L’immensità, di Emanuele Crialese

Il film che il regista insegue da tempo in cui rimette in moto il suo cinema della memoria e soprattutto la sua storia autobiografica. Un passo falso tanto inatteso quanto clamoroso. Concorso

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C’è ancora la famiglia al centro del cinema di Emanuele Crialese. Da quella di Grazia in Respiro ai Mancuso che lasciano Agrigento per andare negli Stati Uniti in Nuovomondo fino ai Puccillo in Terraferma, si arriva a quella di Clara e Felice in L’immensità. La coppia si è trasferita in un nuovo appartamento ma è in crisi. Lui ha una relazione, lei è spesso infelice, ma non riescono a lasciarsi. Hanno tre figli e la maggiore, Adriana,  che ha appena compito 12 anni, rifiuta la sua identità e il suo genere; vuole infatti convincere tutti che è un maschio e si fa chiamare Andrea.

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L’immensità è il film che Emanuele Crialese insegue da tempo, è quello della vita, più volte rimandato e realizzato a 11 anni da Terraferma. Il cineasta rimette in moto il suo cinema della memoria che stavolta non riguarda solo parte della sua esperienza (New York di Once Were Were Strangers) o di una parte della storia del nostro paese (l’emigrazione in Nuovomondo) ma proprio la sfera più intima. Dietro il personaggio di Adriana c’è proprio il regista e la sua storia autobiografica. Crialese affida il film alla sua giovane protagonista, efficacemente interpretata da Luana Giuliani e si sofferma frequentemente col suo legame con la madre. Assieme a lei cercano le vie di fuga soprattutto attraverso la tv. Ci sono Raffaella Carrà e il suo brano Rumore, Adriano Celentano e le metamorfosi in bianco e nero in un mondo più bello della realtà. Adriana poteva essere libera e selvaggia  danzare o nuotare sotto l’acqua. Qui aspetta un segnale dall’alto, pensa di venire da una galassia lontana.

Crialese è pienamente coinvolto nella storia, anzi ci annega dentro, ma non solo perde lucidità, ma si lancia verso derive musical che mostrano un’esibizionismo formale prima sempre assente nel suo cinema, come un prologo di Lynch venuto male. Penélope Cruz è il corpo del film, il legame tra il mondi di Adriana/Andrea e l’esterno, una possibile reincarnazione di Grazia di Respiro. Se lì l’instabilità della protagonista era contagiosa, qui invece è pesantemente costruita, dall’incomunicabilità con il marito interpretato da Vincenzo Amato (l’alter-ego di Crialese che ha interpretato quattro dei suoi cinque film), alla scena della scomparsa dei bambini al mare, quasi un aneddoto per spaccare, a livello di spazio, un film spesso chiuso nelle mura di casa. Ma è soprattutto l’immagine degli anni ’70 ad essere stonata, così pulita nelle strade e negli abiti, così appariscente nel mostrare il set come luogo del cinema della (propria) vita. Non c’è sporcizia, gli schiaffi si portano dietro il rumore del ciak. Solo rumore, come nella canzone. Tanto rumore. Quello che c’è attorno ad Adriana/Andrea che allontanano dal suo personaggio che poteva parlarci d’altro, anche guardandoci nella macchina da presa, anche aspettando con lei l’arrivo di un’astronave che la potesse portare in un altro mondo. Per Crialese, un passo falso tanto inatteso quanto clamoroso.

 

Regia: Emanuele Crialese
Interpreti: Penélope Cruz, Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti, Laura Nardi, Penelope Nieto Conti, Alvia Reale, Aurora Quattrocchi
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 97′
Origine: Italia, Francia 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
2.91 (57 voti)
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