LIBRI DI CINEMA – LE SCHEDE

"Metix" di Anna Camaiti Hostert, "L'inquadratura sonora" di Manlio Piva, "Il cinema di Mel Gibson" a cura di Fabio Zanello, "Casa Ivory" di Marcella Farina, "La traduzione audiovisiva " di Elisa Perego.

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METIX


Cinema globale e cultura visuale


Anna Camaiti Hostert

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Meltemi editore


finito di stampare nel maggio 2004


235 pag. – 19,25 euro


 


 


Il titolo, Metix, è un neologismo che l'autrice utilizza per evocare da un lato quelle osmosi migratorie globali che hanno determinato la costruzione di identità ibride, di stati di meticciato delle coscienze e di contaminazioni tra le culture, e dall'altro la rivoluzione tecnologica e digitale che ha irreversibilmente trasformato la nostra vita quotidiana e che un film come Matrix ha talmente ben rappresentato, rompendo i confini tra il reale e il virtuale, da costringerci alla ricodificazione della nostra esistenza. Anna Camaiti Hostert analizza film come Chinatown, Apocalipse now, La sottile linea rossa, A.I., Minority Report evidenziando il ruolo schiacciante dei conflitti: tra uomo e natura, tra uomo e macchina, tra pazzia e normalità, tra culture, etnie, religioni.


Dalla lettura di questo libro emergono fantasmi che non possono essere visti dall'occhio: essi hanno molti nomi, parlano molte lingue e si trovano in luoghi diasporici, sono in esilio, sono sfuggiti alle persecuzioni razziali, religiose, sessuali, sono nomadi e migranti, transessuali e zingare. Provengono in generale da quel mondo cosiddetto post-coloniale che ha pagato e sta pagando il tributo più alto ai processi di globalizzazione. A quei fantasmi l'autrice ha cercato di restituire visibilità. Dall'11 settembre, fino alla guerra in Iraq, attraverso l'uso "contaminato" e intervisuale dei media, il libro ricostruisce i tortuosi percorsi lungo i quali si collocano eventi che hanno segnato le nostre vite e sottolinea la fondamentale importanza che i processi transculturali già rivestono nella nostra società.


 


 


 

L'INQUADRATURA SONORA


Immagine e suono in Robert Bresson


Manlio Piva


Esedra editrice


finito di stampare nel dicembre 2004


254 pag. – 20,50 euro


 


 


 


"Se puoi sostituire un'immagine con un suono, fallo!". Ed ancora: "l'occhio (in genere) superficiale, l'orecchio profondo e inventivo". Detto da Bresson, un'artista che ha lavorato come pochi sull'immagine, fa riflettere sui legami tra vedere, ascoltare ed immaginare. Analizzare il cinema bressoniano significa anche imparare ad ascoltarlo. E' questo l'asse portante del libro di Manlio Piva, che si inserisce con originalità nella ripresa di studi sul regista.


Il testo ha due principali obiettivi: da un lato vuole analizzare l'utilizzo creativo della colonna sonora (musica, voci, rumori) da parte del regista, dall'altro intende mostrare come, in realtà, Bresson è tutt'altro che un artista solitario. La tesi è che Bresson, lungi dall'essere un improbabile e irraggiungibile "isola di senso", abbia in realtà partecipato di una cultura e di un'estetica nuove che in quegli anni caratterizzavano molti studi e riflessioni. In definitiva, si tratta di analizzare un'esperienza artistica fuori dell'ordinario, ma non per questo fuori dal mondo.


 


 


 

IL CINEMA DI MEL GIBSON


a cura di Fabio Zanello


Il Foglio edizioni


finito di stampare nell'ottobre 2004


182 pag. – 12,00 euro


 


 


Piaccia o non piaccia, Mel Gibson ha realizzato uno dei film più discussi degli ultimi anni: La passione di Cristo. Questo controverso film ha suscitato dibattiti accesi come non succedeva da tempo intorno ad una pellicola, trasformandosi progressivamente da sfida fallimentare sulla carta in una serie di incassi formidabili. Cosi è accaduto che i cittadini italiani si sono trasformati, per circa un mese, da sessanta milioni di allenatori di calcio in altrettanti critici cinematografici e teologi. Tutti a discutere della messa in scena cruenta, dell'operazione ideologica, dell'utilizzo dei sottotitoli.


