"Litigi d'amore" di Mike Binder

In questa meravigliosa opera scorrono le mille pulsazioni del cinema straziante di Costner che anche stavolta non rinuncia a tirarci dentro le nostre incasinatissime vite, a parlarci di un cinema nato dalle rughe senza tempo della strepitosa Joan Allen e a illuminarci con il sapore semplice e leggero di uno sguardo che si rimette sempre in gioco.

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Litigi d'amore Mike Binder Kevin Costner

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"E tu che ne sai, sei solo una bambina…" Al suono di queste parole il film di Binder/Costner si apre ad una risata sonora, tuonante, una delle pochissime che ascoltiamo lungo tutto il film. Un bel momento, inaspettato e folgorante, proprio perché nato in un film che parla di rabbia, di uomini e donne traditi dalla vita, di "piccole donne" infine in bilico sull'abisso di un'esistenza in cui esistere non è così semplice. E che parla di una ragazzina di quattordici anni che, pur non potendo saperne nulla di certe cose, in realtà vede, osserva, legge, e racconta tutto sin dalla prima sequenza, quando la sua voce si incrina e si piega sui volti oscuri e tristi di un uomo, di una donna e di una ragazza mentre si recano ad un funerale, in macchina. Ma non è la fine, né della rabbia, né della vita. Semmai un momento di passaggio, un transito, un cambiamento, ma la fine no, quella appartiene a chi non sente più nulla, a chi non ama, a chi non si arrabbia mai veramente… In fondo il film di Binder non conosce stacchi e cesure, ma sorprendenti scivolamenti. Dall'esplosione di un'assenza (quella del marito di Terry) al dramma vissuto dalle sue quattro figlie, Binder terremota i confini e fa saltare ogni paletto. L'incazzatura e il risentimento non devono chiudersi in un comodo compartimento stagno, ma vanno comunicati, gridati, donati, sì insomma, messi in circolo e allora ecco l'immagine stupefacente di un set senza porte, di un interno liquido che è anche un po'esterno e di corpi che non sono mai veramente soli. Perché il film di Binder non può fare a meno di collegare e di unire, anche inventandosi dal niente veri e propri fantasmi, come quello di Costner (si chiama Denny ed è un ex giocatore di baseball, ora speaker di un seguitissimo programma radiofonico) che si affaccia sulla vita in frantumi di Terry e che non smette di fumare, di bere e di corteggiare la donna, riportando in vita le figlie, trasformandosi in un padre bizzarro e dolcissimo sempre pronto a sorridere, a chiudere un occhio e a bearsi serenamente del profumo di cucinato che pervade la casa di Terry e dei rumori e del chiasso e di quelli di ogni meravigliosa litigata. E' in questo dare e avere che scorrono allora le mille pulsazioni del cinema invisibile e straziante di Costner che anche stavolta non rinuncia a tirarci dentro le nostre incasinatissime vite, a parlarci di un cinema nato dalle rughe senza tempo della strepitosa Joan Allen e a illuminarci con il sapore semplice e leggero di uno sguardo che è quello del suo Denny, lo sguardo di chi esce fuori dalla solitudine per rimettersi in gioco, certo, per continuare a giocare e a ridere, amare, sbagliare e poi proteggere… Ma anche per tornare, in un certo senso, bambino. Come quando Denny, spaventato dall'idea che il suo rapporto con Terry maturi definitivamente, non si fa trovare in casa e si nasconde in giardino, o quando i due si lanciano in un furibondo faccia bloccando un trafficato incrocio cittadino, come due ragazzini alle prese con le prime schermaglie amorose. Il cinema come vero e proprio incrocio d'amore allora, come tensione intima e segreta di corpi che sopravvivono soltanto tornando piccoli, dolci creature umorali e lunatiche che si perdono e si ritrovano e si smarriscono nuovamente, tra cielo e terra, tra passato e presente…Non è un caso che lo sguardo narratore del film sia proprio quello della figlia più piccola  di Terry ("e tu che ne sai, sei solo una bambina"…frase appunto rivolta a lei durante il film), lo sguardo bambino che esperisce l'impossibilità di amare (si innamora infatti di un ragazzino gay) e che in un'altra bellissima sequenza chiede a Denny se sia davvero intenzionato a sposare la madre. Nel film di Binder allora (che peraltro appare nei panni di Adam, regista radiofonico di Denny) si traccia in modo sublime la fisionomia di corpi alla disperata ricerca di una ridefinizione, di umanità che muoiono lentamente per rinascere in panni differenti e di desideri latenti, già qui desideri che non smettono di sognare nuovi mondi da scoprire, da visitare, da abitare almeno una volta nella vita. Poi certo c'è il lutto, la scomparsa (non vi diciamo di chi per non guastarvi un'esplosione drammatica a dir poco dirompente), la deriva di tutta l'esistenza precedente, e poi ancora la vita (la figlia maggiore di Terry che aspetta il suo secondo bambino), il pianto, la speranza, e perché no, una nuova rabbia pronta ad uscire fuori. In questo incredibile e assoluto gioco d'amore allora non conta più la partita perfetta (ricordate For the love of game?), ma stare ancora in partita, arrabbiandosi con i compagni di squadra, scuotendoli, amandoli per quello che sono e per quello che non saranno mai. 

 

Titolo originale: The Upside of Anger

Regia: Mike Binder

Interpreti: Kevin Costner, Joan Allen, Erika Christensen, Evan Rachel Wood, Keri Russell, Mike Binder

Distribuzione: Eagle Pictures

Durata: 118'

Origine: USA, 2005

 

 

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