LIBRI DI CINEMA. Il cinema del nuovo Millennio – Geografie, forme, autori

Il libro curato da Alessia Cervini è una fondamentale riflessione teorica-critica a più voci che esplora territori e confini del cinema degli anni Duemila. Carocci Editore

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Trecentocinquantasei pagine densissime per provare a cartografare alcune delle mille traiettorie di una storia “consegnata a un destino i cui contorni sono ancora tutti da immaginare“, come recita la quarta di copertina. È il compito che si assume con eterogenea coralità di spunti teorici il libro “Il cinema del nuovo millennio – Geografie, forme, autori”, curato da Alessia Cervini per Carocci Editore nella collana Studi Superiori. Docente di Storia del Cinema al Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli studi di Palermo, Cervini nella sua prefazione informa il lettore sulla necessità che questa miscellanea si è assunta di provare a mettere qualche punto fermo sul cinema del nuovo millennio: “Il volume è la risposta a un’esigenza di comprensione e chiarificazione circa le sorti di un oggetto non ancora storicizzabile, perché tuttora presente e in costante cambiamento: un oggetto eterogeneo che abbiamo voluto ricondurre sotto la generica definizione di ‘cinema contemporaneo’, la cui nascita abbiamo fatto risalire – altrettanto genericamente – all’inizio degli anni Duemila. Che cos’è e come funziona il cinema prodotto in questo inizio di secolo?“. Per provare a dare risposta alla domanda forse più importante dell’universo audiovisuale il libro sceglie di affrontare l’argomento individuando quattro parti tematiche, Temi, Geografie, Autori, Opere, che si ramificano ulteriormente in paragrafi incentrati su un particolare aspetto. Per usare di nuovo le parole di Cervini: “La Parte prima è stata concepita per dare risposta delle forme generiche classiche in seguito all’affermazione, sempre più diffusa, di modalità della narrazione seriali. Quale ruolo giocano i nuovi media in questo lavoro di ridefinizione del cinema e delle sue possibilità espressive? La Parte seconda da ascolto a cinematografie emergenti che più di ogni racconto politico ci restituiscono l’immagine di un mondo in continua trasformazione“. La terza macrosezione si occupa invece della “nuova generazione di autori, arrivata al cinema proprio negli ultimi vent’anni. […] La Parte quarta chiude il libro con l’analisi di alcune opere “spartiacque“.

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Facendo dell’assenza di unitarietà teoretica il proprio punto di forza “Il cinema del nuovo millennio” sceglie d’avvalersi del contributo di alcuni dei più brillanti professori, dottori e ricercatori di cinema che forniscono la propria competenza specialistica al lavoro, chiudendo ogni loro scritto con la bibliografia di riferimento. Il discorso sul cinema del nuovo millennio non può innanzitutto prescindere dal suo rapporto con l’attualità politica. Ed è proprio Cervini che s’incarica di farne luce nel primo capitolo del libro, Il cinema politico: “Per ciò che riguarda nello specifico il cinema del XXI secolo, è forse addirittura pleonastico affermare che il contenuto politico è fornito dall’evento che ha dato inizio al nuovo millennio: l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, l’11 settembre del 2001, con tutto quello che ne è più o meno direttamente conseguito (le guerre in Afghanistan e in Iraq, i campi di reclusione di Abu Ghraib e Guantanamo, fino alla più recente costituzione dell’isis)“. Come mostrato ad esempio in Italia dal cinema di Bellocchio, un certo tipo di cinema contemporaneo tende “a lavorare con immagini il cui compito pare essere, più di ogni altro, la rammemorazione e l’elaborazione di un trauma originario, da cui il nuovo millennio ha avuto inizio“. Così quasi i tutti i lavori della seconda parte, Geografie, si trovano inevitabilmente a parlare di cinematografie di Paesi marchiati a fuoco dalla Storia recente. A partire dalla regione che anche in questo secolo rimane la polveriera del pianeta, preda di interessi locali e globali contrapposti: “Nel corso della sua travagliata storia recente, il Medio Oriente è stato sempre attraversato da conflitti che hanno contribuito a definirne l’identità e le prospettive, sia sul piano globale che su quello regionale, sia a livello delle crisi politiche di lungo periodo sia a livello delle questioni culturali di fondo“, ricorda Dario Cecchi nel suo lavoro quando scrive dell’impossibilità per il cinema di autori come Kiarostami, Gitai e Panahi, solo per citare i più celebri, di eludere la questione socio-politica. La sopraccitata differenziazione teorica del libro si fa evidente quando Pietro Masciullo nel suo saggio incentrato sulla definizione larghissima di cinema europeo compie invece un discorso da una prospettiva speculare: “Gli europei hanno vissuto gli stessi cambiamenti sociali, economici e culturali, ma i loro bagagli culturali restano divisi ed è questo il dato interessante: come sono state interpretate le stesse trasformazioni nell’ottica delle diverse tradizioni culturali?“. Una chiave di lettura potrebbe essere quella della diversa affermazione di genere nelle diverse cinematografie. Anche se, come avvertono Alberto Libera e Luca Malavasi nel loro intervento La rivisitazione dei generi:

All’interno dei Film Studies non esiste probabilmente concetto più scivoloso di quello di genere. Come sottolinea Raphäelle Moine, infatti, «i generi sono contemporaneamente un atto discorsivo, uno strumento comunicativo, una mediazione ideologica e culturale». Vale a dire: essi qualificano la natura di un testo (un western, un musical, un noir ecc.) ma anche un certo modo di produzione (il “cinema di genere”, idealmente opposto al “cinema d’autore”) e un certo tipo di prodotto culturale (il film di genere come opera “popolare”, – da una proliferazione di narrazioni estese, cross-, trans- e multimediali, in cui il film figura spesso come un elemento – per quanto centrale e generativo – preso all’interno di narrazioni più ampie, di immaginari complessi e di forme di consumo proteiformi. Dalla metà degli anni Novanta, complice il successo di Pulp Fiction (Quentin Tarantino, 1994), il genere si è fatto via via sempre più globale e transnazionale, opacizzando le proprie originarie marche identitarie – fino a imporsi nella versione debole del “gusto” o del “tratto stilistico”.
Se il cinema del nuovo millennio è quindi contrassegnato al suo interno da questa continua ridefinizione semantica bisogna ricordare che anche al suo esterno è in perenne dialogo con gli altri mass-media. Luca Malavasi infatti nota come anche se i film commerciali “restano, a tutti gli effetti, film – e cioè un prodotto chiaramente distinto in termini testuali e merceologici –, dal punto di vista culturale non possono essere pensati al di fuori del complesso “ecosistema” di cui sono parte e del quale, anzi, rappresentano molto spesso l’elemento portante (soprattutto in termini di immaginario), in grado di alimentare una ricca product line di contenuti audiovisivi e un vasto assortimento di prodotti per l’intrattenimento“.
In questo senso forse la direzione più interessante da seguire è quella che verte sull’inarrestabile serializzazione delle forme culturali: è davvero il destino a cui il cinema del nuovo millennio deve arrendersi o esso possiede ancora la sua specificità novecentesca? Noi in questo senso non siamo fatalisti e come Francesco Zucconi (e i Cahiers du Cinema) crediamo che esista il posto per splendide eccezioni: “Twin Peaks – Il ritorno costituisce una forma di resistenza ai possibili fenomeni di “serializzazione della serie”.

Il cinema del nuovo millennio
Geografie, forme, autori
a cura di Alessia Cervini
356 pagine

 

Carocci Editore  

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