L'incanto dell'immagine. Omaggio a Federico Fellini

Ad attendere e celebrare Roman Polanski – in Italia per ritirare il Premio Fondazione Fellini – Carlo Verdone e Vincenzo Cerami. Un colloquio a più voci sull'impatto del cinema di Federico Fellini sulla cultura italiana, in cui la memoria si mescola a risonanze, citazioni, affreschi di un'epoca

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Immagini che restano dentro. Così gli ospiti di 'Il mio Fellini' si raccontano e raccontano il loro rapporto con l'opera del regista riminese all'evento organizzato dalla Fondazione Fellini, che ha consegnato a Roman Polanski il premio alla carriera. Gli artisti, a colloquio corale, hanno riflettuto per evocazioni sulla memoria cinematografica e personale, come Carlo Verdone: "Nessuno ha raccontato la mia città come Fellini. Lui, ed Ennio Flaiano, l'hanno capita molto più di noi romani…Attraverso le retrospettive nei cineclub, alla fine degli anni Sessanta ho scoperto l'anima, la carica di sguardo di questo regista: mi restituiva la vita che tutti i giorni osservavo nel quartiere. Una sera a cena ci raccontò del suo primo impatto con Roma. Appena uscito dalla stazione, si sentì colpire da qualcosa di bagnato. Da una finestra gli avevano sputato in testa! Lui centrava e sottolineava questo atteggiamento 'screanzato'…poi la sua ironia, la sua capacità osservativa sono andati verso un progetto visionario, quasi psichedelico". Agli aneddoti si uniscono gli omaggi 'inconsci', come nella prima scena di C'era un cinese in coma: "Subito dopo averla scritta ho realizzato che, senza volerlo, avevo ricalcato la miss Sirena '53 di I vitelloni…diluvio compreso!".

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E gli omaggi veri e propri, voluti, come per Leopoldo Trieste in Lo sceicco bianco ricalcato dal personaggio di Furio in Bianco rosso e verdone o per la 'poetica della cialtroneria' – De Sica accusato di furto in Compagni di scuola come in una delle scene più imbarazzanti di Il bidone. Esperienza e fruizione si sovrappongono nel ricordo di Verdone delle feste viste da bambino, e rappresentate in La dolce vita: "All'epoca le feste finivano così, con lo strip…Fellini ha rappresentato la dissoluzione del salotto borghese in un'unica scena".


Kubrick e Fellini: in comune, il fatto di muoversi pochissimo da casa e di girare intorno al tema del viaggio come avventura, come magia. Kubrick si lega Fellini in Eyes wide shut, quando con la festa e le maschere veneziane, omaggio a Il Casanova, crea una visione da incubo, di disordine e di orrore e al tempo stesso di magnificenza della vita. Vincenzo Cerami ha ricordato il perenne 'farsi' dell'opera felliniana: "Al tavolo della sceneggiatura, usava la figura retorica di chi non sa da che parte cominciare. In realtà aveva già in mente determinate cose, ma dava solo suggestioni…Poi si lasciava prendere dalla scena, cambiava continuamente il film – durante la sceneggiatura, le riprese, il montaggio. Alla fine era una somma di film…una serie di scene legate da un filo rosso ma, in realtà, un film dopo l'altro". Cerami ha delineato la figura di un Fellini antinarrativo, di un approccio pre-borghese – dove al posto dello sviluppo psicologico, base del romanzo, si trova un'epoca raccontata direttamente per maschere anziché personaggi, per accumuli di situazioni in una dimensione picaresca, episodica: "Piccole storie. Basate non tanto sulla drammaturgia, quanto sull'incanto dell'immagine".

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