L’immaterialità della fotografia. Intervista a Matilde Scaramellini
Breve indagine, con Matilde Scaramellini della Galleria Abbondio, riguardo il tema della fotografia e del video nelle gallerie d’arte. Le sue risposte illuminano un tema ora centrale
Lo scorso aprile siamo stati a vedere Mi-Art 2025 e siamo rimasti impressionati da come l’arte della fotografia sia in questo momento una nicchia molto piccola, nell’universo del mercato dell’arte. Al momento si cercano e vendono molto di più le sculture e i quadri, sia figurativi che astratti. La presenza della fotografia resiste solo grazie a poche gallerie che ancora credono nella potenza artistica di questo mezzo. Una galleria che ci ha colpito è stata sicuramente la Galleria Giampaolo Abbondio, diretta con energia e acume da Matilde Scaramellini. (la foto in evidenza è di Maria Magdalena Campos-Pons)
Come si riesce a portare avanti una galleria che si dedica anche alla fotografia?
La fotografia nella visione di Giampaolo Abbondio non è certamente intesa come un “media minore”, ma come campo di battaglia, un linguaggio identitario, una forma di resistenza. Al Mi-Art 2025 avevamo in stand una figura che più che una fotografa è ormai un’icona culturale: Nan Goldin, che con la sua pratica ha restituito dignità allo scarto, al margine, al dolore e alla bellezza non patinata. Ha fatto della fotografia un atto di sopravvivenza emotiva e politica, una narrazione alternativa e necessaria. Pensiamo poi ai lavori di Oleg Kulik, Andres Serrano, Robert Gligorov: in modi diversi, tutti hanno usato la fotografia come mezzo per disturbare l’ordine, denunciare, rovesciare simboli. Come anche le Polaroid di Maria Magdalena Campos-Pons, oppure la mostra attuale di Aïda Muluneh, in cui la fotografia si fa strumento di decostruzione visiva delle narrazioni coloniali. Senza dimenticare Elyla, artista queer che ha fatto del proprio corpo un dispositivo di rottura, e della fotografia un atto performativo e spirituale insieme.
Perché dedicare spazio e tempo alla fotografia in una galleria?
Perché la fotografia è un linguaggio che non smette di interrogarsi sul proprio statuto. Anzi questa crisi costante è, paradossalmente, la sua forza. Roland Barthes, ne “La camera chiara” scrive: “La fotografia è un certificato di presenza”. Ma è anche una messinscena, una costruzione. Dunque: è reale o è illusoria? È documento o finzione? In questo cortocircuito continuo tra verità e rappresentazione la fotografia continua a resistere anche nella disumana sovrapproduzione di oggi. Forse proprio per la sua consapevolezza di essere fragile.
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(foto di Elyla per Artissima 2024)
Quale stratagemma tecnico permette l’unicità di una foto?
Più che stratagemma parlerei di dispositivo di legittimazione. In fotografia la tiratura, ovvero il numero limitato di stampe, è ciò che permette di attribuire unicità (e valore) a qualcosa che, per natura, è riproducibile. Ma questa è solo la superficie. La vera unicità, quella che conta, è sempre nella scelta, nella decisione radicale e soggettiva di fermare il tempo in un punto preciso, di costruire a tavolino un’immagine o recuperarla da un archivio. È una questione di sguardo, di visione, di verità interna, come direbbe Marina Abramović. In questo senso, la fotografia resta unica non perché irripetibile tecnicamente, ma perché irripetibile emotivamente. Perché ogni gesto fotografico è un atto, e ogni atto, se autentico, è irriproducibile.
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Si deve solo andare nella direzione dell’unicità della foto? Non è un controsenso, data la sua natura tecnica?
Sì, è un controsenso, ma è proprio in quel controsenso che la fotografia trova la sua natura più profonda. La fotografia è riproducibile, e proprio per questo ogni tentativo di darle aura è un atto di resistenza, di romanticismo contemporaneo. Non dobbiamo rincorrere l’unicità tecnica come feticcio, ma forse chiederci quale valore può avere l’immagine oggi, malgrado la sua moltiplicazione. In un mondo in cui tutto può essere copiato, forse l’unicità sta nella relazione che l’immagine costruisce con chi la guarda, nel suo saper “restare” mentre tutto scorre.
