L’Inferno è questa Terra: la mostra alle Scuderie del Quirinale

La mostra “Inferno”, curata da Jean Clair e visitabile alle Scuderie del Quirinale fino al 23 Gennaio, fa un discorso sull’iconografia della prima cantica dantesca. A spaventare è però l’umanità

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna […] Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell’ideale di Sodoma la trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conoscevi questo segreto, o no? La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini“. La confessione mozzafiato di Ivan, il più tormentato de “I fratelli Karamazov”, potrebbe benissimo essere messa in bocca ad un Dante Alighieri resuscitato dalla straordinaria penna psicanalitica di Fëdor Dostoevskij. Perché nelle otto sale che formano il percorso espositivo della mostra “Inferno”, a cura di Jean Clair ed allestita in occasione dei settecento anni dalla morte del sommo poeta, una delle tante linee concettuali che emerge è proprio la fascinazione dell’autore della Divina Commedia verso “lo regno della morte gente”. Prorogata fino al 23 Gennaio, dato il (prevedibile) grande successo di pubblico e critica, l’allestimento alle Scuderie del Quirinale – che si conferma ancora una volta come il centro nevralgico dell’intellettualismo borghese – vuole essere il primo grande tentativo di tracciare una linea sull’eredità che l’iconografia dantesca dell’Inferno ha suscitato lungo otto secoli di storia dell’arte. La gravosità di un compito apparentemente infinito quanto le pene ivi concesse, ed altrettanto faticoso, è elusa grazie al serrato studio e alla rete di rapporti messi in campo dal celebre Accademico di Francia, grande intellettuale europeo nonché uno dei fondatori del Centre Pompidour di Parigi e successivamente anche direttore del Musée Picasso.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Il percorso espositivo infatti si dipana attraverso 232 opere d’arte concesse in prestito da oltre ottanta tra grandi musei, raccolte pubbliche e prestigiose collezioni private provenienti, oltre che dall’Italia e dal Vaticano, da Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Portogallo, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Bulgaria. Accompagnati da alcune poetiche citazioni dantesche, i visitatori possono così fare esperienza visiva dell’evoluzione rappresentativa del regno di Satana: dalle miniature medievali alle re-interpretazioni barocche del coevo paradiso perduto miltoniano, dalle visioni romantiche fino al Novecento, a cui è dedicato quasi un terzo della visita. Il viaggio dello spettatore comincia non in una selva oscura bensì con la scenografica proiezione sulla rampa di scale che portano al primo piano di alcune scene del film “L’inferno”, del 1911. E si resta già rapiti dall’intuizione dei registi del film italiano che tra le ovvie goffaggini audiovisuali del tempo – la recitazione teatrale, gli scarni vestiti ed il taglio fisso delle inquadrature – avevano già capito che sarebbe stato il cinema il mezzo ideale – le scene di massa dei dannati, la bestialità dei demoni, le brulle scenografie – per la messa in scena de “la città dolente”. Una volta superato l’androne si viene accolti dal calco del gigantesco capolavoro di Rodin, “La porta dell’Inferno”, trasportato a Roma dal Musée Rodin di Parigi con un camion speciale, in cui lo scultore francese diede vita di marmo all’omonimo ingresso descritto nella “Divina Commedia” con alcune delle terzine più potenti non solo dell’opera ma dell’intera letteratura di ogni tempo. In questa prima stanza fa la sua apparizione, sottolineata da un forte fascio di luci, “La caduta degli angeli ribelli” di Francesco Bertos, strabiliante gruppo scultoreo composto da circa sessanta figure che si aggrovigliano ferocemente in una specie di piramide, guidati dal basso da un fiero Lucifero che li sprona alla lotta e combattuti allo stesso tempo dall’alto dall’Arcangelo Michele che li sfida con la spada sguainata. Come ricorda lo stesso Jean Clair nel volume che accompagna la mostra “L’inferno è un budello interminabile, pozzo senza fine, ‘puteus abyssi’, latrina ultima, piena di odori insopportabili, le fetide fogne in cui sono imprigionate le potenze infernali e si ammassano i mortali che hanno rifiutato Dio. Nel II secolo Tertulliano, il primo Padre della Chiesa, designerà col termine ‘puteus’ quell’abisso infernale e ghiottone, quel ventre sempre inappagato, quella caverna brulicante di mostri, quella grotta, quell’antro boccale e anale allo stesso tempo”.