Un tale clamore non poteva non favorire la realizzazione della prima monografia in lingua italiana a lui interamente dedicata. Dagli esordi come attore nel cinema indipendente australiano con Interceptor  fino alla terza regia di La passione di Cristo, il libro analizza, attraverso sedici brevi saggi, la storia di una carriera singolare sospesa fra intrattenimento e coraggio, autorialità e divismo hollywoodiano, cosmopolitismo culturale e sfide, fra contraddizioni ideologiche e coerenza spirituale. I saggi sono di Fabio Zanello, Adelina Preziosi, Giona A. Nazzaro, Luigi Sardiello, Luigi Giachino, Daniela Catelli, Rebecca Dezzani, Domenico Monetti, Elisa Grandi, Alessandro Borri, Attilio Coco, Enrico Terrone, Luca Bandirali, Federico De Zigno, e Sabrina Negri. Sedici capitoli che analizzano i film più importanti e le tematiche ricorrenti.


 


 


 

CASA IVORY


Marcella Farina


Dino Audino editore


finito di stampare nell'aprile del 2005


127 pag. – 15,00 euro


 


 


Cosa hanno in comune i film "Casa Ivory", "Quel che resta del giorno", "Shakespeare Wallah", "Camera con vista" e "Maurice"?


Ismail Merchant, un mussulmano cresciuto ed educato in India prima e negli Stati Uniti poi, James Ivory, un cattolico nato negli Stati Uniti con un occhio particolare per il mondo orientale e Ruth Prawer Jhabvala, un'ebrea di origini polacche nata in Germania e cresciuta in Inghilterra, poi trasferita in India ed infine approdata negli Stati Uniti. Rispettivamente produttore, regista e sceneggiatrice. Insieme hanno fondato una compagnia che gira film indipendenti da più di quarant'anni. Il libro ricostruisce le tappe del loro straordinario sodalizio artistico ma anche la storia di un amicizia che li ha condotti a vivere da molti anni nello stesso palazzo nell'East side. Ogni mattina nell'appartamento di Ruth, i tre amici fanno colazione, generalmente preparata dal marito Cyrus, e si ritrovano per scambiarsi opinioni e idee non solo sul mondo del cinema. Tre religioni diverse, tre culture diverse, tre caratteri diversi.


 


 


 

LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA


Elisa Perego


Carocci editore


finito di stampare nel maggio 2005


120 pag. – 9,00 euro


 


 


Per quanto negli ultimi anni si siano fatti molti progressi, risultano ancora scarse, anche in riviste specializzate, pubblicazioni relative alla traduzione audiovisiva. Questo perché esistono complicazioni oggettive, di ordine tanto teorico quanto pratico, per chi intraprende analisi di varia natura nel campo della traduzione filmica.


Per quanto concerne la teoria e la metodologia, il ricercatore deve essere in grado di controllare l'eterogeneità delle fonti di riferimento con cui lavora, cercando di applicare in modo sistematico teorie provenienti da diversi ambiti di studio: linguistica teorica e pratica, testuale e acquisizionale, pragmatica, sociolinguistica, psicologia cognitiva, indagini di carattere interculturale e studi di mercato.


Nella pratica, i copioni dei testi audiovisivi nelle lingue di partenza e di arrivo non sono sempre disponibili. Per cui il ricercatore è costretto ad intraprendere un lavoro di trascrizione che richiede tempi lunghi.


Questo libro rappresenta un agile lettura per comprendere i punti cruciali della traduzione audiovisiva, per conoscere i tanti ostacoli che ogni film nasconde per la sua adeguata comprensione – varianti dialettali, velocità di eloquio, impossibilità di riascoltare i dialoghi, rumori esterni, sovrapposizione dei turni – che possono mettere in difficoltà anche chi già conosce la lingua originale del prodotto. Tra le numerose soluzioni traduttive e di adattamento di un prodotto filmico si possono distinguere tredici tipi di trasferimento linguistico: sottotitolazione interlinguistica, doppiaggio, interpretazione consecutiva, interpretazione simultanea, voice-over, commento libero, traduzione simultanea, produzione multilingue, la traduzione degli script, la sottotitolazione simultanea o in tempo reale, la sopratitolazione, la descrizione audiovisiva e la sottotitolazione intralinguistica per sordi.