(stand della Galleria Abbondio ad Artissima 2021 con foto di Maria Magdalena Campos-Pons)
Quale sarà il futuro della fotografia nell’arte e nel mercato?
I dati ci dicono che la fotografia, sul mercato, ha un valore molto più basso rispetto alla pittura. Secondo Artprice solo una piccolissima percentuale delle vendite milionarie riguarda opere fotografiche. Il mercato cerca unicità e materia, due cose che la fotografia, apparentemente, non ha. Tuttavia, oggi la fotografia ha un altro nemico (o alleato?): l’intelligenza artificiale. L’AI genera immagini perfette, impeccabili, iperrealistiche, senza nemmeno la necessità di uno scatto. Il lavoro di Matteo Basilé lo racconta bene: nel suo recente progetto sull’AI, esplora il confine sottile tra umano e artificiale, rimanendo fedele a un’estetica ambigua, perturbante. Una volta una critica mi disse: “Non è l’immagine che deve cambiare, siamo noi che dobbiamo cambiare il nostro modo di guardarla”. Oggi credo che non ci sia frase più attuale. In un mondo saturo di immagini forse la fotografia sopravvive solo se riesce a essere una pratica di sguardo consapevole, più che una produzione di contenuti.
(foto di Elyla)
Al Mi-Art25 la presenza del video non era ovviamente forte quanto quella dell’arte nelle forme suddette. Tuttavia possiamo dire fosse più presente della fotografia. Le gallerie d’arte ormai stanno diventando sempre più uno dei luoghi cardine del cinema del 21° secolo. Abbiamo chiesto a Matilde cosa ne pensa.
Il video come oggetto d’arte è il futuro del cinema?
La video-arte è una cosa e il cinema un’altra, ma oggi vivono un’osmosi interessante. Non so se il video d’arte sarà il futuro del cinema, ma so che è un territorio fertile per la sperimentazione. È un mezzo “totale”, che coinvolge immagine, suono, corpo, tempo, e che permette una libertà espressiva che il cinema industriale, spesso, non può concedersi. Nelle gallerie il video è spesso post-cinema: intimo, rituale, ipnotico. Eppure potente. Ha qualcosa di ancestrale, a metà tra la trance e la teoria.
(foto di Aida Muluneh)
Si va verso un cinema one-to-one, da regista a spettatore singolo?
Temo di sì, ma non sono felice di questa direzione. La crisi delle sale cinematografiche è sotto gli occhi di tutti: secondo i dati dell’ANICA, le presenze in sala sono calate drasticamente negli ultimi anni, complice lo streaming, la pandemia, e forse anche una certa pigrizia culturale. Il problema è che ci si dimentica sempre del valore sociale del cinema. Non è solo intrattenimento: è un rito collettivo. È pensiero condiviso. È discussione accesa all’uscita dalla sala. Come diceva Godard, “Il cinema non è un sogno, è una realtà al buio” e oggi quella realtà rischia l’estinzione. A me rattrista.
Forse il cinema per le masse è un fatto del passato?
Forse sì, ma io diffido del termine “masse”, che suona un po’ come un retaggio della sociologia degli anni ’50. Preferisco pensare a comunità fluide, a pubblici in continuo movimento. Oggi il pubblico non è più una massa compatta, ma una vera e propria nube che si disperde e si ricompone. Il cinema ha ancora il potenziale per parlare a tutti, ma forse deve trovare nuovi linguaggi, nuove economie, nuove ritualità. In fondo il cinema delle origini era per le masse, ma era anche sperimentale, artigianale, folle. Oggi, invece, siamo individui iperconnessi, stanchi e soli davanti a mille schermi. Guardiamo più immagini che mai, ma non le guardiamo più insieme: la condivisione si è fatta algoritmo. Per me, i cinema sono templi che preservano la gravità del tempo. Non ci servono platee oceaniche, ma luoghi di densità emotiva. Il cinema, in questo senso, ci concede un rigenerante rallentamento: uno spazio dove il tempo si fa denso, pesa. Entrare in una sala significa abbandonare per un momento la frammentazione continua, accettare di restare sospesi in un presente condiviso, governato da un ritmo altro, non da un algoritmo, ma dalla durata di un racconto che si dispiega con la sua misura propria. Il “tempo come materia”, avrebbe detto Tarkovskij.

