Una tale descrizione aderisce perfettamente ad alcune dei quadri presenti nella seconda stanza, da “La visione di Tundalo” (1500 circa), dalla bottega di Hieronymus Bosch fino all’ “Inferno”, di un anonimo portoghese (1510-1520 circa) in cui al centro esseri umani vengono messi a bollire o a lato vengono scarnificati alacremente dalla solita genia orribile di demoni zoomorfi. Se il Seicento è stato definito il “secolo senza Dante“, lo zolfo riprese a bruciare, aiutato dal mantice della disperazione personale, nelle menti dei pittori Romantici. Nella stanza dedicata ai maestri dell’Ottocento infatti vi sono alcune delle opere più fotografate dell’esposizione: dal suggestivo “La barca di Caronte”, di José Benlliure y Gil alla tenebrosa “Myrrha”, di Jules-Frédéric Adolphe Loëwe Marchand, dal “Dante e Virgilio all’Inferno: girone dei traditori della patria” di Gustave Courtois che riprende il cruento contrappasso destinato al Conte Ugolino fino alle varie rappresentazioni del Canto V dedicato all’ “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” di Paolo e Francesca. Il primo piano della mostra termina così, passando dalla manifestazione culturale della fisicità del luogo dove si pensa dimori il Male assoluto – molto penetrante anche la sezione dedicata ai vari ingressi oltremondani e alle catabasi dei diversi miti – alla relatività delle varie colpe.

Ma è al secondo piano che “Inferno” prende una svolta purtroppo prevedibile e, potremmo dire, addirittura temuta. Perché viene abbandonata totalmente l’eredità dantesca e la sua immortale descrizione dell’Ade a favore di un generico ed indiscriminato j’accuse contro i vari tipi di regni satanici che l’uomo ha prodotto nel Novecento. A partire naturalmente da quelli delle due guerre mondiali, con le immancabili tavole di Otto Dix e il manoscritto originale di “Se questo è un uomo”, di Primo Levi, per arrivare ai demoni della psiche con l’altrettanto irrefutabile “La pazza”, di Giacomo Balla fino ai miasmi, venefici quanto quelli che si respirano tra balze e gironi, degli opifici industriali. In questa ultima sezione della mostra, la scientificità di questo arduo tentativo di catalogazione viene sottomesso da una certa cifra moralista che ha, tra le altre cose, il difetto di non dialogare con quasi nessuna delle urgenze del presente. Eppure bastava seguire le indicazioni dello stesso curatore: “Non solo perché rispetto alle altre cantiche è senza dubbio la straordinaria iconografia infernale ad aver maggiormente ispirato gli artisti, con un duraturo impatto sulla cultura visiva europea; ma anche per la sua attualità, in un mondo in cui la distruzione della natura, la crisi sociale e culturale ci inducono a riflettere sul destino dell’umanità e sulle cose ultime”. Ed invece non troviamo opere dedicate agli inferni dei nostri giorni: quello climatico, quello migratorio, quello economico ed, ovviamente, quello sanitario. Vi è, infine, una scelta finale che non può che lasciare quantomeno interdetti in una mostra che si chiama “Inferno“: dopo tanto dolore la chiosa speranzosa, anticipata dal verso “E quindi uscimmo a riveder le stelle“, è affidata alle galassie di Gerard Richter, alle stelle cadenti di Anselm Kiefer ed una serie di fotografie spaziali di astri e comete. Esprimiamo il nostro disappunto con le parole dello stesso Dante: “Maestro, il senso lor m’è duro“.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative