LIBRI DI CINEMA – "Mauro Bolognini", di Pier Maria Bocchi, Alberto Pezzotta


Il nuovo approccio a Mauro Bolognini fa di questa monografia uno dei libri più interessanti di cinema usciti negli ultimi anni, perché era ora che si operasse un sopralluogo complessivo non solo alle storie del cinema dimenticato: “… le rivalutazioni non si negano a nessuno, anche se stranamente, ne beneficiano i mestieranti di serie C più che i protagonisti del cinema medio che riempivano le sale” come Bolognini.

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Mauro Bolognini
Pier Maria Bocchi, Alberto Pezzotta
Edizioni Il Castoro Cinema
Finito di stampare nel mese di aprile 2008
Pag. 208 – 13,90 euro

Dopo il mastodontico Castoro dedicato a David Wark Griffith a firma di uno dei maggiori esperti mondiali del cineasta americano, Paolo Cherchi Usai, le edizioni monografiche del Castoro assegnano il numero 228 a due studiosi giovani nel panorama della critica italiana, ma non per questo meno bravi, come Pier Maria Bocchi e Alberto Pezzotta. Sono due autori che hanno sempre voglia di scoprire momenti della storia del cinema italiano e non dimenticati oppure equivocati ed entrambi con un linguaggio poco accademico (ed è un pregio): Bocchi con la sua personale storia del cinema “diverso” e “deforme” (ci ricordiamo una intrigante pubblicazione di qualche anno fa Freakshow, edizione PuntoZero) e Alberto Pezzotta con i suoi imperdibili approfondimenti di autori italiani, vedi per esempio Damiano Damiani. Facciamo questa breve e non esaustiva premessa per affermare che è sicuramente l'approccio nuovo a Mauro Bolognini a fare di questa monografia uno dei libri più interessanti di cinema usciti negli ultimi anni, perché era ora che si operasse un sopralluogo complessivo non solo alle storie del cinema dimenticato, la solita serie B, alla quale accennano i due autori (“… le rivalutazioni non si negano a nessuno, anche se stranamente, ne beneficiano i mestieranti di serie C più che i protagonisti del cinema medio che riempivano le sale”). L'opera di Mauro Bolognini è stata equivocata, stigmatizzata con aggettivi quali “calligrafico”. Scrivono i due autori nel capitolo intitolato “Un regista rimosso”: “il primo assunto che vuole dimostrare questo libro è che Mauro Bolognini non è un pallido esteta più attento ai soprammobili che a ciò che dicono i personaggi, un ectoplasma crepuscolare chiuso in una biblioteca di buone letture magari un po' morbose. Non è neanche un regista cinefilo, anche se è uno dei registi più bravi del cinema italiano. bravi in senso oggettivo: per la capacità di muovere la macchina da presa e dirigere gli attori, di usare il bianco e nero o il colore”. E questo ha soprattutto senso non solo per destabilizzare sanamente le stupide gerarchie stabilite da generazioni di critici miopi che hanno travisato Bolognini, ma per (ri)leggere l'opera di Bolognini finalmente nel suo senso più schietto. E qui interviene dopo la lunga, puntuale estenuante rilettura delle opere, dalle più misconosciute a quelle più acclamate come La notte brava e Il bell'Antonio, la conclusione arrabbiata e perentoria di Bocchi, che può sembrare eccessiva fuori dal contesto di una nuova analisi dell'opera bologniniana, ed invece è quanto mai precisa, quasi commovente, perché sembra davvero far rinascere dall'oscurità tutto quello che era stato oscurato dalle definizioni aberranti della critica e dalla perfida censura e Mauro Bolognini se lo meritava: “Bolognini allora è frocio nello sguardo sul mondo, perché racconta sempre di personaggi che, nel bene e nel male, non ci stanno. Non è necessario inscenare due uomini o due donne assieme, a letto: per lui, il sesso si fa anche soltanto con l'essere e con l'esserci, con il farsi vedere, con il farsi notare. Che Bolognini sia misogino o ami di più il corpo degli uomini rispetto a quello delle donne è questione da parrucchiera; e misurare i centimetri di pelle maschile mostrati più o meno maliziosamente (con una progressiva e ovvia abbondanza più gli anni passano, facendo cadere censure, barriere e pudori) è aneddotica sterile. Bolognini dice cose serie su di sé e sulla sua poetica di sguardo anche ridendo e scherzando, tanto che negli anni Ottanta firma persino la regia sbarazzina del videoclip per Assassino di Amanda Lear. C'è una ragione, e non è la più severa: fino all'ultimo, Bolognini preferisce mettersi dalla parte di chi dimostra l'inclinazione alla differenza, anche soltanto con un travestimento, anche soltanto con un po' di cerone sulle gote o l'eyeliner. Non conosce vergogna, Bolognini, com'è giusto che sia per un intellettuale e un “uomo di mondo”; ma la sua visione della vita e dei sessi è sempre stata troppo avanti per essere capita”. Chiudiamo con una nota positiva nei confronti della filmografia e bibliografia. Si tratta in entrambi casi di un'attesa risistemazione, che ha corretto molti errori perpetuatisi negli anni.

Note di copertina
Mauro Bolognini (1923-2001) ha attraversato la fine del neorealismo e la commedia all'italiana, tra adattamenti letterari e film in costume. Maestro di stile, mai allineato o riconciliato, si è confrontato con il passato per trovare le radici del presente. Mentore cinematografico di Pier Paolo Pasolini, è uno dei registi più scomodi, più censurati e meno compresi del nostro cinema. Tra i suoi film: Gli innamorati (1955), La notte brava (1959), Il bell'Antonio (1960), Agostino (1962), Metello (1970).

ASSASSINO

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