LIBRI DI CINEMA – "I Film di Steven Spielberg", di Roberto Lasagna

In questa sua rapida ma appassionata ricostruzione della carriera di Spielberg edita da Falsopiano, Roberto Lasagna segue un percorso rigidamente cronologico: procede per singole pellicole, traccia traiettorie espressive di passaggio, cala ogni successo di botteghino nel contesto storico relativo, segnala deviazioni e rintraccia continuità

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Per quelli venuti al mondo tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, leggere una monografia dedicata al cinema di Steven Spielberg corrisponde ad una sorta di viaggio all'interno della propria vita da spettatore.
E' come riavvolgere il grande nastro delle propria biografia visiva: poi aprire il libro, e premere Play. Dentro le pagine scorrono, disordinatamente, preziosi frammenti della propria memoria bambina: quella bici col cestino che impenna verso la luna, il muso infuriato di un Velociraptor, il capello a falde larghe di Indiana Jones – che lui ne passava di tutti i colori, eppure gli restava sempre in testa.  

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In questa sua rapida ma appassionata ricostruzione della carriera del cineasta americano, Roberto Lasagna segue però un percorso più rigidamente cronologico: procede per singole pellicole, traccia traiettorie espressive di passaggio, cala ogni successo di botteghino nel contesto storico relativo, segnala deviazioni e rintraccia continuità.


L'analisi parte dall'emersione dell'universo immaginifico del regista-prodigio e dalla conseguente definizione di una nuova idea di "film hollywoodiano", definitivamente votata allo spettacolo totale. Accenna ai temi del grande romanzo spielberghiano – le ancestrali paure collettive, l'insistito contatto con l'Altro da sé, l'infanzia come condizione cui aspirare, il vuoto della figura paterna – passando alla rivoluzione espressiva introdotta da un cinema sempre sfrenatamente iperreale, un cinema che cita il classico giocando al cartoon.


Il libro documenta anche l'iniziale scetticismo della critica internazionale per una produzione giocattolo tacciata di furbo giovanilismo, descrivendone poi la successiva e orgogliosa ricerca di un "marchio d'autore" che condusse il regista americano alle sue opere più venerate e premiate.
Si conclude, dopo circa 200 pagine, con i suoi film più recenti, segnati da accenti improvvisamente più cupi, da una sorta di sofferto pessimismo sulle stato del mondo e da tetre prospettive spalancate su un futuro inquietante.


Il rischio, nel ripercorrere trent'anni di cinema assolutamente fondamentale per l'immaginario occidentale contemporaneo, è che lo sguardo si faccia abbagliare dai riflessi della gratitudine: che poi è un po' il problema di ogni critico alle prese con i pilastri della propria passione cinefila. Così, se l'analisi di Lasagna vi parrà a tratti eccessivamente riverente nei confronti dell'autore-feticcio oppure troppo cauta e disciplinata nel dipanare il filo che tiene insieme i 27 lungometraggi, voi siate clementi.


E grati a Steven Spielberg.

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