Lights Out – Terrore nel buio, di David F. Sandberg

nonostante i buoni presupposti e i maestri dell’orrore coinvolti nell’impresa D. F. Sandberg con il suo lungometraggio d’esordio non riesce ad affondare gli artigli abbastanza a fondo nella paura

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Alzi la mano chi non ha mai avuto paura del buio, dei mostri nascosti sotto il letto che saltano fuori quando tutte le luci si spengono e la casa piomba nel silenzio, e che di giorno, come per magia, si dissolvono sotto i primi raggi del sole. Con il passare del tempo questi mostri sono diventati sempre più inoffensivi e sono rimasti chiusi a doppia mandata nel cassetto dei ricordi d’infanzia, ma quella sensazione di pericolo legata al mondo delle ombre si risveglia ogni qualvolta si spegne la luce e si rimane soli con se stessi. David F. Sandberg nel suo Lights Out – Terrore nel buio, invece di reprimere questo impulso, ha preso questa paura è l’ha trasformata in un mostro che si nasconde nel buio e che si nutre del terrore di chi lo incontra. L’unico modo per esorcizzarlo è tenere lontane le tenebre accendendo la luce. Questa è l’idea del film, un concetto semplice e di sicuro non originalissimo da cui prende avvio una storia dell’orrore più complessa, che estende l’incubo alle malattie mentali e ai drammi familiari che ne derivano.
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L’occhio del ciclone attorno al quale si sviluppa la storia infatti è Sophie, una donna disturbata, che vive quasi sempre relegata nella sua stanza e non interagisce con nessuno, ad accezione di una donna che solo lei riesce a vedere, Diana, conosciuta mentre era ricoverata in clinica psichiatrica. Il suo stato mette a dura prova tutta la sua famiglia e costringe Rebecca, la figlia maggiore, ad andare via di casa e il fratellino Martin a trascorrere notti insonni. Che sia un sogno, una fantasia, o un mostro in carne ed ossa, Diana non può fare a meno della sua amica Sophie, al punto da diventare parte della casa stessa e a tormentare tutti i suoi abitanti ogni qualvolta scende la notte. Diana è fatta della stessa sostanza delle ombre, ma è veloce, agile e ha una forza sovrumana. Non c’è nessun’arma in grado di ucciderla e l’unico modo per aver salva la vita e non spegnere mai la luce.
E così luce e buio si alternano per tutto il film, in un’altalena di tensione che inizialmente appassiona, ma poi gradualmente stanca per il continuo ripetersi di situazioni che sembrano diluire una narrazione scarna, basata su un’idea efficace ma troppo semplice per poter sviluppare un intero film.

Non a caso Lights Out nasce da un recente cortometraggio dello stesso Sandberg, trasformatosi poi in un film per volere di James Wan, che lo ha prodotto, e di Eric Heisserer, lo sceneggiatore di Final Destination 5 e del reboot di Nightmare on Elm Street, che è rimasto talmente impressionato dal talento del filmmaker svedese da offrire la sua penna per creare la versione estesa. Ma nonostante i buoni presupposti e i maestri dell’orrore coinvolti nell’impresa David F. Sandberg con il suo lungometraggio d’esordio non riesce ad affondare gli artigli abbastanza a fondo nella paura da lasciare il segno nella filmografia del cinema di genere, rimanendo nell’ombra proprio come le sue creature mostruose, in attesa che si accenda in lui l’idea per un’opera più originale.

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