LIBRI DI CINEMA – IL BUIO ELETTRICO. Il cinema e la sfida del Novecento


Il buio elettricoQuello di Liborio Termine è il libro di uno studioso di cinema tra i più importanti del nostro paese. Termine è ordinario di Storia e critica del cinema all'Università di Torino. Questo studio può definirsi come il viaggio spesso sorprendente sulle relazioni intime e, perché no, pericolose o difficili tra la letteratura italiana e la produzione cinematografica dell'inizio del Novecento con una coda imprevista che riguarda Bertolt Brecht. Edito da Le Mani.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Il buio elettricoIL BUIO ELETTRICO – Il cinema e la sfida del Novecento

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
Liborio Termine
Finito di stampare nel mese di novembre 2008
Le Mani
pp. 308– Euro 16

 

 

Il libro di Liborio Termine è il libro di uno studioso di cinema tra i più importanti del nostro paese. Termine è ordinario di Storia e critica del cinema all'Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo La drammaturgia del film, uno degli studi fondamentali per addentrarsi nelle dinamiche più ricorrenti del linguaggio cinematografico. Termine sembra aver sposato le ultime teorie che vedono il cinema come una delle tante facce della Storia delle visioni. Ma, ancora di più, lo spettacolo cinematografico si è innestato nella cultura del Novecento in maniera profonda. Tanto che il cinema può senz'altro definirsi l'arte più pervasiva tra quelle del Novecento. Non a caso allora arriva questo studio che potremmo definire sulle relazioni intime e, perché no, pericolose o difficili tra la letteratura italiana e la produzione cinematografica dell'inizio del Novecento con una coda imprevista che riguarda Bertolt Brecht. Il libro si divide così in tre parti dedicate rispettivamente a Gabriele D'Annunzio; la seconda a Luigi Pirandello ed infine l'ultima e più breve parte che fa luce sui rapporti tra Brecht e il cinema. Nella premessa, intitolata provocatoriamente “Il cinema nell'epoca dell'inferno”, Termine si preoccupa di inquadrare a livello sociale la nascita del cinema. Non soltanto la sorpresa nei confronti della macchina tecnologica, quanto la sua esclusiva propensione a continuare lo spettacolo di effetti ed illusioni dei secoli precedenti (dalle corti medievali ai clown del circo). Spingendosi anche a valutare questa dimensione genuina del cinema come sua esclusiva natura e considerando la sua dimensione narrativa in fondo meno importante di quella che crea continua suggestione nel pubblico. E l'attore diventa ancora di più “cosa”, straccio per un ulteriore trucco dello spettacolo moderno. Questo baraccone, per quanto possa essere strumento del nuovo sistema di produzione ed organizzazione capitalistico, influenzerà profondamente la letteratura e tutte le arti. Nel caso di Gabriele D'Annunzio sarà ancora più illuminante la consapevolezza dello scrittore e poeta, già a partire dalla realizzazione di Cabiria di Giovanni Pastrone (e con quale sotterfugi per propinarla alle masse) che è lo spettacolo la vera anima del cinema già dagli anni Dieci, ovvero la produzione di un evento particolare che attragga il popolo spettatore. D'Annunzio sarebbe vissuto benissimo in epoca postmoderna, vista la sua capacità di cavalcare la tigre, di promuovere a dismisura se stesso e tutto quanto toccava. Insomma, già parleremmo di public relations, di marketing e così via. Certo la posizione di Pirandello, autore del fondamentale Quaderni di Serafino Gubbio operatore è molto più complessa, perché soprattutto teorica e legata alla produzione di nuovi strumenti di illusione psicologica, che poi trovano nelle narrazioni cinematografiche un perfetto compimento. E sull'immagine Pirandello è smaliziato: “l'immagine invecchia anch'essa tal quale come invecchiamo noi a mano a mano. Invecchia pure fissata lì in quel momento; invecchia giovane se siamo giovani, perché quel giovane lì diviene di anno in anno sempre più vecchio con noi, in noi”. Grandissima definizione che forse ci fa pensare ad una fine del cinema imminente come tecnologia, o meglio dell'immagine cinematografica creatrice dell'indispensabile mitografia di cui parla in primis Roland Barthes, più volte citato nel volume. Nel cinema secondo Pirandello il corpo dell'attore si concede totalmente, finisce per sottrarsi al tempo storico per entrare nel vuoto della ripresa cinematografica. Per questo l'attore, in fondo capisce, secondo Pirandello, che la recitazione di fronte alla macchina da presa gli impone un cambiamento radicale, quella che Walter Benjamin chiama test: sono i pezzi dell'attore, le mani, gli occhi, ecc. che entreranno parcellizzati attraverso i primi e mezzi piani, anche temporalmente nell'alfabeto del cinema. Tutto il volume è arricchito da un'impressionante mole di fonti storiche e bibliografiche di cui si dà conto nelle note a piè di pagina o a fine capitolo (come nel caso della parte dedicata a Brecht).

 

Indice:

Il cinema nell'epoca dell'inferno
D'Annunzio o l'elogio dell'imbroglio
Pirandello e il cinema
La rivolta della vista
La fotografia e l'attore
L'opera della macchina
L'arte nella vita da cinematografo
Su una falsa strada
Ero contrario, mi sono ricreduto
Il settimo personaggio
Quel che nel romanzo non c'è
L'immagine crudele
La beffa e lo scacco
Un prestito del personaggio alla personaggi
Brecht, dal cinema alla letteratura

 

 
 

 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array