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    LIBRI DI CINEMA – LE SCHEDE

    "Anna Magnani" di Italo Moscati, "Van Gogh a Hollywood" di Marco Senaldi, "Cinema gay, l'ennesimo genere" di Roberto Schinardi, "Il linguaggio della critica cinematografica" di Claudio Bisoni, "Casta Diva & Co. " di Francesco Bono.

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    ANNA MAGNANI

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    #SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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    Vita, amori e carriera di un'attrice che guarda dritto negli occhi


    Italo Moscati


    Ediesse editrice


    Finito di stampare nel dicembre 2003


    134 pag. – 9,00 euro


     


     


    ‹‹ Anna Magnani l'ho conosciuta. Le ho stretto la mano, timidamente, poi mi sono seduto accanto a lei e, guardandola abbassando spesso gli occhi, l'ho sentita parlare di un suo spettacolo (…) era come ascoltare il sonoro di un film che mi scorreva nella memoria, scena per scena, lungo una carriera. Alla fine avrei voluto riavere quella mano fra le mie per baciarla, gesto galante che già allora non faceva nessuno e, siccome ero molto giovane, arrossivo al solo pensiero di essere fuori moda agli occhi della diva poco divina che avevo appena sfiorato e della piccola folla che ci circondava. Me ne sono sempre pentito ››. Questo il ricordo personale con cui Italo Moscati apre le pagine di questo splendido libro che racconta "il film della vita" dell'attrice romana.


    ‹‹Vita, amori e carriera›› sono aspetti indissolubilmente legati tra loro nel destino di Anna Magnani e che a loro volta si intrecciano con la storia d'Italia e la storia del cinema. Un esempio può essere tratto dai giorni di lavorazione del film Roma città aperta: in un Italia liberata ma devastata dalla guerra, l'attrice Anna Magnani e il regista Roberto Rossellini cercano di ricostruire le proprie vite amandosi e girando insieme un film travagliato per le scarse risorse finanziarie e le mille difficoltà, ma che rappresenta per gli italiani che, finalmente, ricominciano a vivere  la speranza per un futuro nuovo.


    Quindi Anna non è esclusivamente proprietà di questa pellicola e del suo regista Roberto Rossellini. Sono passati circa sessanta anni da Roma città aperta e, trenta dalla morte di Anna Magnani, che non fu e non è soltanto Pina, la popolana. La sequenza-manifesto della morte di Pina può alzarsi oggi come un  sipario su una storia, anzi sulle tante storie che si tessono nella vita e nella carriera di Anna, che fanno parte di tutta quella serie di depistagli ed equivoci che l'attrice ha contribuito a creare personalmente, nella speranza di sfuggire alla simpatia riduttiva del nome Nannarella che le è stato affibbiato una volta per sempre, e che la trattiene fin troppo dentro l'immagine di una Lupa romana, materna, calda, protettiva, ma anche aggressiva, rancorosa, ribelle.


    In questo senso il libro punta i riflettori anche su quegli aspetti meno conosciuti dell'attrice, ripercorrendo gli anni in cui Anna studiava recitazione alla scuola Eleonore Duse, ed a teatro era ammirata per la sua grazia ed eleganza, due parole che raramente vengono in mente per un'attrice che ci siamo abituati a considerare come una polpolana, una commediante d'assalto.


    Ma il libro più che una biografia è un canto d'amore dell'amore per Anna, lasciando traspirare ad ogni giro di pagina l'aria di un epoca in cui i divi erano "anguille misteriose, sublimi e sfuggenti nel mare profondo della celluloide" .


     


     


     

    VAN GOGH A HOLLYWOOD


    La leggenda cinematografica dell'artista


    Marco Senaldi


    Meltemi editore


    Finito di stampare nel maggio 2004


    109 pag. – 13,00 euro


     


     


    Non soltanto "Van Gogh goes to Hollywood". Lo stesso destino è toccato anche a Picasso, Andy Warhol, Pollock, Frida Kahlo, le cui vicende sono diventate altrettanti film.


