L’indiscreto fascino della scrittura e dello spazio. È morto Curtis Hanson

Si è spento a 71 anni il regista di L.A. Confidential, Wonder Boys ed 8 Mile. Altro ‘figlioccio’ di Corman, portavoce di un cinema solido ma anche sperimentale, Che ha guardato Hitchcock e Ray

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La ‘parola’ ha mille occhi. Soprattutto per Curtis Hanson, uno dei più solidi cineasti hollywoodiani ma pieno anche di insospettabili e seducenti zone grigie scomparso ieri. E non si vede soltanto in quello che forse è il suo titolo più famoso, L.A. Confidential (1997), tratto da James Ellroy che gli ha fatto ottenere il premio per la miglior sceneggiatura (scritta insieme a Brian Helgeland) e ha fatto vincere la statuetta a Kim Basinger come miglior attrice non protagonista. Ma tutto il suo cinema è attraversato da questo continuo conflitto, da una scrittura aderente alle regole del genere ma al tempo stesso da una libertà – e da questo punto di vista il professore di scrittura creativa interpretato da Michael Douglas in Wonder Boys (2000) potrebbe essere quasi il suo doppio – quasi avanguardista, che guarda a stili e forme del B Movie. E su questo versante anche lui, classe 1945, cresce come altri cineasti della sua generazione (Scorsese, Demme, Coppola, Dante, Bogdanovich) si forma nella factory di Roger Corman dopo aver esser stato direttore e fotografo della rivista californiana “Cinema”. tobey-maguire-michael-douglas-wonder-boysÈ cosceneggiatore dell’horror soprannaturale La vergine di Dunwich (1970) di Daniel Haller prima di dirigere il suo primo film come regista, Sensualità morbosa (1972) in cui ribalta l’immagine dell’idolo delle ragazzine Tab Hunter che qui invece è uno psicopatico assassino seriale. In questo thriller, genere che attraversa frequentemente la sua filmografia, entrano in gioco alcuni elementi: l’ambiguità del voyerismo al centro di La finestra della camera da letto (1987) e la discesa verso la follia, presente  nella babysitter Rebecca De Mornay in La mano sulla culla (1992) e negli spazi della Los Angeles d’inizio anni ’50 che fanno muovere i tre poliziotti (Russell Crowe, Kevin Spacey e Guy Pearce) in una metropoli marcia e sempre più soffocante in L.A. Confidential.

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Alfred Hitchcock è uno dei suoi punti di riferimento. La finestra della camera da letto può considerarsi come un personale omaggio a La finestra sul cortile (1954). Anche nella forma di un giallo che nella seconda metà degli anni ’80 rifiuta l’estetica di videoclip e mostra quella tendenza a guardare, più come punto di riferimento che come pulsione nostalgica, al cinema del passato. Ma anche Cattive compagnie, nella contrapposizione tra lo psicopatico Rob Lowe e lo yuppie depresso James Spader, guarda a L’altro uomo/Delitto per Delitto (1950) e insieme al romanzo di Patricia Highsmith Strangers on a Train nell’incarnazione del Male che si presenta sotto fattezze umane.

Si ricicla ancora la classicità. Nei modelli più che nell’indubbio rigore della messa in scena. In L.A. Confidential ci sono le tracce di Il diritto di uccidere (1950) di Nicholas Ray – apertamente evidenti nelle parole dello stesso regista in un’intervista fatta a Rick Lyman del New York Times il 15 dicembre del 2000. Inoltre Kim Basinger, costruita quasi sulle fattezze di Veronika Lake, ritorna in 8 Mile (2002) nei panni della madre del protagonista Eminem e, in una scena del film, guarda Pinky, la negra bianca (1949) in tv.

