LIBRI DI CINEMA – "Il vento e la città. Il cinema di Amir Naderi" di Massimo Causo e Grazia Paganelli

La prima monografia dedicata al regista iraniano e al suo cinema. Un'idea di cinema che sembra muoversi tra due diverse tensioni emotive: da una parte la folla e il caos rumoroso della grande città, dall'altra i luoghi vicini al deserto, privi di vegetazione, dove non è possibile trovare alberi, né fiori, ma soltanto vento.

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IL VENTO E LA CITTÀ


Il cinema di Amir Naderi


Massimo Causo e Grazia Paganelli

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Il castoro


Finto di stampare nel gennaio 2006


164 pag. – 18,00 euro


 


 


Una particolarità del cinema iraniano risiede nella discrepanza fra le grandi dimensioni in termini di pubblico e critica che ha acquisito a partire dall'inizio degli anni Novanta e l'esiguo numero dei cineasti giunti effettivamente ad imporsi all'attenzione degli spettatori. Tra questi, meritatamente sostenuti da Palme, Leoni d'oro e altri prestigiosi riconoscimenti, ci sono Kiarostami, Makhmalbaf e Panahi, i cui nomi possiedono una riconoscibilità che ha permesso loro, quasi sempre, di passare attraverso le maglie sempre più strette di un asfittico mercato distributivo. Altri cineasti, che hanno partecipato in maniera non meno significativa alla costruzione dell'imponente edificio del cinema iraniano (in larga misura ancora ignorato dal vasto pubblico), sono stati decisamente meno fortunati. L'ingiustizia è particolarmente vistosa nel caso di Amir Naderi, la cui grandezza merita ben più del riconoscimento parziale sin qui ottenuto grazie a una cerchia di estimatori incondizionati, tra i quali si contano alcuni dei maggiori critici internazionali (e molti suoi colleghi registi). Probabilmente non è estraneo a questa situazione il fatto che Naderi sconti la sua natura, in certa misura, apolide: non più riconducibile, oggi, alle coordinate geografiche e culturali di quel cinema iraniano al quale ha contribuito in maniera decisiva, con alcuni capolavori destinati a rimanere nella storia del cinema, e tuttavia per nulla assimilabile a quel poco che rimane del cinema indipendente americano, nei paraggi del quale si trova a operare dopo il suo trasferimento a New York. L'ironia della sorte ha voluto che Naderi, pur essendo tra i protagonisti (e non dei minori) della nouvelle vague iraniana, che rivoluzionò le sorti del cinema persiano alla fine degli anni 60, non abbia potuto godere dell'ondata di popolarità che investì i suoi colleghi soltanto due decenni più tardi, quand'era già emigrato volontariamente negli Stati Uniti. Né lo ha aiutato il fatto che sia riuscito a realizzare solo quattro film negli ultimi vent'anni, pur di rimanere ostinatamente fedele a se stesso e a un'idea di cinema di ricerca e di sperimentazione per nulla incline alle mode e alle facili scorciatoie.


Ebbene questo libro – che costituisce la prima monografia in assoluto dedicata al cinema di Amir Naderi – intende offrire un piccolo contributo alla conoscenza di un cineasta di assoluto valore.


Il volume, oltre a ripercorre la carriera del regista iraniano e ad analizzare approfonditamente la sua filmografia, contiene il diario di Maani Petgar (assistente alla regia di Naderi) scritto durante la lavorazione del film "Il corridore" (1985) e una lunga intervista degli autori Massimo Causo e Grazia Paganelli al regista, rilasciata nel novembre 2005.


Ecco un brano tratto da questa intervista: "Ci sono due sentimenti nel cinema, due diverse tensioni emotive che si riflettono poi nello stile dei miei film. Da una parte c'è la folla e il caos rumoroso della grande città, dall'altra i luoghi vicini al deserto, privi di vegetazione, dove non è possibile trovare alberi, né fiori o cose di questo tipo. Ricordo che cercando le location per "Entezar" avevo trovato la città e la casa perfetta, ma c'erano due alberi che non andavano bene, così, dopo aver discusso con il mio assistente, li abbiamo tagliati…


Ogni tanto ho bisogno di andare nel deserto, come in questo periodo: dopo aver fatto quattro film a New York, ora sento forte il bisogno di andare nel deserto del Nevada per girare il mio nuovo film, che sarà un film sulla Luna. La stessa cosa mi succedeva quando ero in Iran. A un certo punto sentivo che dovevo lasciare Teheran per andarmene nel deserto o in una città più piccola. Dovevo ristabilire il mio contatto con il deserto, fondamentalmente perché mi sento meglio nei luoghi desolati, sono più libero, mi piace stare nei posti caldi, odio l'inverno e la neve per esempio. Del deserto mi piace il suono, amo il sole sulla pelle e la mia creatività diventa completamente diversa e molto più libera. Nel deserto puoi correre, mentre in città ci si sente più chiusi e costretti dentro le regole. E io ho bisogno del vento, della sabbia, di lunghi giorni estivi, ho bisogno delle nuvole e dell'oceano".


 


Un'ultima menzione va alle suggestive foto contenute nel libro. Foto fatte di sabbia e asfalto, vento e smog, mare e cemento, in cui i personaggi e lo stesso Naderi sembrano allo stesso tempo opporsi e confondersi con l'ambiente esterno.

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