    La cosiddetta "vita d'artista" costituisce ormai un vero e proprio filone, cui il grande schermo si rivolge con sempre crescente interesse.


    In questo saggio Marco Senaldi affronta il rapporto fra il cinema e le arti visive da una prospettiva inusuale. Lontano da una comparazione di tipo formale, l'autore tenta invece un tipo di approccio che, in area anglosassone, si è consolidato con il nome di cultural studies, o, in maniera più pertinente, con il nome di visual studies. Caratteristica principale di questo approccio è quello di considerare l'oggetto di analisi come "un insieme di pratiche" entro le quali la questione della ricezione (lo spettatore) riveste grande importanza.


    Nel caso in questione, l'autore è partito dai documenti relativi alla vita degli artisti per arrivare all'interpretazione della loro figura e della loro opera da parte del cinema. Ciò su cui ha focalizzato l'attenzione è stato il modo in cui si è venuto a creare l'immaginario specifico che li riguarda. 


    Per citare un solo esempio, è evidente che il Van Gogh eroico e superomistico interpretato da Kirk Douglas nel film Lust for life (1956) di Minelli ha poco o nulla a che vedere con quello nevrotico e patologicamente dissociato del film Vincent and Theo (1989) di Altman interpretato da Tim Roth. Quindi, pur partendo da un medesimo artista, sorgono due ritratti cinematografici assai diversi tra loro per non dire contrapposti. Perché, quindi, il Van Gogh che veniva esaltato negli anni Cinquanta è profondamente diverso da quello degli anni Novanta? Questa domanda ci fa intuire come non sia possibile liquidare i differenti ritratti come se fossero due aspetti di una stessa personalità. La risposta è altrove.


    La nostra società spettacolare, in crisi di identità simbolica, ha bisogno di figure immaginarie di riferimento che possano incarnare i propri desideri.


    Il Van Gogh di Minelli si discosta dal Van Gogh storico per esprimere meglio un tratto tipico dell'immaginario di massa degli anni Cinquanta, l'ideale dell'artista incompreso, dotato però di una genialità che alla lunga, è socialmente funzionale, più che eversiva. Ecco perché il Van Gogh di Minelli costituisce un eccellente ritratto non certo del Van Gogh reale ma dello stereotipo dell'artista espressionista astratto (ad esempio Pollock) che proprio in quegli anni cominciava a venire considerato come il primo creatore di un'arte compiutamente americana. Il Vang Gogh di Minelli, insomma, non diviene soltanto una star di celluloide ma svolge l'importante compito di supporto immaginario all'interno di una società (americana) in crisi d'identità culturale.


    E' chiaro, a questo punto, che nel ripercorrere le figure leggendarie dei cinque artisti si ha forse l'impressione che qualcosa di inquietante si insinui continuamente tra le pagine del libro, qualcosa di sfuggente ma che l'autore, nella prefazione, ha efficacemente esplicitato così: "Pare sia venuto il momento, per la nostra epoca, di cominciare a domandarsi seriamente dove occorra cercare i propri futuri rappresentanti spirituali e, sopratutto, se le servano ancora".


    Il libro non risponde a questa domanda (né era nelle intenzioni dell'autore) ma aiuta a porsi nella giusta prospettiva.


     


     


     

    CINEMA GAY, L'ENNESIMO GENERE


    Roberto Schinardi


    Edizioni Cadmo


    Finito di stampare nel novembre 2003


    165 pag. – 15,00 euro


     


     


    L'omosessualità è stata spesso associata a perversione, peccato, malattia. Di conseguenza, sul grande schermo non c'è mai stata vita facile per gli omosessuali, soprattutto agli albori della settima arte quando il modo migliore per non imbarazzare il pubblico con un argomento così scandaloso era ignorarlo.


    Alternativa all'oblio è stata quella di identificare il gay con il "sissy" (l'uomo effeminato). Questo perché il sissy, con le sue manifestazioni di debolezza e svenevolezza, era considerato meno minaccioso di un vero omosessuale, in quanto simbolo di una virilità inceppata, a cui manca qualcosa, e in questo senso molto più accettato. In pratica un simpatico vezzeggiativo per ghettizzare la cosiddetta diversità omosessuale in una sorta di limbo di minorati asessuati.


