LIBRI DI CINEMA – Il gotico padano

gotico padano
L’impressione che se ne ricava dalla lettura di questo libro, edito da Le Mani, è di dispersione (qui la marcata differenza tra la prima e la seconda parte) o di parzialità, come se il cinema di Pupi Avati non fosse in grado di offrire a critici e saggisti spunti sufficienti per un ritratto monografico finalmente compiuto

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gotico padano_pupi avatiIL GOTICO PADANO. DIALOGO CON PUPI AVATI
Ruggero Adamovit e Claudio Bartolini
Ed. Le Mani
Gennaio 2010
p. 244 – Euro 15
 
 
Per Roy Menarini, che spesso si è occupato di Avati e in particolare dei suoi film di genere, esistono «alcuni avatiani a metà, che tendono cioè a distinguere l’Avati horror da quello ufficiale, il regista del gotico padano, appunto, dal regista dei piccoli sentimenti e della commedia umana». Una distinzione, a detta di Menarini, un po’ superficiale, poiché traccia una linea di confine fin troppo rigida, sottovalutando in primo luogo le scoperte intenzioni o gli echi ignari dell’autorialità di Avati. Comunque consapevoli delle sfaccettature tematiche che il cinema di Avati può offrire, i due autori Adamovit e Bartolini hanno scelto di essere avatiani a metà e di scrivere di un argomento molto apprezzato (soprattutto da una critica e da un pubblico più giovani) e molto citato, ma fino ad ora non ancora messo su carta con un libro dedicato.
Attenti e appassionati a voler offrire al lettore un testo completo e decisivo sul gotico padano, ma incuranti del rischio di annoiare con spunti e approfondimenti fin troppo distanti dal soggetto principale (non a caso Adamovit non è uno studioso di cinema ma un esperto di ambienti, studi antropologici e etnografie delle aree venete e romagnole), cioè il cinema gotico di Avati, i due autori iniziano il loro studio e si soffermano per molte pagine sull’Emilia Romagna e la cultura contadina, preferendo la descrizione della vita nei campi o i concetti di incontro, danza e trionfo nell’alto Medioevo ai nomi, quasi solo citati, di Lovecraft e King, Visconti e Fellini. L’approfondimento è corposo e impegnativo, ma il lettore può riposare gli occhi grazie ad una agevole suddivisione in capitoli e alle riflessioni, riportate in corsivo, del protagonista Avati (dichiarazioni che gli autori hanno ricavato da un’intervista realizzata a Roma nel maggio del 2009).
Il materiale raccolto nella prima parte del libro non trova però un riscontro immediato nella seconda parte, dedicata all’analisi vera e propria dei film di genere di Avati. Come si trattasse di un altro libro, Adamovit e Bartolini non tengono conto degli elementi che erano stati raccolti nelle pagine precedenti e, forse più ispirati per alcuni film (La casa dalle finestre che ridono, Zeder) piuttosto che per altri (Balsamus, Thomas, Il nascondiglio), vanno alla ricerca, con una formula forse un po’ ripetitiva, dei meccanismi usati da Avati per suscitare la paura, l’inquietudine, il grottesco. Alla fine, l’impressione che se ne ricava dalla lettura di questo libro, ed è così per ogni volta che si sfoglia un testo su Avati, è di dispersione (qui la marcata differenza tra la prima e la seconda parte) o di parzialità, come se il cinema di Pupi Avati (l’Avati horror o l’Avati dei piccoli sentimenti o l’Avati e basta) – vero o no non sta a noi dirlo in queste righe – non fosse in grado di offrire a critici e saggisti spunti sufficienti per un ritratto monografico finalmente compiuto.
 
