Ziad Doueiri: “L’insulto parte da un’esperienza autobiografica”

Abbiamo incontrato oggi a Roma il regista libanese di L’insulto, già in concorso a Venezia dove ha vinto la Coppa Volpi per il miglior attore. In sala dal 6 dicembre distribuito da Lucky Red

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Premiato al Festival di Venezia (Coppa Volpi a Kamel El Basha), ma poi subito dopo arrestato. È quello che è successo al cineasta libanese Ziad Doueiri, il quale al Lido aveva presentato in competizione L’insulto, che uscirà in sala mercoledì 6 dicembre distribuito da Lucky Red. “Quando sono rientrato da Venezia, volevano fermare l’uscita in sala in Libano di L’insulto. Mi hanno arrestato riprendendo un vecchio dossier. Questa denuncia è stata fatta dal BDS”. Il film poi è stato distribuito in patria dal 14 settembre: “E nonostante l’appello fatto da alcuni gruppi a boicottarlo, è ancora primo al box-office”.

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L’insulto parla di un litigio inizialmente banale che poi degenera. Da una parte c’è Yasser, appartenente alla cultura cristiana, interpretato proprio da Kamel El Basha che porta in tribunale il palestinese Toni (Adel Karam). Il conflitto personale si ingigantisce, diventando un caso nazionale e un regolamento di conti tra culture diverse.

In realtà Ziad Doueiri aveva avuto degli enormi problemi con The Attack del 2012 che vedeva protagonista un affermato chirurgo israelo-palestinese la cui vita veniva stravolta da un attentato kamikaze in un ristorante organizzato dalla moglie poi morta nell’esplosione. “Quel film è stato proibito dal movimento di sinistra del mondo arabo, quello sostenuto anche da figure autorevoli come Ken Loach, Roger Waters e Brian Eno. È stato proprio bandito e solo in Marocco si è potuto vedere. Da quel momento ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura di L’insulto come risposta a chi ha vietato The Attack. E in parte questo è un film autobiografico perché contiene tutto quello che ho fatto dall’infanzia fino ad oggi”.

l'insultoEd è personale anche lo spunto da cui è partito:L’insulto è nato da un incidente che ho avuto quattro anni fa a Beirut. All’epoca con mia moglie, che nel frattempo è diventata ex (la cosceneggiatrice Jöelle Touma), non ce la passavamo bene anche a causa del boicottaggio per The Attack. Eravamo senza un soldo ed io ero molto arrabbiato. Un giorno stavo innaffiando i miei cactus (sono un collezionista e allora ne avevo circa 200) e un po’ di acqua era caduta su un operaio. La situazione ha iniziato a surriscaldarsi. Lui mi ha insultato con un termine arabo molto offensivo (equivale al nostro ‘pappone’). Io gli ho risposto altrettanto pesamente. A quel punto mia moglie mi ha detto: ‘Come puoi insultare i palestinesi in questa maniera? Scendi e vatti a scusare’. Io l’ho fatto e la cosa si è chiusa lì. Un paio di giorni dopo ci ho ripensato e mi sono detto: un incidente così sciocco in Libano potrebbe portare a dei problemi molto seri”.

Si sofferma poi come ha lavorato con Jöelle Touma alla sceneggiatura: “La mia ex-moglie viene da una famiglia di estrema destra, dichiaratamente antipalestinese. Io invece dalla fazione opposta, anticristiana, di militanti. E i miei genitori continuano ad esserlo ancora oggi. Così abbiamo deciso di scambiarci i ruoli; io ho scritto i dialoghi dell’avvocato che difendeva il libanese Yasser, lei della donna avvocato che invece prendeva le parti del palestinese Toni”.

l'insulto Adel Karam Kamel El BashaZiad Doueiri si è formato negli Stati Uniti e ha lavorato anche con Quentin Tarantino. Nella costruzione della parte processuale si è ispirato al cinema statunitense: “Gli americani hanno perfezionato il dramma giudiziario con la tecnica di mettere in dubbio l’establishment. Ho sempre voluto girare un film di questo genere e ambientarlo un un’aula di tribunale. Lì si può anche affrontare l’aspetto giuridico e chiedersi: è legale offendere la cultura di qualcun altro?. Inoltre mia madre è avvocato e tre suoi fratelli sono giudici.” Poi il regista si sofferma specificatamente sui film che hanno rappresentato dei modelli di riferimento: “Durante la stesura della sceneggiatura mi sono rivisto molti film giudiziari: Il verdetto e La parola ai giurati di Sidney Lumet, Philadelphia di Jonathan Demme e soprattutto Vincitori e vinti di Stanley Kramer. Comunque nel 2016 mi è venuto questo dubbio: il pubblico oggi è interessato ai film giudiziari? O forse era un film che avrei dovuto fare solo negli anni ’80?. Mentre discutevamo con Jöelle lei mi diceva: ‘In Il verdetto non ci sono molte scene ambientate in tribunale’. E io le ribattevo: ‘Ma invece Vincitori e vinti si svolge tutto lì’. E poi lei aggiungeva: ‘Come si fa a girare 9 scene in tribunale senza essere ripetitivi?’. E allora con il direttore della fotografia, che è italiano (Tommaso Fiorilli), abbiamo fatto in modo che ogni scena non fosse essere uguale all’altra. Quindi abbiamo ripresto dal punto di vista del giudice, degli avvocati, con la steadycam etc”.

Infine Doueiri si sofferma sul rapporto tra la cultura libanese e il mondo occidentale: “Ho vissuto metà della mia vita in Libano e metà tra gli Stati Uniti e la Francia. E oggi faccio ancora il giocoliere tra queste due culture. In realtà, non so a quale appartengo. Questa cosa mi ha sempre accompagnato sin dall’infanzia. Quando la mia famiglia si riuniva per il Ramadan, ho sempre avvertito un senso di estraneità. Allo stesso modo, negli Stati Uniti, non mi identificavo con il Giorno del Ringraziamento. Non mi considero un regista libanese. Però il Medio Oriente è ricco di materiale perché è pieno di conflitti”.

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