LIBRI DI CINEMA – "Vedere e potere. Il cinema, il documentario e l'innocenza perduta", di Jean-Louis Comolli

In questa raccolta di saggi sono affrontate alcune questioni fondamentali aperte oggi dalla produzione cinematografica: il funzionamento del dispositivo cinematografico, il rapporto tra i linguaggi visivi e l'apparato sociale ed economico dominante, la posizione dello spettatore come punto di vista centrale per rileggere la modernità del cinema.

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VEDERE E POTERE

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Il cinema, il documentario e l'innocenza perduta


Jean-Louis Comolli


Donzelli editore


finito di stampare nel marzo 2006


306 pag. – 24,00 euro


 


 


 


Quello di Jean-Louis Comolli è un percorso intellettuale e artistico forse unico per ecletticità nella storia del cinema. Critico e poi caporedattore dei mitici "Cahiers du cinéma", cineasta di importanti film storici e politici, si è convertito alla pratica del documentario negli ultimi vent'anni, realizzando opere rigorose e intense sulla realtà sociale francese e non solo.


I saggi, raccolti in questo libro, assumono così la dimensione di racconto autobiografico e nel contempo rievocazione dei fatti chiave della società del nostro tempo, attraverso scritti che vanno dal 1988 al 2004 (intervallati appunto da un testo di memoria privata-politica anno per anno). Per l'edizione italiana, in accordo con l'autore, questo libro rinuncia agli excursus sull'evoluzione della società e cultura francese per concentrarsi sui testi teorici dedicati al cinema, alla televisione e soprattutto al documentario.


Si tratta di interventi pubblicati per lo più su riviste e quindi non caricati singolarmente di intenzioni progettuali sistematiche. Eppure, nel loro insieme, vengono a costituire un corpus teorico di estremo spessore sulle questioni fondamentali aperte oggi dalla produzione di immagini. Al centro della ricerca, vi sono il funzionamento del dispositivo cinematografico, il rapporto tra i linguaggi visivi e l'apparato sociale ed economico dominante, la posizione dello spettatore come punto di vista centrale per rileggere la modernità del cinema. Ma ciò che rende assolutamente originale l'argomentazione dell'autore è che il soggetto di partenza può essere la nuova visione di un classico, le tendenze più estreme della docu-fiction o i reality tv, ma alla fine tutto è filtrato dall'esperienza in "presa diretta" sul campo, da una pratica di regista peraltro continuamente messa in discussione. Soprattutto grazie al confronto con i grandi cineasti che hanno raccolto la sfida e il rischio del reale – da Flaherty a Vertov, da Buñuel a Rouch, fino a Kiarostami, Philibert, Wiseman – Comolli arriva ad elaborare una vera e propria teoria del cinema dove le contaminazioni tra finzione, documentario e televisione, e il costante confronto con le provocazioni della realtà aprono la via a una forma d'espressione potenzialmente più aperta, democratica e adeguata al racconto del nostro tempo.

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