LIBRI DI CINEMA – "David Lynch. Mulholland Drive" di Luca Malavasi

David Lynch - Mulholland DriveQuesto recente saggio mette in luce come sia pericoloso e riduttivo tanto forzarsi a ricostruire una narrazione nell’oggetto pulsante e refrattario a obbedire a semplificazioni anche solo temporali qual’è Mulholland Drive, quanto immobilizzare le febbrili impalcature lynchiane, sostenute da una logica rigorosa, allusiva, persino spietata, in mera contemplazione di un mondo onirico e allucinatorio, attraverso un’analisi che identifica il rapporto di vera e propria tensione amorosa che si mette in gioco tra Lynch, i suoi attori e l’osservatore. Edito da Lindau

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David Lynch - Mulholland DriveDAVID LYNCH. MULHOLLAND DRIVE

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Luca Malavasi

Edizioni Lindau

Finito di stampare nel mese di dicembre 2007

Pag. 240 – 18,50 euro

 

 

 

Questo recente saggio dedicato a Mulholland Drive evita saggiamente di dilungarsi sul percorso artistico di David Lynch, già approfondito ampiamente in altre pubblicazioni, peraltro ampiamente segnalate e citate, ma mentre si concentra su uno dei suoi film più significativi, coglie immediatamente gli aspetti più a rischio di fraintendimento nel complesso della sua poetica, primo tra tutti quella collisione tra mondi possibili che ci forza, meravigliosamente, ad un lavoro contemporaneamente “di testa” e “di pancia”, un’ indagine alla quale siamo chiamati dalla pienezza sensoriale della messa in scena lynchiana, che ci chiede di non ridurla ad un’analisi intellettualistica, ma anche e soprattutto di non viverla soltanto come mero abbandono a una visione più o meno estatica. L’autore Luca Malavasi mette in luce come, se è pericoloso forzarsi a ricostruire una narrazione in oggetti pulsanti – e refrattari per loro natura ad obbedire alla semplificazione anche solo temporale – come Mulholland Drive (e lo stesso discorso vale per Lost Highway e ancor più per INLAND EMPIRE) ci si avventuri su un terreno doppiamente scivoloso, e verso definizioni doppiamente riduttive della complessità dell’opera, qualora ci si mantenga in un assorta contemplazione di un supposto mondo onirico, allucinatorio o schizofrenico, rischiando di non riconoscere la logica rigorosa, allusiva, perfino spietata che sostiene le febbrili impalcature lynchiane.

Buona parte del testo è dedicata infatti a ripercorrere le forti reazioni critiche a MD, soffermandosi sul problema della decodifica: se l’autore mette in guardia da una sorta di autopsia clinica, e propende per il rispetto dell’oscurità semantica, quando voluta, riconoscendo come la verbalizzazione sia sempre un po’ riduzionista, e a maggior ragione nei confronti di un lavoro che fa continuamente appello alla parabola della caduta e della sconfitta di un impero interiore che continuamente rielaboriamo dentro di noi (anche i famosi 10 indizi forniti dal regista su questo suo film sono per Malavasi più che altro un invito a restare raccolti in una dimensione di dubbio e di domanda pù che di risposta univoca) d’altro canto esprime perplessità, con annotazioni puntuali, su quello che sembra un atteggiamento comune anche tra molti appassionati della cinematografia di Lynch: imprigionare un universo in dissoluzione e in creazione costante nella gabbia interpretativa del sogno, che è pur sempre una prigione, o di una grammatica surrealista, che ne mortifica lo statuto di aguzza riflessione sul reale. Citando il modello interpretativo del nastro di Moebius, proposto da più voci, e il meccanismo di myse en abime, senza tralasciare l’approccio di chi ha identificato nel precipitare di Diane/Betty il volto nudo della putrefazione della macchina Hollywoodiana, l’autore si avvicina, per passaggi ben argomentati, a una visione di MD come un trattato di una diagnostica della sparizione – testimonianza dello sfinimento di un soggetto esausto, che, messa da parte la bestemmia di una solida unità, di un’unica identità che non vacilli, si moltiplica non tanto in un caos incontrollato quanto in un affollamento di possibilità infinite, di impossibilità definitive – l’amore, di cui i personaggi lynchiani sempre sono (siamo) crudamente affamati, tesi ad ascoltare dietro le porte della loro e della nostra percezione. Mulholland Drive - la cadutaIl libro si pone inoltre, anche attraverso l’apparato iconografico (32 sequenze in bianco e nero) e l’analisi delle differenze tra il film finito e il pilot di quella che sarebbe dovuta essere una serie tv (specificando quella che sembra essere una preoccupazione costante e un costante desiderio di David Lynch: poter sviluppare all’infinito, vertiginosamente, un mondo fino a perdersi in esso, senza mappa) come il tentativo di raccontare come MD e tutto il cinema di Lynch tenda a incorporare la pluralità, viverla e testimoniarla anziché limitarsi a manifestarla. La decomposizione del corpo di Diane/Betty è quella delle speranze, ma non solo: il movimento di caduta del suo percorso  e a questo mondo in frammentazione corrisponde a una dissoluzione delle unità segniche del linguaggio verbale (il Club Silencio); la decomposizione avviene anche sul piano teorico e il senso profondo di l’operazione lynchiana viene colto dall’autore come “gesto distruttivo (anche se non violento) a cui segue non tanto una (ri)costruzione quanto, piuttosto, una liberazione spontanea e incontrollata di «materia» in vista di nuove possibilità esistenziali e combinatorie”, un senso che con INLAND EMPIRE sfiderà definitivamente i limiti dello spazio convenzionale della cinematografia, creando quella che Malavasi definisce una vera e propria tensione amorosa tra Lynch, i suoi attori e l’osservatore.

 

 

     INDICE

 

David Lynch: altro, outsider, freak  p. 7
Il film  p. 33
Suddivisione in sequenze  p. 65
Mille e una critica  p. 83
Fratture narrative: la fine di un inizio  p. 115
Sconfinamenti e cadute  p. 151
Hollywood, il desiderio, lo sguardo  p. 179
Antologia critica  p .215

Bibliografia  p. 225

 

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