 
Indice
 
Prefazione: Gotico e rurale (di Roberto Della Torre) p.7
 
PRIMA PARTE. PUPI AVATI HA PAURA p.15
 
L’Emilia Romagna sul grande schermo p.17
Cultura contadina: un modello ancora attuale? P.28
Macabro e morte nell’alto Medioevo: l’incontro, la danza, il trionfo p.80
Le strelle nel fosso: acqua, morte, oralità contadina p.87
Civiltà contadina, fra tradizione e cinema p.106
 
SECONDA PARTE. PUPI AVATI FA PAURA p.111
 
Suggestioni: Balsamus. L’uomo di Satana e Thomas – Gli indemoniati p.113
Il gotico padano. La casa dalle finestre che ridono e Zeder p.136
Morire dal ridere: Tutti defunti… tranne i morti p.183
Paura scritta e incoraggiata: produzioni e sceneggiature gotiche p.189
Ritorno al gotico: L’arcano incantatore e Il nascondiglio p.195
 
Filmografia p.225
 
Bibliografia p.233
 
Indice dei nomi e dei film p.239
 
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    8 commenti

    • La recensione è grammaticalmente corretta ma temo che dal punto di vista del contenuto ci sia un problema. Il titolo del libro non è, "il cinema di pupi avati", bensì "il gotico padano": ora, la critica fatta dallo scrivente alla presunta parzialità, dispersione e sconnessione delle parti di cui il libro si compone risulta già a partire da questa osservazione fuorviante. io ho letto il libro e mi sembra ben chiaro che lo scopo che si prefiggono adamovit e bartolini è parlare del retroterra culturale da cui hanno origini le immagini, i temi, le storie raccontate al cinema da avati. il quale, per altro, condivide appieno l'approccio degli autori, come traspare dalle sue parole in corsivo. se non si parla del mondo da cui avati viene, risulta difficile capire i film gotici che ha girato. inoltre il sottotitolo recita "dialogo". tra gli autori e avati, ma anche tra la prima e seconda parte. consiglio a urbani di rileggerlo senza preconcetti presi da menarini. cordialmente. giuliano

    • sottoscrivo il commento di giuliano. gentile signor urbani, temo che lei non abbia capito niente!

    • Ovviamente con simpatia e rispetto. Però una rilettura ci sta. Lo prenda come un saggio etno-cinematografico, magari è un approccio critico diverso che le spalancherà orizzonti nuovi. Saluti.

    • Ringrazio Nina e Giuliano per gli interventi. Rispondo anch'io con simpatia e rispetto, consapevole che si tratta di opinioni e punti di vista. Vero, il titolo del libro non è "il cinema di pupi avati", ma è come se lo fosse. Nel senso che è lui l'esponente maggiore, forse l'unico, del cosidetto gotico padano ed è lui il vero, quasi unico protagonista, riferimento delle parole dei due autori. Sicuramente nella seconda parte, interamente dedicata ad Avati e ai suoi film di genere, ma anche nella prima parte in cui sempre si fa riferimento a lui o si arriva a fine del discorso al suo cinema. Questo riferirsi ad Avati potrebbe generare una compatezza tra i capitoli e le due parti del libro ma, a mio parere, così non è. Gli argomenti, i temi che vengono toccati nella prima parte non ritornano più quando è il momento di analizzare i film. Mi chiedo quindi quale dialogo, di cui parlate voi, ci sia tra la prima e la seconda parte. Questa è ovviamente solo la mia opinione. Un caro saluto.

    • gentile roberto, non credi che riprendere punto per punto quanto detto nella prima parte comporterebbe una noia insopportabile? se per ogni cosa detta nel primo dobbiamo aspettarci un'eco nella seconda…si ripeterebbero due volte le stesse cose! è chiaro che si parla solo di avati, visto che il "dialogo" è con lui, e infatti si parla di avati che "ha" paura e di avati che "fa" paura. è questo il collegamento! se si spiegasse in maniera pedissequa si rischierebbe di fare come quei poveretti che non sanno fare le battute e quindi le devono spiegare una volta fatte…direi che il collegamento tra la prima e la seconda parte c'è, è evidente, e spetta al lettore fare che le suggestioni raccolte nella prima parte permettano di comprendere meglio le analisi cinematografiche fatte nella seconda. un saluto anche a te.

    • di antipatia rara i commenti a questo articolo comunque… e poi ragazzi tutta questa solfa su avati… mah!

    • uno che usa il termine "antipatia" per i commenti di questo tipo ha potenzialmente due problemi: 1) non conosce il significato di antipatia, 2) non sa leggere. in entrambi i casi è consigliabile intervenire quanto prima. a meno che sia parente di urbani e allora va beh, viva le difese a spada tratta senza costrutto e con nickname che non identificano.

    • …e a proposito: forse è più antipatico un "tutta questa solfa su avati…mah!"