curtis-hanson-eminem-8-mileLo spazio, nel cinema di Curtis Hanson, assume un’importanza determinante. Innanzitutto il ruolo della metropoli: da Venice (California) di Sensualità morbosa a Los Angeles di L.A. Confidential, da Detroit di 8 Mile (tra centro e periferia, tra la fabbrica del giorno e le gare rap della notte), da Las Vegas di Le regole del gioco (2007) alla contrapposizione Philadelphia/Florida di In Her Shoes – Se fossi lei (2005) fino a New York di I ragazzi di Times Square (1986). E questi ultimi si muovono anche sulla linea di quel cinema di fuga (sensoriale oltre che di attraversamento dello spazio) attraverso le due sorelle diversissime (Cameron Diaz e Toni Collette) che ritrovano la nonna (Shirley MacLaine) che non rivedevano dalla morte della madre di In Her Shoes e del quattordicenne che cerca l’avventura nella grande Mela e si ritrova a far parte di una banda di piccoli curtis-hanson-cameron-diaz-toni-collette-in-her-shoesspacciatori in I ragazzi di Times Square. Frammento di quei ‘ribelli senza causa’ che ha segnato un certo cinema statunitense d’inizio anni ’80 e ha attraversato la filmografia di Curtis Hanson anche in The Little Dragons (1980), su un gruppo di ragazzi appassionati di kung fu che sventano un rapimento e soprattutto in Un weekend da leoni (1982) con Tom Cruise a capo di un terzetto di teenager che vanno a Tijuana a caccia di sesso e droga. Un cinema di fuga che si ricicla ma al tempo stesso si ribalta in uno dei suoi film migliori e trascurati, The River Wild – Il fiume della paura (1994), dove una famiglia sulle rapide del Colorado è minacciata da una coppia di banditi, in fuga dopo una rapina. Quasi un ritorno sulle tracce di John Boorman (Un tranquillo weekend di paura, 1972) in un film anche anomalo nella filmografia del regista, in un attrito dichiarato tra la robustezza della recitazione (Meryl Streep in uno dei suoi ruoli più sorprendenti) e una fisicità davanti alle insidie di uno spazio sconosciuto, della natura e dei criminali da fronteggiare.

curtis-hanson-eric-bana-le-regole-del-giocoLo spazio, la scrittura. E dopo L.A. Confidential che arrivano due titoli, diversissimi eppure complementari, che rappresentano il meglio della filmografia di Curtis Hanson. Wonder Boys è insieme cinema di padri e di figli, girato quasi con lo spirito di un cineasta indipendente quasi esordiente che regala a Michael Douglas una delle migliori interpretazioni della carriera nel tratteggiare la crisi esistenziale di uno scrittore. C’è tutta un’esistenza che scorre. Tra passato e presente. Messa a fuoco dal teenager mitomane Tobey Maguire. Un cinema che ha la malinconia di un Robert Benton, che sembra girato nei Seventies come se fosse un ‘grande freddo’ alla Arthur Penn, che però ha avvolgenti scatti improvvisi, come nel brano di Bob Dylan (Things Have Changed) che ha vinto l’Oscar per la miglior canzone. O gli scatti irregolari di Eminem di 8 Mile, quasi residuo di quel decennio dove Hanson filma la parola non come in un film-concerto ma catturandone l’energia, il ritmo, lo stesso che fa sentire il too-big-to-failcuore pulsante del film e lo carica di rabbia e di passione. La stessa atmosfera del decennio si avverte, sia pure a sprazzi, in Le regole del gioco, nella sfida del gioco, nel rapporto ancora paterno-filiale. Eric Bana-Robert Duvall. Passato e presente. Con una script che marca i personaggi come spesso avviene nei suoi film di cui è sceneggiatore oltre che regista. E che ha segnato anche il film che ha scritto con Samuel Fuller, Cane bianco (1982) che ha suscitato notevoli polemiche per il suo presunto razzismo.

Tra i suoi ultimi lavori ci sono l’ottimo (e da recuperare per chi non lo ha visto), Too Big to Fail. Il crollo dei giganti (2011), trasmesso via cavo dalla HBO, ricostruzione della crisi economica iniziata nel 2008 con il crack finanziario di Wall Street tratto dal best seller del giornalista ed economista del New York Times Andrew Ross Sorkin. E poi nel 2012 ha co-diretto assieme a Michael Apted Chasing Mavericks, basato sulla vera storia del surfista Jay Moriarty. Un altro esempio di quel neoclassicismo che ha attraversato frequentemente la sua carriera. E di un tipo di cinema che ad Hollywood non si fa più se non raramente. E che ci mancherà.

LA NOSTRA TOP 5 DEL CINEMA DI CURTIS HANSON

CATTIVE COMPAGNIE (1990)

 

LA MANO SULLA CULLA (1992)

 

L.A. CONFIDENTIAL (1997)

 

WONDER BOYS (2000)

 

8 MILE (2002)

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