero nascondere, la struttura a monte dei film, quello delle “biografie” dei personaggi, che Resnais chiedeva di scrivere ai suoi sceneggiatori, non solo non bastano a darci una spiegazione, ma anzi creano una falsa unità in cui il montaggio, in apparenza così rigoroso, è un’ennesima rottura e la completezza resta «un orizzonte soltanto sognato», testimonianza della natura artificiosa, in fondo, di ogni immagine. Le inquadrature uniche «la cui messa in serie diventa ingannevole» dunque «con forza, con consistenza capovolgono il mimetismo antico di un’arte che cerca di unire i suoi frammenti per raggiungere l’unità del mondo» (p.42).

Jean-Pierre Berthomé si concentra sulla scenografia, nell’ottica di Resnais (che fu quasi sempre fedele allo stesso collaboratore, Jacques Saulnier) un mezzo parlante per produrre senso e non soltanto i necessari effetti espressivi, attraverso la tensione tra permanenza e metamorfosi (La vita è un romanzo), il mutamento di mobili, strade, paesaggi, che mostra paradossalmente la staticità di 8 anni di relazione, di vita (Je t’aime Je t’aime), le variazioni minute di uno spazio in cui altri elementi restano costanti, a significare incertezza e smarrimento dei personaggi stessi (L’anno scorso a Marienbad).

A questo contributo si può legare quello illuminante di Antonio Costa, Notte & nebbiache esplora spazi e percorsi di senso nel cinema di Resnais, definito altrove «agrimensore dell’immaginario» o «sismografo della modernità», mostrando come non sia «la storia, semmai la geografia, la topologia dei quadri» a interessarlo, attraverso un cinema affine a una Babele enciclopedica, borgesiana, disseminata di finestre dalle quali accediamo alla memoria collettiva attraverso un ricordo solo apparentemente invidiale.

I saggi di Arecco e Calabretto si soffermano, più che sull’uso peculiare della musica nelle opere di Resnais (le stesse canzoni ripetute da diversi personaggi in Parole, Parole, Parole, per esempio, come si ricorda in un altro contributo), l’uno sulla  loro componente musicale intrinseca, la loro natura di “partiture” ordinate secondo un “montaggio polifonico”, natura testimoniata non solo e non tanto dalla vocazione per la variazione e il contrappunto ossessivo quanto dalla stessa interconnessione delle vicende presentata dal montaggio, che infrange con disinvoltura tutte le barriere spaziotemporali (p.66), osservando anche come il rapporto di R. con la musica, come con la letteratura, il teatro, il fumetto, la pittura, la biologia perfino, sia non solo fecondo, ma del tutto originale nelle sue modalità; l’altro sottoponendo ad un appassionante cross examination Resnais e il compositore L’anno scorso a MarienbadSondheim, legati dall’amore per la decostruzione, la dialettica tra identificazione e distacco, una visione cupa dell’esistenza miscelata e contrapposta alle energie pulsanti e vitali della moltiplicazione.

Del Ministro esplora i temi ricorrenti della poetica di R., sottolineando come in tutti i suoi film le possibilità di ricostruire il reale siano definitivamente illusorie e la sostanza assurda e potenzialmente illimitata, e labirintica, dei percorsi dei suoi personaggi-maschere (come l’uomo e la donna di Marienbad, i topi in trappola di Mon oncle d'Amérique, i protagonisti di Cuori) ci esponga a un racconto sul tempo che ha ancora una volta a che fare con la psiche collettiva più che con una fabula.

Lo spazio di René Predal è dedicato al nodo cinema-letteratura, reso speciale, nel caso di Resnais, non tanto dall’interazione di questi due mondi, ma dalla forma specifica che tale rapporto – molto più che un semplice “incontro a metà strada”, come pure in De Oliveira –ha assunto in un contesto in cui il noveau roman in letteratura faceva parte del passato e la nouvelle vague nel cinema si esprimeva ai suoi inizi (e che a sua volta amava la letteratura francese quanto il cinema americano); Predal mette in luce la magica alchimia degli “gli spartiti letterari” di Duras per Hiroshima mon amour, di Alain Robbe Grillet per Marienbad, di Jean Cayrol per Muriel ou Le temps d'un retour, e narra lo scambio tra sguardi in cui l’occhio del romanziere diventa macchina da presa e quello del cineasta Resnais l’esploratore dell’inconscio che si concede d’interrompere bruscamente la narrazione per raccontare i pensieri dei suoi eroi. Hiroshima mon amour

Infine, i nove esempi di sperimentazione vanno dalla «dimensione museale» (la valenza del “reliquiario” , l’inaccessibilità del passato, il gioco dei diversi registri, b/n e colore, vuoto e pieno di Notte e Nebbia) ai primi 15 minuti di Hiroshima Mon Amour, che collocano magicamente «la più banale delle storie d’amore» sullo sfondo dell’orrore supremo (testo particolarmente interessante che avvicina Resnais a Andy Warhol come sottile cantore del suo secolo, più che a un cineasta-auteur); si affrontano la forma circolare dell’affascinante oggetto misterioso Je t’aime Je t’aime e la natura particolare di flashback infiniti che non sono balzi nel passato, ma «tempi morti e tuttavia vissuti»; il gioco degli opposti in L’amour à mort (la morte come una massa tumorale che incombe sull’amore) e dei mondi possibili in Smoking/No Smoking; l’interdipendenza tra i personaggi di Cuori e i «corpi-emanazione» di Pas sur la bouche. Chiudono il volume “A cuore aperto”, la conversazione tra il regista e Aldo Tassone sulle sue ossessioni (i fumetti come Mandrake e Flash Gordon, Antonioni "ghiaccio che brucia", il rapporto con la critica che ha visto forzatamente nei registi della Nouvelle Vague un'ideologia comune, l'amore per il trattamento del tempo da parte di Aldous Huxley e per il teatro di Bernstein e Sacha Guitry), e e la filmografia completa. 

Contributi di: Vincent Amiel, Sergio Arecco, Jean-Pierre Berthomé, Roberto Calabretto, Dominique Chateau, Antonio Costa, Riccardo Costantini, Maurizio Del Ministro, Nicola Dusi, Sezanne Liandrat-Guigues, Sylvie Lindeperg, René Prédal, Esteve Riambau, Alberto Scandola, Francois Thomas, Flavio Vergerio, Peter von Bagh. Conversazione con Alain Resnais di Aldo Tassone. Filmografia a cura di Riccardo Costantini.

 

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