LIBRI DI CINEMA. Realtà virtuale – Come funziona il nuovo cinema a 360 gradi
Gianluigi Perrone, forte della sua esperienza nel settore, analizza le rivoluzionarie novità della Realtà Virtuale nel campo del settore audiovisivo a partire da differenze e affinità col cinema
“Che differenza c’è tra un film tradizionale e uno in realtà virtuale?”. Comincia andando subito al punto Gianluigi Perrone nel suo libro “Realtà virtuale – Come funziona il nuovo cinema a 360 gradi” pubblicato da Dino Audino editore, ponendo una delle domande più cruciali dell’intero settore audiovisivo del prossimo decennio. Nonostante una leggera flessione nella curva attenzionale dell’utente medio (nel 2016 il sostanziale fallimento del massiccio ingresso nel mercato di Oculus Rift et similia ha dimostrato praticamente come forse non siamo ancora pronti ad abbandonare la bidimensionalità), a lungo raggio questo nuovo modo di intendere l’intrattenimento sconvolgerà gli usi domestici della visione. Perrone, docente presso la Beijing Film Academy di Pechino e titolare di un corso di Regia Multimediale presso la Civica Scuola di Cinema di Milano, in questo manuale suddiviso in comode lezioni e corredato di un puntuale supporto iconografico analizza la specificità della realtà virtuale: “Un errore tipico è quello di credere che la realtà virtuale sia una nuova forma di cinema di animazione, ma, come vedremo, essa ha codici di ripresa in live action del tutto simili a quelli di un video tradizionale. Un altro errore sta nell’accostare la realtà virtuale al 3D, anziché al 360 gradi”. Il primo elemento di maggiore differenziazione sta naturalmente nell’immersività dell’esperienza condotta tramite l’headset (il visore). Proprio questo nuova frontiera fisica della ricezione sta nel parziale rifiuto che essa ha avuto da parte di alcuni utenti. Perrone racconta come nel caso ad esempio del video di realtà virtuale di Jake Black che replicava la camminata del funambolo francese Philippe Petit sulla fune tra le due Torri Gemelle racconta da Robert Zemeckis nel film The Walk, molti degli spettatori che con l’headset ne hanno replicato le gesta hanno accusato nausea e svenimenti per le vertigini. Ma come nasce la realtà virtuale? Nelle prime lezioni Perrone parte dalle fondamenta tecniche. Con un linguaggio professionale corredato di chiari esempi illustra dapprima la costruzione di un’immagine sferica statica fatta con una sola fotocamera che riprende lo spazio di ripresa nelle sei direttrici principali (avanti, dietro, a destra, a sinistra, in su e in giù) lungo i tre assi perpendicolari. Il libro qui svolge la propria funzione manualistica suggerendo mezzi tecnici e modalità di ripresa per effettuare un video in realtà virtuale a 360 gradi che utilizza un linguaggio nuovo rispetto al cinema. Non più ad esempio i primi piani e i dettagli imposti dalla cinepresa che indirizzano l’attenzione verso il particolare, dato che nella realtà virtuale è possibile avvicinare allo sguardo un oggetto solo se l’osservatore si sposta verso l’oggetto o viceversa. Una soggettiva continua insomma ma molto diversa da quelle ad esempio, per restare sempre nell’ambito del già noto, di Nodo alla gola o di Enter the void. A marcare l’incompleta aderenza sensoriale del cinema è il fatto che “Per quanto immedesimato nell’azione, lo spettatore di un film non dimentica di essere seduto in una sala piena di gente (o sul divano davanti al televisore), perché ha 240 gradi di visuale che glielo ricordano”. Il problema della realtà virtuale sta piuttosto nel suo contrario e cioè nel fatto di dover estrinsecare da un’esperienza in prima persona così centralizzante una qualsiasi voglia narrazione. Per adempiere a ciò, nonostante i dubbi di Steven Spielberg che in occasione dell’uscita di Ready Player One ha manifestato il suo scetticismo da regista ancora profondamente cinematografico, questa nuova forma di intrattenimento sta sviluppando le tecniche per abbattere i limiti fisici dell’inquadratura. Perrone ne elenca alcune: la narrazione a 180/220 gradi e cioè far accadere le azioni davanti l’utente; reclamare l’attenzione dell’utente attraverso la recitazione degli attori o attraverso il suono che proviene da direzioni diverse; avvalersi dei trucchi videoludici degli open world che nonostante la loro finta ampiezza spaziale indirizzano il giocatore verso sentieri prestabiliti. “La narrazione interattiva rivoluziona totalmente quella tradizionale cinematografica, perché sembra che non possa essere più rispettato il classico arco di evoluzione del personaggio, smentito di volta in volta dalle decisioni che l’autore prende per lui. Nonostante il lavoro sia più laborioso (di fatto si tratta di realizzare molto film contemporaneamente con gli stessi plot e gli stessi personaggi), è tuttavia possibile mantenere una coerenza di sviluppo”. Ad oggi in genere si considera un limite di venti minuti per le esperienze immersive, quindi i modelli possibili per la Virtual Reality sono il cortometraggio o la serie a episodi. Nell’Appendice è presente il “Manifesto del Dogma VR” che sulla scorta del famoso Dogma 95 redatto da Lars von Trier e Thomas Vinterberg elenca un decalogo teorico/pratico di regole da seguire per chi volesse cimentarsi nella realizzazione di un’opera a 360 gradi.
Gianluigi Perrone
Realtà virtuale
Come funziona il nuovo cinema a 360 gradi
Manuali, n. 222
2019, pp. 128
Dino Audino Editore