    Oggi la situazione è decisamente cambiata. Se solo qualche anno fa il cinema gay rappresentava l'eccezione, un timido accenno a un fenomeno che secondo recenti studi riguarda invece dal 6% al 10% della popolazione, ora sono sempre più i film a tematica omosessuale prodotti nel mondo, il numero di festival ad essi dedicati, l'interesse dei media nei loro confronti.


    Una prima spiegazione è da ricercare nella logica del mercato: la comunità gay, sempre più organizzata e riconoscibile, è diventata oggetto delle analisi di marketing che hanno rivelato l'interesse commerciale per una "nuova" categoria sociale di consumo. Questo uestoQqqqqQQ   Questo Qha reso possibile, anche in Italia, la creazione di una serie di prodotti mediatici specializzati come il canale televisivo Gay.tv e il sito internet Gay.it, il cui target, però,  non è solo un pubblico omosessuale (il 42% degli spettatori di Gay.tv si definisce "gay friendly").


    Altra spiegazione è che il carattere sovversivo, provocatorio del cinema omosessuale si è, negli anni, attenuato a vantaggio di un cinema più integrato, più mainstream, destinato ad un'audience più ampia rispetto a un pubblico esclusivamente gay.


    Secondo Roberto Schinardi è lecito affermare che il cinema gay è diventato un genere cinematografico a sé stante, sebbene molto trasversale, con le sue manifestazioni e i suoi maestri dichiarati che portano avanti discorsi e dibattiti culturali intorno all'argomento.


    Insomma, come sta evolvendo il cinema gay contemporaneo? Come si struttura il genere gay all'interno dei generi cinematografici già codificati? Queste alcune delle domande che hanno ispirato il libro.


     


     


     

    IL LINGUAGGIO DELLA CRITICA CINEMATOGRAFICA


    Claudio Bisoni


    Revolver


    Finito di stampare nel 2003


    206 pag. – 10,00 euro


     


     


    Questo è un libro sulla retorica della critica cinematografica, sui discorsi che la critica produce intorno a se stessa, sui modi in cui funziona tradendo spesso le proprie buone intenzioni. L'autore chiarisce, fin dall'introduzione, come tutte le questioni affrontate nel libro rimandino a due prospettive antitetiche sul ruolo sociale del critico-interprete. Da una parte c'è l'idea che una realtà primaria (il cinema) possa sempre riuscire a legare in modo ben saldo a sé e al proprio destino il sistema interpretativo incaricato istituzionalmente di investigarla. Dall'altra c'è l'affermazione esattamente contraria: ciò che crea un'arte rispettabile è un sistema interpretativo forte e rispettabile. Fare ovviamente un discorso sulla critica significa fare in continuazione i conti con affermazioni riconducibili, in qualche modo, ad una delle due posizioni: la critica come riflesso del testo oppure la critica come reinaugurazione del testo.


    Claudio Bisoni, dopo aver delineato molto brevemente, nel primo capitolo (Tra critica e teoria: overlooking),  le linee principali su cui si sono mossi i rapporti tra critica e studi disciplinari negli ultimi trent'anni, nel secondo capitolo (Critica della critica, un esempio: segnocinema 1990-1995) propone un case-study, prendendo in esame, appunto, il dibattito sulla funzione della critica che ha avuto luogo sulle pagine di Segnocinema tra il 1990 e il 1995.  Il punto di partenza è dato dalle posizioni teoriche di Marcello Walter Bruno secondo cui "ogni film esibisce i criteri della sua stessa giudicabilità, in quanto lancia segnali sul tipo di operazione che va compiendo". Per Bruno, una buona interpretazione è quella che si mette sulle tracce di questi segnali, che tenta in sintonia col testo di descrivere le operazioni compiute dal film. Insomma il film non va visto più come opera ma come operazione. L'autore, dopo aver mosso qualche obiezione alla posizione di Bruno, considerata troppo "adeguazionista" ed aver analizzato alcuni interventi (Cerchi Usai, Canova, De Bernardinis, Pezzotta) in risposta a Bruno, nel terzo capitolo (L'istituzione incerta) cerca di dimostrare i vantaggi del definire l'insieme-critica come qualcosa di incerto, instabile, legato a ruoli sfuggenti e precari. Secondo l'autore bisogna abbandonare l'idea che il disordine sia comunque disorientante per il sapere. Un'alternativa valida a questo modo di procedere è di partire dal disordine per restarvi e vedere se da questo caos discorsivo sia possibile trarre conclusioni teoriche. Il quarto capitolo (Le routines interpretative: una descrizione empirica) è interamente dedicato al tentativo di dimostrare come qualsiasi interprete non possa fare a meno di servirsi di una serie stabile e collaudata di routines del pensiero e di meccanismi intellettuali standard. Le conclusioni del quinto capitolo (Conclusioni: la critica rivisitata) contengono un ritorno su alcuni problemi di sfondo solo accennati nel corso del libro: il rapporto creatività-paradigmi interpretativi, il rapporto critica-teoria, il rapporto analisi-giudizio.


