L’irriducibile, di Morgan Menegazzo e Mariachiara Pernisa

Il racconto di un uomo sconfitto dalla Storia, attraverso un faccia a faccia in cui vengono ricostruite le tappe del suo fallimento rivoluzionario. Stasera h 21 spazio Scena a Roma per FuoriNorma

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L’uomo che si impone sullo stato. Lo stragismo degli anni Settanta, vissuto da una prospettiva diversa. Una voce fuori dal coro, un lupo solitario, una monade che respinge con forza le stragi di Piazza Fontana, di piazza della Loggia, dell’Italicus e della stazione di Bologna. Eppure, anche lui, Vincenzo Vinciguerra, militante di estrema destra, passato per Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, un massacro l’ha compiuto. Il 31 maggio 1972 si è macchiato con il sangue di tre carabinieri che persero la vita a Peteano, in seguito allo scoppio di un esplosivo artigianale piazzato a bordo di una macchina che aveva attirato l’attenzione degli agenti.

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Morgan Menegazzo e Mariachiara Pernisa riportano alla luce la storia dell’unico responsabile di una strage italiana a non aver beneficiato di sconti di pena, mai pentitosi delle sue azioni. Vinciguerra sta tuttora scontando l’ergastolo presso il carcere di Opera, dove continua la sua lotta in nome della (sua) verità storica. Presentato Fuori Concorso al Filmmaker2022 e ora a Roma per FuoriNorma, L’irriducibile è il racconto di un uomo sconfitto dalla storia, bloccato nel proprio carcere, fisico e mentale, attraverso un serrato faccia a faccia in cui vengono ricostruite le tappe del suo fallimento rivoluzionario. Il fallimento di un don Chisciotte nero che uccise brutalmente tre uomini, in nome di una guerra “ideologica” condotta in solitaria fino ad oggi.

L’attentato di Peteano viene rivendicato con fierezza dallo stesso Vinciguerra come un preciso atto di guerra nei confronti dello Stato italiano, in nome di una rivoluzione fascista che non ha niente a che vedere con lo stragismo nero degli stessi anni. Uno stragismo che, sottolinea Vinciguerra, “colpisce gli indifesi con la complicità dei servizi segreti di uno Stato interessato a ripristinare l’ordine costituito attraverso la strategia della tensione.” La battaglia di Vinciguerra è rivolta allo scardinamento dei valori fondanti lo Stato italiano e la sua collocazione all’interno del patto atlantico.

L’ordine costituito dopo il 25 aprile 1945 è il nemico storico, politico e morale individuato da un tredicenne Vinciguerra che, attraverso una grande capacità oratoria e una più che discreta presenza scenica, racconta la propria verità davanti alla mdp di Menegazzo e Pernisa. Ascoltandolo, sembra di restare imprigionati in un’epoca altra, di avere davanti l’ultimo depositario di una folle ideologia abbandonata da un altrettanto folle e subdola generazione di neofascisti sempre meno radicali e, con il passare degli anni, sempre più propensi alla collaborazione con il potere, in un’epoca dominata dalla post-ideologia. Vinciguerra, in carcere dagli anni Ottanta, sembra non essere stato intaccato dal passare degli anni.

La rivoluzione sociale è un’utopia per cui Vinciguerra rifiuta di arrendersi, conducendo la “sua battaglia” dal carcere. Ma ad interessare i registi, non è solo il lato politico della questione, che, col passare dei minuti, lascia sempre maggiore spazio al rapporto con l’uomo dietro al soldato e alla sua incapacità di mostrare umanità, in primis verso se stesso. Un uomo vittima di un’ideologia in nome della quale si è fatto carnefice.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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