LIBRI DI CINEMA – Il cinema randagio di Sergio Citti


Prima monografia dedicata alla vita e all’opera di Sergio Citti, il lungo e accurato saggio di Livio Marchese riconosce al cinema del regista romano, così spesso considerato un semplice emulo di Pasolini, un’unicità di ispirazione, di stile e di sguardo che ha rappresentato l’opposizione della cultura sottoproletaria e “borgatara” alla società dei consumi. Una cultura e una filosofia di vita scomparse di cui sarebbe doveroso mantenere viva la memoria. Edizioni La Fiaccola.

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Il cinema randagio di Sergio Citti«Né in tera, né in mare, né in cielo». Il cinema randagio di Sergio Citti
Livio Marchese
Prefazioni di Virgilio Fantuzzi e Goffredo Fofi
Edizioni La Fiaccola
Settembre 2009
pp. 273 – € 18
 
 
Frutto di un lungo lavoro di ricerca risalente al biennio 2003-2004, l’accurata monografia di Livio Marchese, prima opera interamente dedicata al cinema, alla poetica e alla vita di Sergio Citti, è pervasa dall’intento chiaro e sentito, mai pedante, di colmare un vuoto, di contrastare la distrazione, l’assenza di riflessione, in alcuni casi la snobistica emarginazione che hanno reso il regista romano uno degli autori non riconosciuti del cinema italiano. A quattro anni dalla sua scomparsa, se è in parte venuto meno il tradizionale giudizio che vede in Citti un semplice emulo di Pasolini, si è ancora lontani da una piena rivalutazione, e certo colpisce come alla maggior parte delle sue opere (fatta eccezione per Il casotto e Vipera) sia ancora preclusa la distribuzione in dvd, garantita anche ai prodotti più scadenti della commedia all’italiana. Il lungo saggio di Marchese restituisce piena autonomia all’arte di Sergio Citti, riconoscendo nell’unicità del suo cinema – un’unicità di ispirazione, di stile e di sguardo – la testimonianza di una cultura scomparsa di cui sarebbe doveroso mantenere viva la memoria.
Ciò che preme all’autore non è solo dimostrare l’indipendenza di Citti dal maestro Pasolini (sottolineando come, se ci fu certamente influenza, questa non è stata a senso unico), ma rilevare come il suo atipico status di regista di estrazione sottoproletaria abbia rappresentato una forma di resistenza, l’ultima opposizione alla modernità massificante, allo «sviluppo senza progresso», da parte della cultura sottoproletaria e “borgatara” romana. Il vissuto personale di Sergio Citti, cresciuto tra le baracche della borgata di Torpignattara (oggi irriconoscibile e identica alle periferie di tante altre città), ha intriso il suo cinema, lo ha reso tutt’uno con una visione della vita fatta di solidarietà tra ultimi, anarchia, disprezzo per i “padroni” e i borghesi che, a differenza dei borgatari, del mondo non sanno nulla. Da Ostia, la prima opera che vede tradotta in poetica questa sapienza di vita, fino a Fratella e sorello, Marchese tratta in capitoli distinti gli undici lungometraggi del regista romano, sottolineando a un tempo quanto ciascuno di essi generi ogni volta un nuovo mondo di creature derelitte e sublimi, e insieme sia legato ai precedenti da una identità di sguardo immediatamente riconoscibile, che mette a nudo l’umana commedia dei bisogni primordiali, delle pulsioni sessuali, dei sogni, della morte. Il sorriso beffardo di fronte alla morte dei due protagonisti di Storie scellerate, che muoiono soddisfatti per essersi goduti quel poco che la vita ha loro concesso, «assume l’aspetto inquietante dell’ultima risata del mondo» nel finale di Due pezzi di pane e muta nel riso divertito dei defunti di Mortacci, che osservano dal cimitero gli inutili affanni dei vivi. L’antitesi tra le necessità e i bisogni del quotidiano e la via di fuga offerta dai sogni oscilla tra il pessimismo de Il minestrone e di Cartoni animati, dove i personaggi salvifici «hanno ben poco da opporre all’irreversibile processo di degradazione dell’umanità», alla luce della stella cometa de I magi randagi, simbolo dell’umano, insopprimibile desiderio di credere in qualcosa.
Non è mai compiacente il cinema di Sergio Citti. Diverte, commuove, disturba, stupisce per aprire alla conoscenza del mondo, con un’immediatezza visiva frutto di una ricerca stilistica costante volta a far percepire il meno possibile (con inquadrature brevi e spesso a macchina fissa) la presenza “invasiva” del regista e a stimolare la fantasia dello spettatore, traducendo in immagini quell’arte del racconto orale che Citti padroneggiava con innato talento. E il saggio di Marchese, grazie alle numerose citazioni riportate nel testo e nelle note, riesce nell’intento di comunicare al lettore questa dimensione “orale” propria del cinema cittiano.
 
 
Indice
 
Quarant’anni con Sergio (di Virgilio Fantuzzi)
Su Sergio Citti. Caro (di Goffredo Fofi)
Nota dell’autore
«Le storie non devono piacere, ma dispiacere»
Capitolo I
Il “pittoretto” della Maranella a Ostia
Capitolo II
«E nessuno può imparà niente a ’n’ altro»: Ostia
Capitolo III
«Er giorno der Giudizzio»: Storie scellerate
Capitolo IV
Contro il cinema spettacolo: Casotto
Capitolo V
«L’ultima risata»: Due pezzi di pane
Capitolo VI
Fame, unica rivoluzione: Il minestrone
Capitolo VII
Fenomenologia delle passioni: Sogni e bisogni
Capitolo VIII
«Essere morti o vivi è la stessa cosa»: Mortacci
Capitolo IX
«Il mondo salvato dai ragazzini»: I magi randagi
Capitolo X
«Ci basta una capanna… »: Cartoni animati
Capitolo XI
«I figli di nessuno»: Vipera
Capitolo XII
«Libertà, me fai schifo!»: Fratella e sorello
Filmografia
Bibliografia
Indice dei nomi
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