     


     


     

    CASTA DIVA & CO.


    Percorsi nel cinema italiano fra le due guerre


    Francesco Bono


    Sette edizione


    Finito di stampare nel giugno 2004


    161 pag. – 12,00 euro


     


     


    Negli anni '20 sono numerosi i registi, gli attori, i tecnici che, lasciando l'Italia, si trasferiscono in Germania. L'elenco è vasto e comprende molti fra i protagonisti del cinema d'anteguerra: Guido Brignone, Carmine Gallone, Augusto Genina, Mario Bonnard, Bartolomeo Pagano, Francesca Bertini, Maria Jacobini. All'origine della migrazione sta la crisi che si abbatte sul cinema italiano al termine della guerra, quando la produzione si contrae a pochi titoli all'anno. Berlino appare, così, come un Eldorado cinematografico dove il cinema rappresenta un'oasi di ricchezza, di euforia e mondanità. Il libro, nella prima parte, si occupa della collaborazione che la casa di produzione tedesca Nero-film instaura con Genina, Bonnard e Palermi.


    Con il sonoro il fenomeno si esaurisce e si assiste al rientro della maggior parte di loro in Italia, in connessione con il rilancio della produzione. Una eccezione sono Carmine Gallone e Augusto Genina, che proseguono l'attività all'estero lungo gli anni '30,  muovendosi con successo fra Parigi e Berlino, Londra e Vienna. Lungo il percorso Gallone intreccia una collaborazione con Marta Eggerth, una cantante d'operetta ungherese, e il tenore polacco Jan Kiepura, con i quali realizzerà, in particolare, il film Casta Diva (1935).


    La storiografa si è solitamente interessata a Casta Diva in quanto tiene a battesimo il filone operistico in Italia ma ha trascurato, per molto tempo, il significato della presenza nel film di esponenti di primo piano del cinema di lingua tedesca, dalla sceneggiatura, che reca la firma di Walter Reisch, alla musica e alla produzione.


    La realizzazione di Casta Diva si colloca in un periodo in cui, nel cinema italiano, l'obiettivo di sprovincializzare la produzione, di accrescere la qualità e l'appeal in Europa, spinge ad aprirsi all'apporto di registi d'oltralpe, approfittando della difficoltà in cui alcuni si trovano a proseguire l'attività fra Berlino e Vienna dopo l'avvento del nazionalsocialismo. L'elenco va da Max Ophuls e Walter Ruttman a Pierre Chenal, Jean Epstein, Abel Gance, Kurt Gerron, che lavorano in Italia fra 1934 e 1936, e include Gustav Machaty, fra i protagonisti della storia del cinema ceco, che dopo il successo di Extase e lo scandalo che suscita al festival di Venezia nel 1934, è ingaggiato in Italia per girare Ballerine.


    Se  i percorsi che si snodano fra il cinema italiano e l'Europa centrale fra le due guerre sono numerosi, la storiografia se ne è generalmente interessata poco. Alla disattenzione concorre l'impostazione con cui si è a lungo guardato alla storia del cinema che privilegia un approccio per nazione.

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